Anche solo affrontare un argomento così centrale nei commenti e nelle analisi attuali significa prendersi un rischio non da poco. Come noto l’argomento è molto complesso sotto molti punti di vista e le opinioni sul fenomeno, sia finanziario che reale, sono decisamente contrastanti. Non bastasse tutto questo esiste una barriera all’entrata pressoché invalicabile, se non per i super addetti ai lavori, che riguarda le caratteristiche tecniche del Bitcoin.

Con queste premesse evitare le banalità appare un impresa impossibile ed infatti ci dobbiamo appoggiare a qualcuno che ha fatto questo tentativo per noi. Una analisi di Nomura fa una prima importante distinzione tra la cosiddetta Blockchain, il mezzo, e il Bitcoin, lo strumento. La Blockchain è uno strumento complesso ed innovativo ma maggiormente comprensibile per i professionisti della finanza. Si tratta infatti di una piattaforma evoluta di scambi tra più soggetti con l’ambizione di essere più efficiente rispetto a piattaforme dove gli scambi sono accentrati (ad esempio le Borse valori).

Come dire: se il prezzo di una attività finanziaria lo determinano numerosi soggetti il mercato è più efficiente e stabile rispetto al caso in cui siano pochi o addirittura un solo soggetto ad accentrare gli scambi. Possiamo citare le vicenda della determinazione del prezzo manipolato del LIBOR, il tasso fissato a Londra a cui le banche si prestano denaro e che ha visto coinvolte le principali banche internazionali, per avere un esempio pratico delle distorsioni di un mercato condizionato da pochi operatori pur di ineccepibile reputazione. Pare evidente che il successo di questa tecnologia si basi sull’indebolimento dei rapporti fiduciari tra i partecipanti al mercato e gli intermediari (oltre che i regolatori).

Il Bitcoin è una applicazione del concetto della Blockchain. Evitando accuratamente di entrare in aspetti tecnicamente complicati il meccanismo del Bitcoin premia chi “lavora” di più (tecnicamente si definisce mining, volendo con questo termine descrivere la creazione di un Bitcoin come opera di un minatore che scavando alla fine trova la gemma). Ma come si misura chi lavora di più ? Dalla quantità di energia che utilizza il computer, sia come potenza installata che come potenza consumata.

E qui il terreno diventa forse più facilmente comprensibile in termini economici e apre qualche spiraglio sulle caratteristiche del fenomeno. Ad esempio, si stima che una transazione di Bitcoin consumi energia elettrica pari a quella consumata da 9 americani in 1 giorno (circa 270 KWH). In termini di grandi numeri il Bitcoin consuma annualmente tanta energia elettrica quanto il Marocco ovvero il 10% dell’energia elettrica consumata in Italia.

Senza contare i costi dell’hardware che deve evidentemente essere sempre più potente e con processori sempre più veloci. Stando così le cose le aziende produttrici di energia elettrica e i produttori di computer e chip dovrebbero essere i maggiori beneficiari di questo fenomeno. Anche il prezzo del petrolio e delle materie prime destinate alla produzione di energia elettrica dovrebbe essere influenzati da questo fenomeno. Per non parlare dell’impatto sulle emissioni di CO2. Il confronto con un diffusissimo circuito che fornisce transazioni tramite carte di credito è impietoso.

Se gli scambi sul Bitcoin richiedono energia annua pari a quella consumata da quasi tre milioni di americani, le transazioni sul circuito Visa consumano annualmente l’equivalente dell’energia consumata da cinquantamila americani. Per quante transazioni ? Oltre ottanta miliardi rispetto ad un millesimo, circa ottanta milioni, del numero di transazioni in Bitcoin. Come è possibile che una transazione virtuale consumi 270 KWH e una elettronica una millesima parte di un KWH?

Per approfondire:

https://digiconomist.net/bitcoin-energy-consumption#assumptions

https://powercompare.co.uk/bitcoin/