In Grecia si hanno due partiti (Nea Democratìa, il cui leader si chiama Samaràs, conservatore, e il Pasòk, il cui leader si chiama Venizèlos, socialista) che possiamo definire pro-austerità. Sono quelli che hanno appoggiato il precedente governo tecnico (di Papadèmos). Questi due partiti alle elezioni della scorsa settimana hanno raccolto un numero insufficiente di voti per formare un governo. Hanno, invece, raccolto abbastanza voti gli schieramenti, che possiamo definire di semi-pro-austerità, fuoriusciti da Nea Democratìa e dal Pasòk, a destra i Greci Indipendenti, il cui leader è Kammènos e a sinistra la Sinistra democratica, il cui leader è Kouvèlis. Insomma, i due partiti una volta maggioritari sono diventati quattro, ma non hanno lo stesso una maggioranza stabile. A questi quattro partiti si aggiunge Sy.ri.za (una sigla che vuol dire Coalizione delle Sinistra Radicale) un partito di estrema sinistra post-comunista, il cui leader è Tsìpras.
Ebbene questi quattro partiti (con un programma comune fino a non molto tempo fa) più il quinto (anti austerità e pro euro) non hanno raggiunto un accordo per formare un governo, ha fatto intendere il Presidente Papùlias. Ci saranno delle nuove elezioni. Ecco i risultati delle elezioni:
A questo punto ragioniamo sulle combinazioni possibili. Le prime quattro sono del Financial Times (1), la quinta è nostra. Prima di mostrare le opzioni, ecco i risultati dei sondaggi:
Austerità. Si continua con le politiche di taglio del bilancio pubblico e di incremento delle entrate. Il rischio è quello di avere un avvitamento dell'economia. Come? Cade l'attività economica, e quindi cadono le entrate e perciò le politiche di taglio della spesa a quel punto non servono a niente, perché il bilancio pubblico resta sempre in deficit. Restando in deficit, non ripaga l'enorme debito pubblico. Inoltre, Syriza continua a guadagnare voti nei sondaggi. Avremmo alla fine una politica economica che potrebbe non funzionare e una politica che si mette di traverso all'austerità.
Insolvenza nel futuro prossimo. Si continua a tagliare la spesa e ad aumentare le imposte fino al raggiungimento di un surplus di bilancio pubblico significativo. A quel punto non si deve più emettere nuovo debito pubblico e perciò si dichiara l'insolvenza su quello emesso (ossia non è rimborsato il debito alla scadenza). Il rischio è che il raggiungimento veloce del surplus ammazzi l'economia.
Insolvenza subito. Si dichiara insolvente tutto il debito (quello già ridotto verso i privati, e quello di ammontare invariato presso la Banca Centrale Europea e il Fondo Monetario), non si strizza il bilancio pubblico, e si resta nell'euro. Il rischio è troppo elevato. In assenza di un surplus di bilancio e in assenza di una banca centrale propria, nessuno, infatti, comprerebbe il debito pubblico greco, che continuerebbe ad essere emesso, mentre non lo si potrebbe monetizzare.
Insolvenza e uscita immediata dall'euro. Non accadrebbe nulla di buono, perché la Grecia non ha un settore esportatore che guadagnerebbe quote di mercato con una moneta svalutata (la nuova dracma). Si troverebbe a non poter pagare le medicine e il petrolio.
Delle quattro combinazioni, la terza e la quarta sarebbero dei gravi errori. Restano la prima e la seconda. La prima è quella che ha perso alle elezioni appena celebrate. La seconda potrebbe tentare molto. Il punto però è che funziona solo se si strizza il bilancio pubblico per altri due anni, il che sembra politicamente improbabile. In conclusione, i Greci guadagnano (forse) dalla prima e dalla seconda opzione, gli altri Europei solo dalla prima. Se, infatti, si sospettasse che ogni paese, che abbia raggiunto un gran surplus di bilancio, possa ripudiare il debito, come sarà il caso per l'Italia fra un paio d'anni, si chiederebbe un maggior premio per il rischio ai paesi mal messi che stanno diventando virtuosi (un paradosso, si direbbe in greco, qualcosa che va contro – parà – l'opinione dominante – dòxa).
Esiste un'opzione – la quinta - che accontenti tutti? Si, un ammorbidimento del processo di controllo del debito con un piano di investimenti in infrastrutture per rilanciare l'economia. I partiti greci potrebbero dire che hanno negoziato, salvando così la faccia, e gli europei potrebbero evitare una crisi che potrebbe riverberarsi sugli altri paesi “mal messi”.
(1) http://www.ft.com/intl/cms/s/0/233a3186-9b58-11e1-8b36-00144feabdc0.html#axzz1uq6ncOhq
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