1. La scadenza dei “cento giorni” del governo Monti ha indotto molti osservatori a riflettere sulle sue prospettive di durata, per concludere che al momento non vi sono alternative. Non si può che convenirne, ma qualche domanda sul dopo bisogna cominciare a porsela e soprattutto bisogna cominciare a leggere le risposte che sul “dopo”, appunto, già cominciano a intravvedersi.
Perché se è vero che all’orizzonte non ci sono soluzioni di ricambio, è vero anche che la politica non sta ferma ad aspettare che qualcuno le individui – se per politica si intendono le opinioni dei cittadini elettori, la loro eventuale organizzazione da parte di “imprenditori politici”, la loro periodica espressione nelle scadenze elettorali, anche locali, che scandiscono la vita di ogni democrazia.
2. Cominciamo dalle opinioni.
In Italia si produce una messe di sondaggi politici, riportati nel sito sondaggi politicoelettorali (gestito dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, e alquanto illeggibile in verità). Con tutti i limiti dello strumento sondaggio e dunque con tutte le cautele del caso, l’analisi delle opinioni espresse dai diversi campioni rappresentativi degli elettori fa emergere tre costanti:
- una altissima percentuale di astenuti/indecisi (che in alcuni casi arriva intorno al 45 per cento degli intervistati, la più alta da quando si effettuano questo tipo di rilevazioni);
- una pesante “sofferenza” legata alla crisi, per cui se migliorano marginalmente le aspettative sulle sorti del paese restano assolutamente depresse quelle individuali;
- una consistente fiducia (finora sistematicamente fra il 50 e il 60 per cento, con oscillazioni) nei confronti del governo Monti, pur con giudizi variegati sui suoi diversi provvedimenti.
3. Veniamo alle scelte degli “imprenditori della politica”.
Le difficoltà e le divisioni interne di Pd e Pdl alle prese con la necessità di sostenere Monti senza perdere i collegamenti con il loro elettorato sono talmente evidenti che non vale la pena spendere parole sul punto. Quanto all’Udc, ha puntato tutte le proprie carte sull’operazioni Monti e spera di capitalizzare al momento delle elezioni, ma per il momento non pare in vistosa crescita di consensi. Lega, Italia dei Valori e Sel (ossia Bossi, Di Pietro e Vendola) hanno fatto, pur con accentuazioni diverse, la scelta specularmente opposta, che (per ora, e con l’incognita di una nuova legge elettorale) parrebbe premiarli in termini di intenzioni di voto (espresse tuttavia, non va dimenticato, da una “platea” sempre più ristretta).
Su questo sfondo – preoccupazione per il futuro e sfiducia nei partiti su un versante, stallo del quadro politico sull’altro – ci si prepara alla prossima scadenza elettorale, il turno amministrativo del 6/7 maggio, che coinvolgerà oltre 11 milioni di elettori e oltre mille Comuni in tutte le regioni, di cui 28 capoluoghi (fra questi quattro capoluoghi di regione, Genova, L’Aquila, Catanzaro e Palermo). E qui cominciano le sorprese (o le conferme, se si preferisce). Alla presentazione delle liste manca ancora quasi un mese: ma quel che si delinea, a partire dall’esito delle primarie del Pd in svariate città (Genova e Palermo gli esempi più clamorosi, ma non gli unici), è la polverizzazione di qualunque alleanza nazionale e l’emergere di soluzioni “caso per caso”, locali se non localistiche, con o senza – per lo più senza – la benedizione dei vertici nazionali, o anche solo regionali, o anche solo provinciali, dei partiti di riferimento. Alle primarie di Palermo, per dire, uno solo dei quattro candidati sostenuti da diversi spezzoni del Pd risultava iscritto al Pd medesimo, essendone peraltro fieramente avversato, in quanto seguace del sindaco di Firenze Matteo Renzi. È facile prevedere che il momento della presentazione delle liste sancirà questa polverizzazione, così come sancirà la spaccatura tra Pdl e Lega al Nord, la frammentazione del centro in due o tre soggetti diversi, nonché una presenza rilevante di soggetti “contro”, dall’estrema sinistra di Grillo all’estrema destra di Storace. Insomma: un sistema politico bloccato a livello nazionale si frantuma in periferia, dove sbocciano cento fiori per cento campanili.
4. Per un verso, il quadro descritto può anche essere letto come sintomo di vitalità: candidati sindaci capaci di intercettare il consenso degli elettori e di mobilitarli fin dalle primarie possono legittimamente essere vissuti come una boccata d’ossigeno, rispetto per esempio al meccanismo autoreferenziale e tutto interno alla nomenklatura con cui sono stati scelti gli attuali componenti del Parlamento.
Ma basta? E serve ad affrontare i problemi della lunga e dura transizione che l’Italia dovrà vivere?
Si pensi a questioni diverse e lontane tra loro quali la Tav Torino-Lione e la riforma del mercato del lavoro: nell’uno e nell’altro caso, solo una politica capace di ricomporre interessi particolari e interessi generali può avere la forza di dare loro risposta. Alle elezioni politiche manca ancora un anno: per allora, qualcosa bisognerà aver messo in campo, che non sia l’ennesima scorciatoia normativa sotto specie di legge elettorale. L’ingegneria istituzionale, infatti, ha una funzione importante, perché istituzioni ben disegnate facilitano processi di decisione trasparenti e tempestivi e attribuzione chiare di responsabilità. Alle leggi tuttavia non si può chiedere ciò che non possono dare, ossia quadri di senso e orizzonti di riferimento condivisi.
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