La politica monetaria piegata alle esigenze elettorali degli Stati Uniti è uno dei “luoghi comuni” che albergano nell’immaginario collettivo, quando si parla di economia e finanza. Si hanno due versioni dell’asservimento della banca centrale al volere dei politici o, più in generale, dei potenti.


La prima versione, che possiamo chiamare “cinica”, piace soprattutto al sistema finanziario, e possiamo chiamarla la versione di Wall Street. Essa asserisce che la politica monetaria viene resa espansiva prima delle elezioni per favorire, attraverso l’aiuto alla crescita economica e attraverso l’aiuto alla crescita del corso delle azioni, il presidente, meglio se Repubblicano, che corre per il secondo mandato. Piace perché è un invito a investire; si comprano le azioni, sapendo furbamente che il rischio è limitato, grazie al sostegno esterno della banca centrale.

La seconda versione, che possiamo chiamare del “complotto”, piace soprattutto ai Democratici. Essa dice che la Federal Reserve fa capire ai presidenti spendaccioni che potrebbe alzare i tassi per bilanciare gli effetti della maggior spesa pubblica. Siccome i presidenti spendaccioni sono generalmente quelli democratici, ecco che la banca centrale penalizza i presidenti progressisti. I quali, indipendentemente dal proprio volere, non possono mantenere le promesse elettorali.
 
Secondo gli psicologi ci sono due comportamenti tipici di fronte a mercati finanziari, e più in generale di fronte all’economia. Vi sono quelli che credono nel potere dei grandi burocrati (come Greenspan) e dei manager, di cui leggono avidamente le gesta. Gesta pubbliche ma anche gesta private. Come fossero dei divi. Essi pensano che la storia sia mossa dagli eroi. Meglio, che la storia si estrinsechi nella volontà dei grandi uomini. Se così non fosse non ci sarebbero i libri di memorie dei grandi burocrati e dei grandi manager. I quali grandi manager scrivono libri per spiegare che i risultati da loro ottenuti non sono frutto del caso, ma della loro capacità. Vi sono quelli che preferiscono noiosamente dedicarsi alle teorie ed ai numeri. Non esistono ai loro occhi dei veri protagonisti, nessuno infatti ha inventato la moneta, il diritto, lo stato. I grandi burocrati o i grandi manager sono quelli che hanno avuto più fortuna di altri, in certi momenti ed in certi contesti. I loro enormi redditi sono il premio per la fortuna, o il caso, non il frutto della loro produttività marginale.
 
Applichiamoci (noiosamente) ad analizzare i comportamenti della banca centrale statunitense nel tempo per vedere se vi sono veramente le combutte dei potenti (la versione di Wall Street) oppure se i grandi burocrati influiscono sui risultati elettorali (la versione dei Democratici) Sottoponiamo quindi a test statistico il “luogo comune”, nelle sue due versioni. La prima, se fosse vera, dovrebbe mostrare che i tassi scendono prima delle elezioni. La seconda dovrebbe mostrare che, quando vince un democratico, i tassi salgono.
 
La prova viene condotta in questo modo. Si prende il tasso d’interesse “giusto” dal punto di vista strettamente economico. Se il tasso d’interesse effettivo diverge da quello “giusto” prima delle elezioni, allora abbiamo un tasso che possiamo chiamare “politico”. Basso quando le elezioni si stanno celebrando con un candidato repubblicano, alto quando vince un democratico con le “mani bucate”. Il tasso “giusto” si calcola con la regola di Taylor. In sintesi eroica, se l’inflazione è alta e la disoccupazione bassa, si alza il tasso e viceversa. Si mette in rapporto il tasso “giusto” col tasso effettivo. E si vede che cosa succede prima delle elezioni. Dal 1960 al 1980 le due curve sono sovrapposte. Dunque nessuna influenza delle elezioni. Dal 1980 i tassi effettivi sono stati tenuti ben sopra quelli “giusti”. Come mai? L’inflazione. Fino a quando l’inflazione (e l’aspettativa sulla stessa) non è stata abbattuta. Poi sono stati ridotti nel tempo. Di nuovo nessun rapporto con le elezioni. Dal 1990 le due curve sono tornate molto vicine. Dal 2001 fino al giungo 2004 esse divergono. La politica espansiva di cui viene accusato Greenspan. Ma da allora sono stati rialzati, fino a quando la crisi dei mutui sub prime non ha spinto a riabbassarli. Vi sono dal 1980 delle divergenze. Ma attenzione alle divergenze: esse non sono un segno di asservimento. I tassi effettivi hanno sempre seguito, con qualche sfasamento temporale legato alle situazioni contingenti, le divergenze appunto, la direzione di quelli “giusti”, indipendentemente dalle elezioni.

 


Pubblicato su L'Opinione il 16 gennaio 2008