Per la prima volta il nuovo presidente dell'Indonesia è una persona le cui origini sono estranee all'élite politica ereditata dal regime di Suharto

L'Indonesia inizia il 2015 con un nuovo presidente ed un nuovo governo. La terza democrazia più popolosa del mondo è riuscita a portare a termine senza inconvenienti un vasto processo elettorale che ha coinvolto circa 185 milioni di elettori. Questi sono stati chiamati alle urne in due distinte occasioni: in aprile per le elezioni legislative e in luglio per votare le elezioni presidenziali.
Il 9 aprile 2014 le elezioni legislative hanno visto in corsa 12 partiti che si sfidavano per la rappresentanza di 20.389 seggi suddivisi tra il Parlamento nazionale, il Majelis Permusyawaratan Rakyat (MPR), le assemblee provinciali e le assemblee distrettuali (Figura 1).
Il risultato ha confermato l'annunciata sconfitta del Partai Democrat (PD) dell'uscente Presidente Susilo Bambang Youdhoyono e la vittoria del maggiore partito di opposizione, il Partai Demokrasi Indonesia Perjuangan (PDI-P), il partito democratico indonesiano di lotta di Megawati Sukarnoputri, figlia di Sukarno.
Il PDI-P ha conquistato una debole maggioranza (18,95%). La scelta di voler presentare Joko Widodo come candidato del partito alle presidenziali è stata confermata troppo tardi per sortire un risultato decisivo sul voto.

Il Golkar, partito del regime, conquistando il 14,75% dei voti ha invece dimostrato il forte legame che esiste ancora con il regime di Suharto. Altre forze conservatrici, legate all'apparato militare, hanno fatto guadagnare voti al Partai Gerakan Indonesia Raya (Gerindra) dell'ex comandante delle forze speciali Kopassus, Prabowo Subianto. Il partito di Prabowo, infatti, ha ottenuto l'11,81% dei voti, un risultato quasi tre volte maggiore rispetto alle precedenti elezioni del 2009, che lo ha portato al terzo posto tra i partiti più votati nelle elezioni del 2014. Due nuovi partiti nati dalla scissione del Golkar, Hanura e Partai NasDem sono riusciti ad ottenere seggi in parlamento. Infine quattro partiti islamici hanno ottenuto seggi in parlamento dimostrando però un trend in calo nel sostegno elettorale, il Partai Keadilan Sejahtera (PKS), e i più piccoli Partai Amanat Nasional (PAN), Partai Kebangkitan Bangsa (PKB) e Partai Persatuan Pembangunan (PPP) (Figura 2).
La legge elettorale indonesiana prevede che solo partiti o coalizioni che ottengono almeno il 25% del voto totale o il 20% dei seggi in Parlamento possano presentare un candidato alle elezioni presidenziali. Alla luce dei risultati delle elezioni legislative, neppure il PDI-P che ha ottenuto il maggior numero di voti ha superato la soglia per presentare da solo un candidato. Di conseguenza tutti i partiti si sono polarizzati intorno a due soli candidati formando due grandi coalizioni opposte: una coalizione di minoranza, Great Indonesia Coalition (36,96% dei seggi) a sostegno del candidato popolare e democratico, Joko Widodo, una coalizione di maggioranza, Red and White Coalition (63,04% dei seggi) guidata da Prabowo Subianto, rappresentante dell'élite politico militare legata al regime di Suharto (Figura 3).


Il 20 luglio la Commissione elettorale nazionale ha ufficializzato la vittoria di Joko Widodo (Jokowi) con oltre il 53% dei voti. Il nuovo presidente dell'Indonesia rappresenta un cambiamento importante nella politica indonesiana post Suharto. Per la prima volta, infatti, ad acquisire la carica più importante dello stato è una persona le cui origini sono estranee all'élite politica ereditata dal regime di Suharto (Figura 4).
Il nuovo presidente subentra in carica dopo un lungo stallo nelle scelte di politica economica del suo predecessore Youdhoyono. L'ex presidente, infatti, nonostante nelle sue due campagne elettorali avesse promesso programmi di riforme per snellire la struttura economica e farla decollare, non aveva fatto nulla durante l'ultimo mandato per sviluppare una strategia di crescita.
L'instaurazione del nuovo governo, il 20 ottobre 2014, ha così portato una ventata positiva nell'economia indonesiana. Benchè, dopo la crisi del 1998, si sia registrata una progressiva crescita, la mancanza di riforme del secondo mandato del governo di Youdhoyono aveva portato ad un graduale rallentamento dell'espansione economica. Le previsioni di crescita del prodotto interno lordo (PIL) per il 2014 erano state ulteriormente riviste a fine anno dal 5,2% al 5,1%. Questo ribasso è particolarmente significativo se comparato ai tassi di crescita registrati gli anni precedenti: +6,5% nel 2011, +6,3% nel 2012, 5,8% nel 2013 (Figura 5).

L'assenza di riforme strutturali durante il governo di Youdhoyono era però stata compensata principalmente da due fattori che avevano mantenuto, per inerzia, un buon tasso di crescita del PIL. Questi erano da un lato le dimensioni del mercato interno con oltre 252 milioni di abitanti, capace di garantire una costante domanda di beni di consumo, dall'altra un costo molto competitivo della forza lavoro rispetto alla media dei paesi dell'area del Sud-est asiatico, fattore, quest'ultimo, che aveva favorito un notevole flusso di investimenti esteri diretti nel paese. Con l'obiettivo di aiutare i poveri e la classe media stimolando di conseguenza la crescita del mercato interno, il governo Youdhoyono aveva mantenuto la politica di sussidio sui carburanti. Tale politica era iniziata in Indonesia a seguito della prima crisi petrolifera degli anni '70. Con questa politica il governo aveva fissato e manteneva il prezzo dei carburanti ad un livello molto più basso del prezzo di mercato. Una quota del bilancio statale veniva quindi spesa per coprire la differenza tra il prezzo amministrativo e quello di mercato. Nel 2012 il prezzo di mercato della benzina era in media di 1,01 Dollari al litro. Il prezzo amministrativo era di circa 0,47 Dollari per litro implicando un sussidio di oltre il 50% del costo del carburante (Figura 6). In totale la spesa per il sussidio dei carburanti nel solo 2012 ammontava a circa 21 miliardi di Dollari, ovvero il 21% del bilancio del governo centrale indonesiano (Figura 7). Nel corso degli anni il rapido sviluppo del mercato interno, con conseguente aumento della domanda di carburante, aveva aumentato la spesa che il governo doveva sostenere per mantenere il sussidio, trasformandolo in una politica insostenibile.

La politica assistenzialista del sussidio ai carburanti unita all'assenza di riforme in grado di reperire fondi per le opere infrastrutturali necessarie al paese per trasformarsi da un'economia di esportazione di risorse naturali ad un'economia di esportazione di prodotti lavorati aveva lentamente portato effetti controproducenti di lungo termine.
Il 18 novembre 2014, Jokowi ha annunciato un taglio dei sussidi ai carburanti. Nei giorni successivi i prezzi della benzina e del gasolio sono aumentati di oltre il 30% con un aumento di 2.000 Rupie, 0,16 Dollari al litro. La popolazione ha reagito con proteste e scioperi, mentre i mercati finanziari hanno dato segnali positivi.
Il governo infatti stima di risparmiare circa 120 mila miliardi di Rupie (9,8 miliardi di Dollari) nel solo 2015. Se Jokowi riuscirà a mantenere il vasto appoggio popolare di cui gode per contrastare la maggioranza parlamentare nelle mani dei conservatori, potrà portare avanti i suoi piani di riforme, rafforzare il sistema democratico e investire i soldi risparmiati con la riduzione dei sussidi ai carburanti nei settori produttivi quali le infrastrutture e l'educazione.
Nel frattempo, sulla base delle manovre decise dal nuovo governo, a dicembre 2014 la Banca Mondiale ha corretto le sue stime sull'andamento macroeconomico del paese, mantenendo il segnale di ripresa per il 2015 con un tasso di crescita di 0,5 punti percentuali maggiore rispetto a quello del 2014, con previsioni di incremento del PIL del 5,6% per il 2015.