Il World Giving Index rivela dati incoraggianti su un mondo che non si arrende all’egoismo individuale

In tempo di Natale la bontà è di scena. Ma quanta bontà c’è nel mondo? Una risposta è data dal World Giving Index è un indicatore che viene calcolato ogni anno dalla Charities Aid Foundation (CAF), un’associazione inglese attiva nella beneficienza da 45 anni. Questo indice valuta e stila una classifica della maggior parte dei paesi di ogni continente, attraverso una serie di interviste condotte in tutto il mondo, basandosi su tre fattori: in che misura i cittadini di un paese aiutano uno straniero, donano denaro e fanno volontariato.

La fotografia che emerge dall’analisi di CAF è quella di un mondo che non si arrende all’egoismo individuale e, sebbene ovviamente le percentuali relative al coinvolgimento dei cittadini nel cosiddetto terzo settore possano sempre essere migliorate, i dati dell’indagine sono nel complesso incoraggianti.
Se si considera la classifica generale stilata dalla Charities Aid Foundation, si può vedere come, nel 2018, tra i primi venti paesi che hanno totalizzato il punteggio più alto ve ne sono sei europei, di cui ben cinque nel Nord Europa, cinque asiatici, quattro africani e tre americani.
Come facilmente prevedibile, ai primi posti nel mondo per la voce “aver aiutato uno sconosciuto”, si trovano paesi come la Libia, l’Iraq e il Kuwait, nazioni dove la necessità di aiuto è incomparabilmente maggiore rispetto a quella dei paesi occidentali. Sono inoltre proprio i paesi più poveri quelli in cui vi è una maggiore propensione ad aiutare un estraneo (il 54% dei loro cittadini in media lo ha fatto nell’ultimo mese, mentre in Europa tale percentuale è di molto inferiore e pari a 44).

In Europa, ad esempio, in media, si è più propensi a donare denaro (il 34% della popolazione afferma di aver elargito una donazione a un ente non profit nell’ultimo mese prima del sondaggio) anziché a fare volontariato (solamente il 19% degli europei sostiene di aver aiutato un estraneo negli ultimi trenta giorni precedenti all’indagine di CAF). Più in generale, per quanto concerne il tempo dedicato al volontariato, i valori percentuali relativi sia ai paesi sviluppati sia a quelli in via di sviluppo, non vi sono sostanziali differenze e, in entrambi i casi i dati si attestano poco al di sopra del 20%.


Nel complesso, l’Italia si colloca a metà della classifica, sessantottesimo paese su un totale di 144 analizzati. Per quanto riguarda ad esempio l’aver aiutato un estraneo, il nostro paese risulta essere addirittura al novantacinquesimo posto nel mondo con il 46% degli intervistati che afferma di averlo fatto almeno una volta negli ultimi trenta giorni. In media, nei paesi appartenenti all’Oceania e all’Africa, rispettivamente il 65% e il 58% della popolazione ha prestato assistenza a uno sconosciuto nell’ultimo mese. Se si vuol fare invece un paragone a livello europeo, nell’ultimo mese, ad aiutare il prossimo sono stati il 64% degli irlandesi, il 63% degli inglesi, il 58% dei tedeschi e dei danesi, il 56% degli spagnoli, il 52% degli olandesi e, infine, solo il 37% dei francesi (Figura 1). Nonostante il dato inferiore dei nostri cugini d’oltralpe, l’Italia non supera comunque la metà della classifica nemmeno se si restringe il campo alle nazioni del Vecchio Continente.
Per quanto concerne invece le donazioni in denaro, il secondo aspetto valutato per la classifica di CAF, i punteggi totalizzati dai vari continenti sono: 70% per l’Oceania, 37% per l’Europa, 33% per l’Asia, 25% per le Americhe; per ovvie ragioni, in questo ambito, è l’Africa ad avere il punteggio più basso, il cui valore percentuale è pari a 18. È tuttavia importante sottolineare che i punteggi di donazione a un anno, sia in Asia sia nelle Americhe, sono inferiori ai punteggi quinquennali, segnalando quindi una tendenza al ribasso per le elargizioni di denaro in questi due continenti. Se si esclude la Francia, i cui abitanti donano in media meno di noi, l’Italia risulta essere l’ultimo paese europeo nella classifica, in quanto solo il 33% delle persone sostiene di aver donato recentemente del denaro a un ente di beneficenza (Figura 2).

Nella categoria di volontariato, la CAF include un’ampia gamma di attività e figure, quelle che generalmente rientrano nel cosiddetto “terzo settore” come, ad esempio, educatori religiosi, investitori in cultura, volontari laici nello sport e donatori di sangue. Se si analizza infine il tempo dedicato a questo ambito, il punteggio Italiano, pari al 17%, è ancora più misero e, in questo caso, anche di gran lunga inferiore non solo a quello delle altre nazioni europee ma anche rispetto alla Francia, paese che invece negli altri ambiti avevamo “superato” (Figura 3).
Se si prende in considerazione il quadro generale e si considera la divisione delle nazioni in “paesi in via di sviluppo”, “paesi poveri” e “paesi sviluppati”, l’andamento dei tre fattori su cui si basa la classifica della Charities Aid Foundation nel biennio 2016-2017, è quello rappresentato in Figura 4.
Purtroppo, qualora si voglia invece condurre un’analisi più specifica sulla situazione italiana, non si hanno a disposizione dati recenti ma, al contrario, gli ultimi dati Istat relativi agli italiani impegnati nel volontariato risalgono al 2011. In Italia, le istituzioni non profit erano 336 mila e, nonostante il 76% di queste operasse soprattutto su base volontaria, in totale queste davano impiego circa a ben 788 mila dipendenti. Nel 2011, in Italia vi erano complessivamente 6,63 milioni di persone impegnate nel volontariato, di queste 4,14 milioni (circa l’8% della popolazione totale) operavano all’interno di organizzazioni e 3 milioni (il 5,8% della popolazione totale) individualmente.
La distribuzione dei volontari nelle istituzioni non profit per classe d’età nel 2011 era quella mostrata in Figura 5. Come si può vedere dal grafico, la popolazione più attiva era quella nella fascia d’età compresa tra i 30 e i 54 anni, seguita da quella 55-64, poi dagli over 65 e infine da quella dei più giovani. Quest’ultimo dato relativo al coinvolgimento giovanile nell’attività di volontariato stupisce, in quanto sono la categoria meno impegnata nonostante la quantità di servizi a loro disposizione per riuscire a trovare un programma di volontariato che rispecchi le loro esigenze ed i loro interessi.

Qualora si consideri invece la distribuzione dei volontari nelle istituzioni non profit per area geografica, sempre nel 2011 (Figura 6), emerge invece chiaramente come la maggior parte dei volontari risiedesse nel Nord Italia (29,5% nel Nord Ovest e 27,6% nel Nord Est), il 23% nelle regioni centrali, solamente il 12,3% nel Mezzogiorno e il 7,6% nelle Isole.
Infine, per quanto riguarda invece il genere dei volontari, sempre nel 2011, si registrava un maggior impegno maschile per il sociale: il 62% dei volontari era uomo mentre solo il 38% di loro era donna (Figura 7).
L’auspicio, non solo per quanto riguarda la situazione italiana ma, più in generale, per il quadro globale, è quello che le fila di questo esercito silenzioso di benefattori si ingrossino e che la percentuale di cittadini impegnati nel terzo settore cresca perché vi è ancora molto da realizzare e gli enti locali e lo Stato hanno sempre maggiori difficoltà nella gestione del welfare.
Le persone da aiutare, specialmente nei cosiddetti “paesi poveri”, ma non solo, sono davvero ancora molte.