Se si vuole rovinare il sonno dei democratici americani, basta mettere in discussione l’Obamacare. La riforma sanitaria, faticosamente conquistata al Congresso dopo eterne trattative, è il “big f*ing deal”, per usare l’espressione perfetta del vicepresidente Biden, della presidenza Obama. La croce e la delizia di un’Amministrazione che ha già pagato nelle urne di medio termine (novembre 2010) la sua ostinazione riformatrice – molti democratici fecero campagna facendosi belli davanti all’elettorato: io non l’ho votata, quella riforma scaigurata – ma che non vuole fare un passo indietro rispetto a quello che ha conquistato.

La Corte Suprema si pronuncerà, entro la fine di giugno, sulla costituzionalità dell’Obamacare. Ci sono stati tre giorni di dibattito, l’avvocato di stato ha difeso la riforma (una delle performance meno brillanti di Donald Verilli, dicono), l’avvocato dei 26 stati che hanno fatto ricorso (assieme ad alcune associazioni e ad alcuni cittadini) ha formulato le sue accuse (Paul Clement era invece in forma, dicono), i giudici hanno fatto domande. In discussione c’è una questione fondante del sistema americano, il cosiddetto “individual mandate”, cioè la possibilità che lo stato imponga a un cittadino di acquistare un prodotto commerciale.

Il prodotto è un’assicurazione sanitaria, non un prodotto qualsiasi, ma pur sempre un prodotto, come un cellulare o, come ha detto il giudice conservatore Antonin Scalia, un broccolo (audio transcript delle tre giornate di hearing sono qui (1), qui (2) e qui (3)). Per esempio: lo stato può imporre a un cittadino di comprare un’auto di produzione americana per un fine nobile e utile come quello di rilanciare l’economia? E ancora: si può punire un cittadino per la sua “inattività”, cioè perché non ha comprato la polizza sanitaria?

Il dibattito continuerà fino a giugno, e se la Corte dovesse ravvedere un’incostituzionalità nella legge, la questione arriverà dritta dritta nelle urne a novembre. Obama è intervenuto in modo piuttosto anomalo e pesante, dichiarando: “Ho fiducia nel fatto che i giudici non prenderanno la misura, straordinaria e senza precedenti, di abbattere una legge che è stata votata dalla solida maggioranza di un Congresso eletto democraticamente”.

E ha anche definito i giudici “un gruppo di non eletti che potrebbe in qualche modo revocare una legge costruita e votata in modo corretto”. Il mestiere della Corte è “abbattere” leggi approvate dal Congresso (e questa, in particolare, non aveva nemmeno una maggioranza definibile solida, fu il risultato di un compromesso doloroso) qualora veda in esse delle incostituzionalità. Ma il bottino politico, in questo caso, è talmente alto che anche i colpi bassi sono leciti.

I liberal stanno tentando ogni via per imporre nel dibattito un messaggio chiaro: la Corte Suprema non può rivedere l’Obamacare, sarebbe come dire che vota repubblicano a novembre. La visione è ovviamente distorta, ma qualcuno arriva addirittura a chiedere l’impeachment dell’intera corte (4).

Le conseguenze economiche non sono calcolabili, se si pensa al business – ci sono in mezzo dei prodotti da acquistare obbligatoriamente! – che gira intorno alla riforma. Moody’s ha provato a fare una stima dell’impatto della revisione sugli ospedali (5) e le cifre sono indigeribili. Soprattutto per un sistema già così stiracchiato economicamente come quello americano. E pure in campagna elettorale.

(1)

http://blog.heritage.org/2012/03/26/audio-and-transcript-obamacare-at-the-supreme-court-day-one/

(2)

http://blog.heritage.org/2012/03/27/transcript-obamacare-at-the-supreme-court-day-two/

(3)

http://blog.heritage.org/2012/03/28/audio-and-transcript-obamacare-at-the-supreme-court-day-three/

(4)

http://www.huffingtonpost.com/nathan-newman/supreme-court-health-care-law_b_1405825.html

(5)

http://www.moodys.com/research/Moodys-Healthcare-Law-Repeal-Would-Raise-Costs-and-Squeeze-For--PR_242586#