Il campo d’applicazione della statistica ai fenomeni sociali è, come noto, molto ampio. Uno dei vantaggi delle ricerche fatte per bene è che su molti degli argomenti trattati – per esempio, quelli relativi all’emigrazione – si riduce il «tasso d’emotività» che solitamente accompagna la discussione. Un altro è che si può parlare seriamente degli argomenti di cui si è curiosi, ma di cui solitamente ci si vergogna anche solo a pensarci – quali, per esempio, se esiste una relazione fra altezza e carriera. Ci proponiamo di pubblicare – un paio di volte al mese – le sintesi delle ricerche disponibili su questi temi. Iniziamo con la relazione fra immigrazione e criminalità.


La presunta relazione positiva tra criminalità e immigrazione è oggetto di frequenti discussioni, spesso dai toni molto accesi, nell’arena politica. L’immagine stereotipata dell’immigrato criminale è presente nelle comunicazioni dei mass media, nei dibattiti politici e, di riflesso, nell’opinione pubblica. La tendenza sembra essere quella di affrontare la questione attingendo a pregiudizi e luoghi comuni, dimenticando che esistono strumenti scientifici, come quelli econometrici, volti a identificare e misurare le relazioni tra le variabili, che possono offrire risposte meno «emotive» e più rigorose a quesiti importanti.
 
Milo Bianchi, Paolo Buonanno e Paolo Pinotti hanno presentato alla Banca d’Italia un articolo, Immigration and crime: An empirical analysis, nel quale mostrano che nel nostro paese non esiste alcuna correlazione tra immigrazione e tassi di criminalità. In particolare, gli autori prendono in considerazione i crimini contro la proprietà e i crimini totali. Disaggregando i dati, emerge che una sola tipologia di crimine ha una relazione positiva con l’immigrazione: le rapine, che però rappresentano rispettivamente soltanto l’1,8% e l’1,5% dei crimini contro la proprietà e di quelli totali (il che spiega perché a livello aggregato non si evidenzi una correlazione significativa). L’analisi empirica prende in considerazione tutte le province italiane nel periodo 1990-2003 ed è basata sui dati ufficiali.
 
Ricerche analoghe sono state fatte in altri paesi; le più numerose riguardano gli Stati Uniti, dove la disponibilità di statistiche sull’argomento è maggiore che altrove. Hagan e Palloni (1999) confrontano i tassi di criminalità delle città statunitensi di frontiera, che hanno un più alto numero d’immigrati, con quelli delle altre città e trovano che non esistono differenze significative. Butcher e Piehl (1998) hanno condotto uno studio prendendo in considerazione le città degli Stati Uniti di maggiori dimensioni e trovando che nel 1980 e nel 1990 le città con un più alto numero d’immigrati presentavano anche più alti tassi di criminalità. In seguito gli stessi autori hanno però sottolineato come molti fattori che caratterizzano le città con più immigrati (ad esempio, numerosità e densità della popolazione) possano aver portato a risultati che evidenziavano una correlazione positiva tra immigrazione e criminalità anche in assenza di un impatto causale dell’immigrazione sul crimine. Per questo motivo nel 2006 Butcher e Piehl hanno presentato una ricerca in cui confrontavano le città con una grande percentuale di nuovi immigrati con quelle con pochi nuovi immigrati: l’analisi non mostra alcuna relazione statisticamente significativa tra immigrazione e crimine. Reid, Weiss, Adelmana e Jareta (2005) affermano che nelle aree metropolitane statunitensi non esiste alcuna correlazione tra immigrazione e crimine (sia contro la persona sia contro la proprietà); anzi gli immigrati, rivitalizzando l’economia delle città, fanno diminuire il livello di criminalità (soprattutto contro la proprietà).
 
Negli Stati Uniti il quadro normativo prevede meccanismi che disincentivano gli immigrati dal commettere atti criminali. In primis, a quelli legali viene controllata la fedina penale. In secondo luogo, gli immigrati, legali o illegali, che siano privi della cittadinanza sono incentivati a non commettere crimini gravi perché in tal caso rischierebbero l’estradizione. Ancor di più gli immigrati illegali hanno tutto l'interesse a non commettere alcun tipo di crimine, neppure «minore», per evitare di entrare in contatto con le forze dell’ordine e così rendere noto il loro status di «immigrati illegali», pena l’estradizione dal paese.
 
I risultati di diversi studi condotti di recente fanno quindi ritenere che gli immigrati non siano così pericolosi come qualcuno sostiene.