L'idea, esposta oggi, è che per difendere gli interessi dei vecchi azionisti e per non averne uno nuovo troppo potente, lo stato, le banche, invece di varare degli aumenti di capitale per ridurre la leva, potrebbero, sempre per ridurre la leva, comprimere gli impieghi a parità di capitale. La riduzione degli impieghi, ossia del credito all'economia, alla fine riduce la crescita economica. E questo effetto non è certamente apprezzato dal mondo politico. Insomma, è in corso un duro negoziato fra i massimi dirigenti delle banche europee con i vecchi e con i nuovi azionisti.

I nodi delle banche europee stanno arrivando al pettine. Oggi alcuni esponenti delle banche europee hanno affermato che, in alternativa agli aumenti del capitale, le banche possono ridurre gli impieghi. Sembra un'asserzione innocente oppure noiosamente contabile, ma non lo è. Infatti, è l'articolo maggiore sulla prima pagina del Financial Times (1).

Si hanno due nodi che spingono a ricapitalizzare le banche. La riduzione delle leva bancaria, ritenuta troppo alta (vedi a), e l'eventuale registrazione delle perdite sulle obbligazioni dei paesi europei “mal messi” detenute in portafoglio (vedi b).

a) Le banche hanno gli impieghi e hanno il capitale di rischio. La leva è il rapporto fra i due. Una banca che abbia impieghi (crediti verso le imprese, le famiglie, obbligazioni, partecipazioni) di 100 e un patrimonio di 4, ha una leva di venticinque (100/4=25). Ossia, ha una “dose” di mezzi propri ogni venticinque “dosi” di impieghi. Le nuove regole internazionali sulle banche – dette di Basilea III - le spingono ad avere una leva dimezzata, pari a 12,5 volte, ossia 100 di impieghi e 8 di patrimonio (100/8=12,5). Lo scopo della riduzione della leva è quello di non avere in futuro delle banche troppo esposte e dunque con un rischio di crisi finanziaria, se le cose andassero male.

b) la crisi dei debiti pubblici dei paesi minori spinge le banche a varare degli aumenti del capitale, indipendentemente dalle regole di Basilea III. Se gli investimenti nel debito greco dovessero essere cancellati, o se si dovesse partecipare al salvataggio della Grecia accettando che le nuove obbligazioni greche abbiano un valore facciale pari alla metà del passato, ecco che le banche dovrebbero aumentare il proprio capitale per bilanciare un minor valore degli impieghi.

E siamo al dunque. Le banche europee possono aumentare il proprio capitale – per soddisfare le regole di Basilea III e per affrontare la crisi del debito dei paesi “mal messi” - o chiedendo denaro ai mercati, oppure chiedendo denari agli stati.

Se in passato la banca valeva in Borsa 1000 euro, il 10% valeva 100 euro. Se la banca adesso vale 500 euro e deve varare un aumento del capitale di 500 euro, chi prima aveva il 10% si troverebbe, se non sottoscrive, con il 5%. Sottoscrive allora l’aumento del capitale, e dunque investe, per avere ancora il 10%, altri 50 euro. Alla fine, per avere il 10%, ha investito 150 euro per una banca che ne vale 1000, mentre in passato con 100 euro aveva il 10% di una banca che valeva sempre 1000 euro – non proprio un grande affare, si direbbe. Gli azionisti storici, se rinunciassero a sottoscrivere l'aumento del capitale, avrebbero un minor controllo. Se, invece, il capitale fosse sottoscritto dagli stati, i dirigenti delle banche dovrebbero fare i conti con un nuovo (e piuttosto potente) azionista di riferimento.

(1) http://www.ft.com/intl/cms/s/0/f2e62f82-f4f2-11e0-9023-00144feab49a.html#axzz1aXop8AFG