Nella prima delle due note note (1) avevamo raccontato perché l'arrivo del tapering – ossia di una minore quantità di obbligazioni private e pubbliche comprate dalla banca centrale statunitense - avrebbe spinto all'ingiù il prezzo delle obbligazioni e all'insù quello delle azioni. Nella seconda delle due note avevamo raccontato perché il dollaro – pur rimanendo la maggior moneta di riserva – avrebbe avuto un comportamento definibile come “debolmente stabile”. Per il momento le cose stanno andando nella direzione delle due note. Vedremo se in futuro andranno come nella nostra previsione a più lungo termine, ossia se la borsa prima o poi si sgonfierà, ed il dollaro avrà un “guizzo”, man mano che i rendimenti delle obbligazioni statunitensi saliranno.

1- Il Quantitative Easing

Da tempo la banca centrale statunitense comprava ogni mese 40 miliardi di dollari di obbligazioni private e 45 miliardi di dollari di obbligazioni del Tesoro. Il nome di questa politica è “Quantitative Easing”. Il nome della stessa politica che, sebbene continui ad acquistare copiosamente le obbligazioni, lo fa a un passo minore, ha preso il nome di “Tapering”. La Federal Reserve qualche giorno fa ha deciso di ridurre gli acquisti mensili di obbligazioni private a 35 miliardi e di quelle sovrane a 40. Qual è la logica di questa politica e quali possono essere gli effetti?

La logica

Le banche di credito ordinario accendono i mutui ipotecari per finanziare l'acquisto di abitazioni e poi li vendono a chi li impacchetta in forma di obbligazioni. Queste obbligazioni con in pancia i mutui sono poi vendute agli investitori finali. Perciò le banche si liberano di una parte del proprio attivo – i mutui – e quindi possono erogare un maggior credito alle imprese. Per questa ragione l'acquisto di obbligazioni con in pancia i mutui ipotecari da parte della banca centrale è un'attività importante. La banca centrale comprando queste obbligazioni ne alza il prezzo (scendono i rendimenti e quindi retroattivamente il costo dei nuovi mutui e di quelli che vanno rinnovati), e, in ogni modo, rende il loro mercato liquido (ossia aiuta la discesa dei rendimenti, perché scende il premio per il rischio che si chiederebbe per un'attività che può diventare meno liquida). L'acquisto di obbligazioni con in pancia i mutui è un canale di trasmissione della politica monetaria nella direzione dell'economia reale, perché la banca centrale, tenendo bassi i rendimenti schiaccia il costo dei mutui (e perciò aiuta le famiglie), mentre libera una parte non modesta del bilancio delle banche (e perciò aiuta le imprese).

Con la crisi economica il bilancio pubblico incassa meno imposte, mentre le sue spese salgono in modo automatico per effetto dei sussidi di disoccupazione. Le maggiori spese e le minori entrate generano un maggior deficit, che è finanziato con l'emissione di nuove obbligazioni. Per far spazio nei portafogli dei privati al maggior debito, il prezzo delle obbligazioni deve scendere (i rendimenti devono salire). Ecco allora che la banca centrale interviene comprando il debito. Non può agire sul deficit che genera debito, mentre può comprimere il costo del debito. Tenendo i rendimenti del debito pubblico più bassi di quanto altrimenti sarebbero, la banca centrale rende la politica fiscale meno onerosa nel periodo della crisi.

Questa politica di acquisto di obbligazioni private e del Tesoro non può però durare all'infinito, perché, in tal caso, avremmo una banca centrale che diventa alla lunga proprietaria di tutto il reddito fisso in circolazione. Il compito normale della banca centrale è, infatti, quello di modulare i tassi di interesse per aiutare la crescita senza avere un'inflazione elevata, non quello di agire come un fondo pensione senza “vincoli di bilancio”. La banca centrale non ha, infatti, vincoli di bilancio, perché può creare moneta “a volontà”. Perciò la politica di acquisti di obbligazioni prima o poi deve terminare, altrimenti si finisce per vivere in un mondo artificiale in cui i prezzi dell'attività finanziaria principale non sono determinati dal mercato, ma da un'autorità centrale onnipotente e indipendente.

Le obbligazioni sono l'attività finanziaria più importante, perché definiscono contemporaneamente sia un reddito sostanzialmente “sicuro” sia il “fattore di sconto” degli altri redditi. Per esempio, il prezzo di un'azione è determinato dal flusso di profitti scontato per il rendimento dei titoli del Tesoro a lungo termine.

Gli effetti

Insomma, la politica del Quantitative Easing ha una sua logica – perché aiuta a uscire dalla crisi – ed ha un suo limite – la sua “barriera assorbente” -, perché non può durare all'infinito. Riducendosi – grazie al Quantitative Easing - i rendimenti sulle obbligazioni statunitensi, ecco che i capitali vanno alla ricerca di attività più redditizie.

Si hanno allora gli acquisti di titoli dei Paesi emergenti. Sono venduti i dollari per comprare le valute emergenti e sono comprate le obbligazioni emergenti. Si ha che salgono le valute così come si ha che salgono i prezzi delle obbligazioni emergenti. Vale il contrario, quando i rendimenti delle obbligazioni statunitensi salgono. Per questa ragione, mesi fa, ai tempi del primo annuncio del Tapering, le valute e le obbligazioni dei Paesi emergenti sono cadute. Lo stesso ragionamento, salvo l'effetto valutario, vale per le obbligazioni private statunitensi di minor qualità, come i “Junk Bond”. Man mano che i rendimenti dei titoli del Tesoro si avvicinano ai rendimenti delle attività rischiose, queste devono offrire dei rendimenti maggiori per essere comprate. Più precisamente, i titoli del Tesoro hanno un rischio tasso – i prezzi possono salire oppure scendere a seconda della dinamica dei tassi - ma non hanno un rischio emittente – il Tesoro è, infatti, solvente. Gli altri titoli – quelli dei Paesi emergenti e quelli delle imprese – hanno un rischio tasso, ma hanno un rischio emittente – possono, infatti, non poter ripagare il debito.

L'altro effetto è sulla borsa. Con rendimenti obbligazionari bassi e liquidità abbondante - la liquidità dei privati che non viene impiegata per acquistare tutte le obbligazioni private e sovrane, perché la banca centrale in parte le compra - ecco che si ha una crescita degli investimenti azionari. La borsa degli Stati Uniti è cresciuta - da quando c'è il Quantitative Easing - molto più di quanto siano cresciuti gli utili – ossia il rapporto prezzo utili, o la capitalizzazione rispetto al flusso di utili è salita - con ciò mostrando che si è avuto un “trascinamento da liquidità”.

E veniamo all'oggi

La Federal Reserve qualche giorno fa ha deciso di ridurre gli acquisti mensili di obbligazioni private a 35 miliardi e di quelle sovrane a 40. Insomma, un passo ancora molto piccino, ma la direzione è stata indicata. Ed ecco le prime reazioni.

La premessa è che la riduzione degli acquisti di obbligazioni da parte della banca centrale rende meno attraenti le azioni. La borsa statunitense, invece, è salita. Possiamo immaginare che fossero attive le posizioni di chi pensava che fosse possibile un Tapering di maggior entità. Visto che, alla fine, il Tapering è stato piccino, gli operatori hanno pensato che la borsa potesse riprendere a salire, o quanto meno a non scendere, e dunque hanno chiuso le posizioni “scoperte” - ossia quelle operazioni in cui si guadagna se i prezzi cadono. Il gergo c'è stato il “short covering”. Le azioni, prese a prestito e vendute contando di ricomprale a un prezzo inferiore, sono state comprate e rese. I prezzi sono perciò saliti, ma l'ascesa, in questo caso, è dipesa da un singolo evento - la decisione della banca centrale -, che, come tale, non è il segno di una tendenza. In gergo finanziario si è avuto un mercato “event driven”, ossia mosso da un evento preciso.

L'altra possibilità, che spiega l'ascesa della borsa dopo l'annuncio del Tapering, è quella che afferma che c'è chi pensa che, se la politica monetaria resta ancora ultra espansiva – e dopo tutto lo è ancora, non saranno certo i dieci miliardi in meno sugli ottantacinque di acquisti mensili ad avere importanza, allora si può continuare ad avere un mercato trainato dalla liquidità (=i capitali che andrebbero a comprare le obbligazioni private e sovrane vanno da un'altra parte, perché è la banca centrale ne compra ancora una quota cospicua). In gergo si ha un mercato “liquidity driven”, ossia trainato da una liquidità abbondante.

Allo stato non si può affermare che l'ascesa dei mercati sia “event driven” oppure “liquidity driven”, oppure ancora, una combinazione delle due cose. Come che sia, segnaliamo che il mercato delle azioni statunitense è o già nell'area da dove è sempre flesso negli ultimi decenni, o abbastanza vicino a quest'area. Questo non vuol dire che siamo giunti nell'area di sicura inversione. L'inversione può, infatti, arrivare, come mostrano i grafici che si trovano nei link, anche dopo molto tempo.

2- Il dollaro

Ci volevano 1,2 dollari per ogni euro ai tempi della crisi greca, oggi, invece, si debbono sborsare più di 1,35 dollari per avere sempre un euro. Intanto che si osservano queste oscillazioni, i cinesi si riarmano, e, sebbene meno di un tempo, continuano a svilupparsi. Gli Stati Uniti sembrano perciò meno forti verso l'euro area, se misuriamo la forza in termini valutari, e sembrano meno forti dei cinesi se misuriamo la forza in termini di potenza militare relativa e di tassi di crescita relativi. Dove mai potrà finire il dollaro, che possiamo immaginare come il luogo dove tutto questo sommovimento converge?

Proviamo a sbrogliare la matassa con un ragionamento a strati.

Primo strato

Abbiamo il dollaro, l'euro, e - secondo alcuni in prospettiva - lo yuan come monete di riserva. Vediamo come tirar fuori una classifica di idoneità (una sorta di rating). Una moneta di riserva è tale se il suo valore è preservato anche in presenza di eventi gravi. Perciò:

Il Paese che detiene la moneta di riserva deve avere una forza militare preponderante, in grado di scoraggiare ogni tentativo di conquista o di influenza rovinosa (condizione 1); deve essere anche in grado di minacciare chi non sta alle regole del gioco attraverso il sequestro di beni dei riottosi; deve, in altre parole, offrire la certezza del diritto alla comunità internazionale (condizione 2). In relazione a queste due prime condizioni, possiamo constatare che l'Europa non ha la medesima forza militare e legale degli Stati Uniti. Il Paese con la moneta di riserva deve possedere una tecnologia predominante per mantenere un vantaggio sui nemici (condizione 3); gli Stati Uniti soddisfano questa condizione; sebbene in misura minore, anche l'Europa detiene questo vantaggio. In caso di guerra protratta, il Paese con la moneta di riserva deve avere delle risorse sufficienti per sopravvivere; l'autosufficienza alimentare gioca quindi un ruolo importante (condizione 4); sia gli Stati Uniti sia l'Europa possiedono questa capacità. Infine, il Paese con la moneta di riserva deve avere dei mercati finanziari grandi ed efficienti in grado di assorbire gli eventi negativi di un certo peso (condizione 5). I mercati europei e statunitensi presentano queste caratteristiche.

Delle cinque condizioni l'Europa ne soddisfa tre, mentre gli Stati Uniti le soddisfano tutte. La conclusione è perciò che l'euro potrebbe essere una moneta di riserva al pari del dollaro se l'Europa disponesse di un'adeguata forza militare ed un significativo “ombrello” legale. Mancando queste due condizioni, l'alternativa che resta all'Europa è quella di essere un soggetto politico con una moneta forte ma privo di capacità militare, come la Svizzera. Ossia, l'Europa ha una capacità militare sufficiente per impedire l'invasione del proprio territorio, ma è incapace di uscire dai propri confini. Altrimenti detto, l'euro è un gigantesco franco svizzero. Solo in un futuro definitivamente pacificato (un mondo “irenico”), l'euro potrebbe ambire a pieno titolo al ruolo di moneta di riserva insieme al dollaro.

Costruiamo una tabella e proviamo a dare un rating anche alla Cina.

 

Stati Uniti

Europa-euro

Cina

Forza militare globale

si

no

in parte

Garanzia diritto globale

si

no

no

Potenza tecnologica

si

si

in parte

Autosufficienza cibo

si

si

?

Efficienza mercati

si

si

no

 

Secondo strato

Se passiamo dal quadro geopolitico a quello squisitamente economico, abbiamo un altro problema per l'Europa dell'euro. Una moneta di riserva è tale se è a disposizione dell'estero. Ossia, la moneta deve essere offerta. Come la si fa ad offrire? Con i disavanzi nella bilancia dei pagamenti correnti. In questo modo l'estero possiede dei crediti maggiori dei propri debiti. E i crediti sono nella valuta di riserva. L'Euro area, invece, ha una bilancia dei pagamenti correnti in avanzo.

Ciò che non avviene fra gli Stati Uniti e la Cina. La Cina esporta (è in avanzo) più di quanto importi dagli Stati Uniti (sono in disavanzo) e la differenza, per mantenere in cambio, si trasforma in titoli del Tesoro degli Stati Uniti in mano ai cinesi. Altrimenti detto, se i cinesi non comprassero i titoli del Tesoro statunitense con il controvalore dei dollari in eccesso avrebbero una montagna di dollari che preme sul mercato dei cambi spingendo al rialzo il yuan, ciò che ridurrebbe la capacità competitiva delle merci cinesi. I cinesi forzano, tenendo fisso o semi fisso il cambio, la propria crescita esportando dei beni che non avrebbero un gran domanda sul mercato interno nelle prime fasi dello sviluppo, mentre gli Stati Uniti possono comprare dei beni a minor prezzo.

Naturalmente c'è un limite alla detenzione di titoli del Tesoro da parte dei creditori. Un conto è averne pochi, altro è averne tantissimi, come è il caso della Cina (insieme ai cinesi della “diaspora” come Hong Kong, Taiwan, e Singapore), oltre che il Giappone. Oltre un certo limite, si crea una condizione di “mutua distruzione assicurata”. Come ai tempi della Guerra Fredda, da un lato il possesso di troppi missili rendeva impossibile la guerra, ma dall'altro tutti ne avevano paura. Nel caso dei crediti asiatici, questi possono minacciare di non rinnovare il debito statunitense che va in scadenza, ma, sempre in questo caso, incorrerebbero in gravi perdite, se provassero a rimpatriare la valuta, cambiandola nella moneta nazionale. Potrebbero perciò vendere i titoli e lasciare il controvalore negli Stati Uniti, ma, in questo caso, potrebbero essere oggetto di ritorsioni. Insomma, abbiamo un equilibrio instabile e perciò insoddisfacente.

Tirando le somme, il dollaro dovrebbe restare la maggiore valuta di riserva, con l'euro che “rosicchia” posizioni ma non lo “detronizza”. Si potrebbe col tempo arrivare a una “diarchia”, se l'euro area andasse in disavanzo nei conti con l'estero. L'euro area ha però al centro la Germania, che come la Cina e il Giappone, è un esportatore netto. E' perciò difficile pensare che cambi il proprio modello di sviluppo diventando un importatore netto, e dunque l'euro non sarà mai offerto in misura sufficiente per farlo diventare una valuta di riserva preponderante. E questo al di là delle succitate questioni militari e legali, ossia, in breve, che l'euro può diventare la valuta di riserva solo in mondo “irenico”.

Terzo strato

La previsione, vero quanto fin qui detto, è che il dollaro si manterrà “debolmente stabile” sia verso l'euro sia verso lo yuan. In termini di bilancia commerciale è debole, e dunque si dovrebbe deprezzare, ma l'afflusso di capitali, almeno in parte, lo rinforza.

Abbiamo fin qui fatto un ragionamento a due “strati” – quello geopolitico e quello economico – che militano per un dollaro “debolmente stabile”. Mette conto ricordare che il dollaro potrebbe ad un certo punto avere un “guizzo”. Bisogna, infatti, aggiungere un terzo strato, quello strettamente finanziario, che emergerà quando la politica monetaria statunitense diventerà meno lasca. Con la riduzione degli acquisti di obbligazioni da parte della Federal Reserve, i rendimenti statunitensi dovrebbero risalire e dunque, diventando più competitivi, i capitali, soprattutto quelli finiti nei paesi emergenti, torneranno negli Stati Uniti, rafforzando temporaneamente il dollaro.

 

(1) Le due note, che riprendono e rielaborano i lavori di Lettera Economica, sono state pubblicate su Linkiesta:

http://www.linkiesta.it/fed-tapering-logica-effetti

http://www.linkiesta.it/dollaro-mercato-valute-evoluzione