La primavera araba è un ricordo del 2011, nel 2012 abbiamo avuto a che fare con regimi che non se ne vogliono andare e una comunità internazionale sempre più spaccata, e comunque sostanzialmente distratta dai suoi guai economici. In Egitto, dopo una battaglia in cui i militari hanno cercato in ogni modo di disinnescare un passaggio di potere annunciato, è stato eletto un presidente della Fratellanza musulmana. Mohammed Morsi non ha il curriculum tipico dei leader islamisti: ha passato buona parte della sua vita in California, a insegnare all’università, ha due figli con passaporto americano e una moglie con molte connections nella mondanità politica washingtoniana.
Dev’essere per questo che le Borse hanno accolto l’elezione di Morsi con inaspettato entusiasmo. Ma dev’essere anche perché Morsi fa capo all'ala pragmatica della Fratellanza, che certo non vuole rinunciare alla supremazia religiosa nella regione, ma ha anche a cuore gli affari, l’economia, il turismo. Nonostante il candidato iniziale della Fratellanza, Khairat el Shater, sia stato estromesso dalla competizione in uno dei colpi di potere dei militari, è quella visione che per ora ha il sopravvento. Come ha spiegato Businessweek, molti milionari della Fratellanza, l’un per cento islamista tanto per fare paragoni con i nostri ricchi, ha studiato nelle migliori piazze del mondo modelli di sviluppo efficienti. Vince quello di Singapore.
Poiché sono in corso le negoziazioni per un imprescindibile prestito del Fondo monetario, i Fratelli musulmani hanno messo a punto un piano “free market” da fare invidia al dirigismo imperante nelle nostre economie collassate. Naturalmente non è detto che il piano riesca e ci sono le forze conservatrici che vogliono approfittare dell’occasione – siamo al potere! – per imporre la propria visione dogmatica del mondo. E se il futuro non pare luccicante, è la prima volta che l’Egitto ha un presidente islamico, che fa un’ouverture verso le donne e verso i copti e che pensa prima di tutto alla stabilità economica (risuonano ancora gli slogan della piazza nel programma di governo: pane, giustizia e pace sociale), poi a dialogare con i vicini, Hamas e Israele inclusi.
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