Dopo aver raccontato (prima parte) come fu lasciata fallire Lehman e come furono salvate AIG e Merrill Lynch, e poi (seconda parte) il seguito – dal piano Geithner alle mancate riforme in campo finanziario –, nella terza parte abbiamo raccontato lo stato delle cose fra interventismo, riforma sanitaria e disoccupazione. Concludiamo la serie parlando dei due filoni che compongono il mondo post crisi: la simultanea ricerca del capro espiatorio e di un’azione di risanamento condivisa fra tutti i paesi. 

Finita la gran paura, restaurata una qualche forma di fiducia, è iniziato il post crisi, composto di due grandi filoni. Il primo: trovare qualcuno cui dare la colpa; il secondo: decidere un’azione condivisa a livello globale per curare le ferite e prevenire choc futuri.
 
Per quanto riguarda i capri espiatori, il gioco è stato abbastanza semplice: i banchieri hanno perso il senso della misura e, accecati dall’ingordigia, hanno creato la più grande bolla degli ultimi decenni. Come spiega James Stewart sul «New Yorker», nell’articolo definitivo su quel che è successo nei fatidici giorni del crollo di Lehman Brothers, i governanti hanno anche contribuito, con la loro ansia di salvataggio, a far perire per sempre il concetto di moral hazard, «un principio guida dell’economia secondo cui, a meno che i player non abbiano responsabilità delle conseguenze delle loro azioni, agiranno in modo irresponsabile».
 
Nell’accusa ai banchieri – ormai diventata globale, ora persino Tim Geithner finge di fare la voce grossa con Wall Street (2) – ci sono alcune distinzioni. C’è chi pensa che i banchieri avessero bassi incentivi a comportarsi in modo responsabile di fronte a profitti in esplosione; c’è chi invece pensa che i banchieri avessero avuto cattive informazioni, e che sulla base di queste (e con qualche sfrontatezza personale) si siano ritrovati sull’orlo del collasso. Megan McArdle sull’«Atlantic» (3) spiega che non è la remunerazione dei banchieri a causare il rischio; piuttosto, il sistema finanziario complicato – e maggiormente rischioso – comporta più profitti che possono essere ottenuti sulla base di un rapporto conoscenza/abilità più elevato. Anche Tyler Cowen (4) smonta il mito dell’executive compensation theory, dicendo che gli stessi banchieri hanno scommesso i loro soldi sui prodotti sbagliati (Richard Fuld, di Lehman, ha perso un miliardo di dollari nel caos della sua banca). Se è una questione d’informazione più che di comportamenti, allora è necessario fare in modo che il sistema finanziario sia meno complicato e accetti margini di rischio che i player siano in grado di gestire.
 
Ed ecco il secondo filone del post crisi, che ci conduce ai vertici internazionali e al tentativo di riportare il sistema nei binari dell'equilibrio.
 
Si è cominciato con il G20 di Washington, nel novembre dell’anno scorso; si è passati attraverso il G20 di Londra, ad aprile; per finire, dopo una breve puntata al G8 dell’Aquila, al G20 di Pittsburgh di questa settimana. Nel frattempo, gli stati hanno speso, tra stimoli nazionali e variamente coordinati, mille miliardi di dollari e si sono accordati su quello che il «Wall Street Journal» aveva definito, prima dell’inizio del vertice a Pittsburgh (5), Framework for Sustainable and Balanced Growth. Londra, Parigi e Berlino, più o meno sulla stessa linea nella battaglia per calmierare gli stipendi dei banchieri (quindi nel filone «troviamo un colpevole»; Nicolas Sarkozy ha persino minacciato di lasciare il tavolo se non si fosse trovato un accordo), si sono poi divisi sulla gestione effettiva – chi fa che cosa – della supervisione finanziaria. Gli Stati Uniti si sono trovati più a dover gestire l’emergenza cinese (6), dopo lo sgarbo protezionista sui pneumatici, che a definire un sistema di regole vagamente concreto. In aggiunta, sulla quantità di capitale da iniettare nelle banche (ma non era stata una crisi di liquidità?) non si è arrivati a un accordo definitivo tra europei e americani, fatte salve le solite dichiarazioni di circostanza. Come ha splendidamente riassunto Simon Johnson in un post sul suo blog, The Baseline Scenario (7), il pensiero dominante del G20 è: «Nel medio termine, saremo tutti in pensione».


(1) http://ww.newyorker.com/reporting/2009/09/21/090921fa_fact_stewart

(2) http://dealbook.blogs.nytimes.com/2009/09/23/geithner-to-press-congress-on-financial-reform/


(3) http://www.theatlantic.com/doc/200910/goldman


(4) http://www.marginalrevolution.com/marginalrevolution/

(5) http://online.wsj.com/article/SB125348959155226421.html#mod=WSJ_hps_LEFTWhatsNews


(6) http://drezner.foreignpolicy.com/posts/2009/09/22/debating_the_tire_tariffs


(7) http://baselinescenario.com/2009/09/22/g20-thinking-in-the-medium-run-we-are-all-retired/