Quali sono le prospettive del Brasile negli anni a venire? Sono in molti a porsi questa domanda, a partire dalle imprese che vogliono entrare in questo mercato che, da solo, offre su un piatto d’argento circa 200 milioni di cittadini/consumatori e, inoltre, può essere un buon passepartout per l’intero Sudamerica. Cominciamo col dire che, almeno sino al 2016, quando il paese ospiterà per la prima volta nella sua storia (e del Sudamerica) i Giochi Olimpici a Rio de Janeiro, quasi tutti gli analisti «neutrali» – ovvero né filogovernativi né antigovernativi – prevedono un trend positivo. Per rendersene conto, del resto, è sufficiente analizzare gli outlooks delle principali agenzie di rating internazionali. Dal 2008 a oggi il Brasile, assieme ad appena altri 11 paesi al mondo, ha incassato voti più alti sia da Moody’s che da Standard & Poor’s e Fitch, ottenendo il cosiddetto investment grade, ovvero l’attestato di paese dove gli investimenti sono particolarmente sicuri.

Altro indicatore che testimonia come la tendenza alla crescita in Brasile non sia destinata a scemare almeno nei prossimi cinque anni è il valore per metro quadrato degli immobili nelle principali città del paese a cominciare da Rio, San Paolo e Brasilia dove, in euro, negli ultimi cinque anni i prezzi sono in media quadruplicati. A San Paolo oggi il valore del metro quadrato nei quartieri residenziali di classe alta ha superato i 5-7.000 euro e a Rio addirittura i 10-12.000 euro, mentre le analisi prospettiche di qui alle Olimpiadi delle principali compagnie di real estate non prevedono contrazioni, anzi...

Naturalmente, il «boom» ha fatto sì che negli ultimi cinque anni in Brasile sia aumentato anche il costo della manodopera, oggi in media più alto di almeno il 30-40% rispetto, ad esempio, alla vicina Argentina, e ciò soprattutto a causa del cambio. Nonostante una lieve svalutazione nei confronti del dollaro degli ultimi 30 giorni, infatti, nella regione sudamericana il real brasiliano continua a essere la valuta forte e nei confronti dell’euro, ad esempio, si è rivalutato di circa il 40% dal gennaio 2009 a oggi. Se all’epoca con un euro si acquistavano 3,40 reais, oggi si è passati a 2,47 reais. Discorso analogo vale per il dollaro, e dunque il paese del samba ha avuto una valorizzazione netta in valuta estera dei salari e, di conseguenza, del costo della manodopera. A ciò si aggiunga che l’inflazione negli ultimi giorni ha superato il 7,2% annuo, oltre il livello massimo del 6,5% previsto dalla banca centrale, trascinata anche dall’aumento del cosiddetto «salario minimo» che, a gennaio, sarà nuovamente ritoccato verso l’alto.

Di fronte al surriscaldamento dell’economia, testimoniato anche da un tasso di disoccupazione ai minimi storici, ovvero sotto il 6%, la banca centrale, in modo del tutto inatteso dagli analisti, ha abbassato lo scorso 1° settembre il tasso SELIC (equivalente al nostro TUS), che passa dal 12,5 al 12%. Dal luglio del 2009 non accadeva, e, se ciò ha avuto qualche effetto positivo sull’ipervalorizzato real, resta un’incognita di breve-medio periodo sull’inflazione. Di certo, nel caso l’indice dei prezzi dovesse salire ulteriormente, è possibile che la prima riduzione del tasso SELIC effettuata dalla banca centrale verde-oro negli ultimi 26 mesi possa essere prontamente rivista.

Sullo sfondo, tuttavia, rimane un paese, e soprattutto un «sistema paese», che sembra funzionare assai meglio di tanti altri e che, se non altro, si muove compatto per cercare di approfittare del momento storico che lo vede protagonista. Lo si è visto qualche giorno fa quando, alla riunione del G20, il ministro dell’Economia Guido Mantega è stato «corteggiato»dalle tv e dai colleghi di mezzo mondo. Se ne ha la conferma quando Dilma Rousseff, in copertina di Newsweek, apre l’Assemblea Generale dell’Onu, prima donna all times ad avere l’onore. Lo vedremo tra il 5 e l’11 ottobre quando, scortati dallo stesso Mantega, dal ministro per lo Sviluppo, l’Industria e il Commercio Estero Fernando Pimentel, da quello dell’Innovazione Tecnologica Aloizio Mercadante e dal guardasigilli José Eduardo Cardozo, sbarcheranno in Italia circa 200 tra i principali imprenditori brasiliani. Obiettivo della «spedizione», approfondire le relazioni economico-commerciali tra i due paesi e fare «business» su entrambe le sponde dell’oceano. Per la prima volta, con alcune rare eccezioni, degli imprenditori brasiliani cercheranno di entrare sul mercato italiano alla ricerca, mai come oggi, di investimenti esteri diretti.

Sul fronte opposto, le due imprese italiane che vedono «in ballo» commesse per un importo totale di 6 miliardi di euro sono Finmeccanica e Fincantieri. Senza dimenticare Ferrovie dello Stato e Ansaldo, in corsa per la costruzione della linea ad alta velocità fra Rio de Janeiro, San Paolo e Campinas, o Saipem, che sta lavorando a una serie di nuovi contratti per la costruzione di infrastrutture per l’estrazione del gas.

Altro dato che è bene non dimenticare: l’interscambio commerciale tra Roma e Brasilia negli ultimi anni è stato costantemente in rosso per Roma. Nel periodo compreso tra il 2006 e il 2009, l’Italia ha sempre importato più dal Brasile che non viceversa, e la differenza, ovvero il deficit commerciale per Roma, ha ampiamente superato il miliardo di euro. Se l’Italia appare in crisi produttiva e, all’estero, di immagine, il Brasile nel 2010 ha battuto l’ennesimo record di esportazioni con un +32% rispetto al 2009. Altro punto importante: le imprese italiane presenti in Brasile sono moltissime e controbilanciano la crisi sul nostro «stitico» mercato interno proprio grazie al «boom» verde-oro che anch’esse cavalcano. Qualche mese fa Fiat ha annunciato un investimento di 1,3 miliardi di euro per costruire un nuovo impianto nel nord-est brasiliano. Ma anche altre aziende italiane fanno buoni affari in terra brasiliana, a cominciare da Tim Brasile, Pirelli, Brembo, Bulgari, Impregilo, Iveco, Magneti Marelli, Gruppo Marcegaglia, Piovan, Radici Group, Schnell e Ansaldo. Una presenza che almeno sino al 2016, a detta degli analisti, dovrebbe essere assai vantaggiosa.