Il Rapporto sul Consumo di Suolo 2015, a cura dell'Ispra, ci mostra lo stato di salute del nostro territorio, troppo spesso al centro di drammatici fatti di cronaca che già di per se stessi ne indicano il degrado

Quell'erba della cui scomparsa a vantaggio di case e cemento Celentano si doleva già negli anni sessanta, è ormai diventata quasi un genere in via d'estinzione da tutelare all'interno dei moderni modelli di sviluppo urbani e suburbani.
Il Rapporto sul Consumo di Suolo 2015, curato e presentato recentemente dall'Ispra (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) in un convegno a margine dell'Expo 2015, ci mostra lo stato di salute del nostro territorio, troppo spesso al centro di drammatici fatti di cronaca che già di per se stessi ne indicano il preoccupante degrado.
Il consumo di suolo in Italia è cresciuto infatti inesorabilmente e costantemente dal 1950 ad oggi (Figura 1), pur con una lieve flessione negli ultimi anni: tuttavia, nel periodo 2008 – 2013, sono stati persi ancora tra i 6 e i 7 metri quadrati di territorio al secondo, circa 55 ettari al giorno, facendo salire il totale nazionale dal 2,7% degli anni '50 al 7,0% stimato per il 2014 (+4,3 per cento). In termini assoluti, ciò equivale a circa 21.000 chilometri quadrati del nostro territorio intaccati più o meno in maniera definitiva (Figura 2).

Nel 2013, in ben 15 regioni è stato superato il 5% di suolo consumato, con Lombardia e Veneto in pole position (intorno al 10%) e Campania, Puglia, Emilia Romagna, Lazio e Piemonte ben piazzate con valori tra il 7 e il 9% (Figura 3).

A livello provinciale (dati 2012), la provincia di Monza e della Brianza ha toccato la percentuale più alta di suolo consumato rispetto al territorio amministrato, con quasi il 35%. Seguono Napoli e Milano (tra il 25 e il 30%), quindi Varese e Trieste, con circa il 20% (Figura 4).
In termini assoluti, le province di Roma e Torino superano abbondantemente i 50.000 ettari di suolo consumato (57.000 per Roma, 54.000 Torino), Brescia e Milano seguono con valori superiori ai 40.000 ettari, mentre Napoli, Verona, Cuneo, Lecce, Padova, Treviso, Salerno, Bari e Venezia hanno valori compresi tra i 30.000 e i 35.000 ettari (Figura 5). Scendendo a livello comunale il primato incontrastato è nell'area napoletana: ben nove dei primi dieci comuni con maggior percentuale di suolo consumato (fino al 50%) sono infatti in questa zona.

La crescita delle aree urbanizzate (Figura 6) comporta, fra gli altri problemi, una forte accelerazione del processo di impermeabilizzazione del suolo, la ben nota cementificazione.
La costruzione di edifici e strade con asfalto o calcestruzzo o materiali simili rappresenta una copertura invasiva e permanente del territorio, e riguarda anche le zone rurali e le aree agricole e naturali. I dati sul nostro paese indicano che è stato impermeabilizzato il 19,4% di suolo tra 0 e 300 metri di distanza dalla costa e quasi il 16% tra i 300 e i 1.000 metri (compresi 34.000 ettari all'interno di aree protette, il 9% delle zone a pericolosità idraulica e il 5% delle rive di fiumi e laghi).


L'impermeabilizzazione è la principale causa di degrado del suolo in Europa: favorisce le inondazioni, contribuisce al riscaldamento globale, minaccia la biodiversità, e distrugge sempre più terreni agricoli fertili (specie nelle pianure alluvionali, dove maggiore è la perdita di capacità della produzione agricola) e aree naturali, intaccando spesso irrimediabilmente il paesaggio e la sua capacità di assorbire CO2.
Le attività edilizie e i cantieri sono, a questo proposito, una vera e propria mina vagante, sia in termini di emissioni di ogni genere e di consumi energetici dovuti ai numerosi macchinari impiegati spesso per lunghi periodi, sia perché, rimuovendo lo strato superficiale del terreno, dove è concentrata la maggior parte della sostanza organica, favoriscono il rilascio di carbonio come gas serra.
Nelle aree urbane il clima tende a diventare più caldo a causa della minore traspirazione vegetale ed evaporazione e delle più ampie superfici scure con un alto coefficiente di rifrazione del calore, sommate al condizionamento degli immobili, al traffico automobilistico e ad altri elementi inquinanti (il cosiddetto effetto "isola di calore").

Il processo di impermeabilizzazione colpisce principalmente le zone pianeggianti e di bassa collina, senza risparmiare le aree naturali che hanno la cattiva sorte di trovarsi in zone che attraggono interessi di vario genere. E' interessante anche calcolare la quota di suolo consumato al netto delle aree naturali protette: il consumo così ottenuto (definito "effettivo") a livello nazionale sale fino al 10,8% del territorio, dato allarmante considerando che il consumo di suolo, come detto, è pari a circa il 7%.
La legislazione vigente nel nostro paese relativa alla "difesa del suolo" (D.lgs. 152/06) è ancora una volta carente, essendo incentrata sulla protezione del territorio dai fenomeni di dissesto geologico-idraulico (con risultati peraltro a dir poco deludenti) più che sulla conservazione della risorsa suolo, il cui consumo viene anzi spesso immolato sul sacro altare della crescita economica.
Il nuovo disegno di legge in materia di contenimento del consumo del suolo e riuso del suolo edificato è in fase di discussione presso le commissioni riunite Agricoltura e Ambiente della Camera: in linea con gli obiettivi stabiliti dall'UE, che prevedono un consumo di suolo pari a zero entro il 2050, dovrebbe consentirne l'utilizzo solo nei casi in cui non esistano alternative consistenti nel riuso delle aree già urbanizzate e nella rigenerazione delle stesse.

Le principale tipologie di copertura artificiale considerate causa di consumo di suolo, in cui si concentra la gran parte della superficie persa, sono ben note. Le infrastrutture di trasporto rappresentano circa il 41% del totale del suolo consumato in base ai dati raccolti fino al 2013.
Al primo posto troviamo le strade asfaltate (10% in ambito urbano, 11,6% in ambito rurale e 2,9% in ambito naturale), seguite da quelle sterrate (15,5%, prevalentemente in aree agricole).
Le aree coperte da edifici costituiscono il 30% del totale e si collocano soprattutto in aree urbane a bassa densità (11,5%) e in ambito rurale (11,1%). Gli edifici in zone residenziali compatte rappresentano sorprendentemente solo il 2,5% del totale del suolo consumato.
Le altre superfici asfaltate, impermeabilizzate o fortemente compattate o scavate, come parcheggi, piazzali, cantieri, discariche, aree estrattive e serre permanenti, costituiscono complessivamente il 28,7% del suolo consumato. Tra queste è da segnalare la crescita, tra il 2008 e il 2013, delle superfici destinate all'installazione di pannelli fotovoltaici a terra.

I valori percentuali del suolo consumato tendono a crescere avvicinandosi alla costa (Figura 7): Marche e Liguria si segnalano in questo senso con oltre il 40% di suolo consumato, la Campania con circa il 31%. In generale, in base a dati Istat ed Eurostat del 2013, l'Italia ha una percentuale di superficie con copertura artificiale maggiore della media comunitaria, cioè il 7,8% del totale, contro il 4,6% della media dell'Unione Europea, collocandosi così al quinto posto di questa classifica dopo Malta (32,9%), il Belgio (13,4%), i Paesi Bassi (12,2%), il Lussemburgo (11,9%), e di poco sopra a Germania, Danimarca e Regno Unito (7,7%, 7,1% e 6,5%).
Le superfici agricole, prati e pascoli, si sono costantemente contratte a un ritmo di circa 15.800 ettari persi ogni anno, a vantaggio delle aree urbanizzate ma anche dei boschi. Nel periodo 2008-2013 le superfici urbane sembrano tuttavia essere cresciute ad una velocità leggermente inferiore (0,06% rispetto allo 0,08% del periodo precedente, corrispondenti a circa 19.400 e 23.400 ettari all'anno rispettivamente), con un incremento praticamente identico a quello della superficie forestale, avendo entrambe guadagnato circa 100.000 ettari.

La costante crescita del consumo di suolo è stata in passato spesso legata ai dati demografici, ma gli ultimi decenni hanno mostrato che i processi di urbanizzazione aumentano anche in mancanza di una crescita demografica e talora anche con una decrescita, come nel caso dell'Italia, dove il valore di suolo consumato pro-capite è passato dai 167 metri quadrati del 1950 per cittadino, a quasi 350 metri quadrati nel 2013. I dati preliminari del 2014 mostrerebbero un' inversione di tendenza, con una leggera decrescita del valore pro-capite, grazie alla ripresa della crescita demografica.
Ma, allo stato attuale delle cose, è difficile pensare che la salvaguardia del territorio, invocata con forza dallo stesso Papa Francesco nella sua recente enciclica Laudato sì, possa diventare un interesse prioritario, specialmente in questo periodo di lunga recessione non ancora del tutto superato. Dove cresce l'erba non cresce il PIL...