Al Referendum è passato in larga misura il NO. Il bicameralismo perfetto è rimasto così come la suddivisione di molte delle competenze fra Stato centrale e Regioni. Il Presidente del consiglio si è dimesso, ma trattandosi di un referendum e non di elezioni, la maggioranza politica è quella di prima (PD alla Camera e PD con alleati al Senato). Nei prossimi giorni la Legge di bilancio dovrebbe essere approvata dal Senato, e da lì dovrebbe incominciare la battaglia politica. Governo politico solo “balneare”, oppure governo “tecnico”, eccetera. Il mercato finanziario italiano ha intanto registrato una caduta del prezzo delle azioni delle banche, ed una leggera flessione dei prezzi dei BTP. Una volta saremmo subito corsi a vedere il cambio della Lira, ma essa (per fortuna) non c'è più.
Per scrutare il futuro ci vuole una tesi secca (estrema, senza sfumature) così da poterla accogliere o respingere. La propongo.
La crescita potenziale di lungo periodo (che è molto difficile da misurare) è diminuita ovunque (negli Usa, in Europa, e in Giappone) e non solo in Italia. Come rilanciarla? C'è chi propone una maggior spesa pubblica in deficit (finanziata con l'emissione di obbligazioni e non anche con moneta come negli anni Settanta). Se l'economia crescesse del tre per cento in termini reali (invece dell'uno per cento), e se i prezzi crescessero del due per cento (invece dell'uno per cento), si imboccherebbe la strada dell'uscita dai nostri problemi.
La maggior spesa pubblica in deficit spinge in alto il tasso di crescita potenziale di lungo periodo? Nella posizione keynesiana classica, il deficit è uno strumento per espandere la crescita ciclica, non quello adatto a spingere la crescita strutturale. Tralasciamo l'obiezione che l'espansione della spesa non è temporanea: la si espande quando l'economia va male, ma non la si contrae quando va bene, perché il “partito della spesa” che diventa pervasivo non accetta il rientro delle spese.
Che la spesa sia temporanea o permanente essa può in ogni caso poco – sempre che il costo del finanziamento della maggior spesa resti invariato. E può poco se la crescita potenziale di lungo periodo moscia non dipende dal governo, che, insieme alla maggior spesa, può varare delle riforme del mercato dei prodotti e del lavoro, ma dalla demografia.
La tesi secca è questa: 1) assumendo che il No sia un voto di conservazione (si può essere d'accordo o meno con l'assunto, vedi sotto), allora 2) il prossimo governo potrà solo alzare la spesa in deficit, ma non potrà varare altre riforme sul lato dell'offerta (si può essere d'accordo o meno con la conseguenza del primo assunto), e 3), in ogni caso, non potrà incidere (come peraltro qualsiasi governo) sulla demografia negativa che di suo ha tempi lunghissimi per risolversi.
Abbiamo appena affermato che il No è stato un voto di “conservazione”. Viene il dubbio che sia anche di “protesta” e/o di “indifferenza”. Esso è stato massimo dove la disoccupazione è maggiore, e fra i giovani. I disoccupati e i giovani, si arguisce, vorrebbero un maggior intervento pubblico, per veder ridurre, attraverso la maggior nuova domanda, la disoccupazione. Intervento pubblico che non necessariamente si manifesta come opere pubbliche, ma anche come salario di cittadinanza, o come tassa negativa sul reddito. In conclusione, dopo la vittoria del No lo “statalismo” vede accresciuta la sua probabilità di affermarsi.
Per approfondire:
http://www.lavoce.info/archives/44056/politica-fiscale-quanti-interrogativi-sul-nuovo-consenso/
http://www.centroeinaudi.it/agenda-liberale/articoli/4562-l-anno-nero-dell-europa-prima-parte-riflessioni-di-politica-monetaria.html
http://www.centroeinaudi.it/agenda-liberale/articoli/4404-diseguaglianza-e-reddito-minimo-ii-una-tassa-negativa-sui-redditi-inferiori-alla-linea-di-povert%C3%A0.html
Per una analisi statistica del voto, come comparazione con Brexit e Trump, e come analisi dell'Italia singolarmente presa:
https://www.ft.com/content/9bc3cdf0-bb2f-11e6-8b45-b8b81dd5d080
© Riproduzione riservata