Torino zavorra del Piemonte negli ultimi vent’anni? Marco Boglione, imprenditore nel campo della moda con i marchi Superga, Robe di Kappa, K-way e vicepresidente dell’Unione industriali di Torino ribalta il concetto: «Se nonostante tutto quel che è successo Torino ha rallentato solo dello 0,6 per cento nell’ultimo anno, c’è da festeggiare. Perché Torino ha perso la Fiat. Una cosa inimmaginabile ancora alla fine del secolo scorso, ma che è accaduta. E che la città sta ancora pagando. Nonostante il turismo abbia dato una mano ad attenuare il colpo. E io ci aggiungo il cinema che si è rivelato un buon volano per garantire un ritorno dalla città trasformata in set. Ma è chiaro che se un gruppo che trent’anni fa aveva in tutta Italia 240 mila dipendenti adesso ne ha 80 mila e a Torino si sono ridotti a 14 mila il colpo non si può non sentire. Anzi. Quindi più che considerare Torino la zavorra del Piemonte, io dico facciamo i complimenti a Torino che ha resistito, ha tenuto botta nonostante una perdita dalla quale non era facile rialzarsi».
Gli fa eco Giorgio Airaudo, segretario regionale della Cgil, ricordando i tanti appelli lanciati a vuoto dal sindacato per salvare l’auto a Torino ma anche le parole di Sergio Marchionne, l’artefice dell’ultimo rilancio Fiat quando il futuro della Fabbrica italiana automobili Torino sembrava già segnato da bilanci in profondo rosso: «Non possiamo allearci con francesi o tedeschi perché altrimenti perdiamo il comando dell’azienda. Loro sono più forti di noi». E un po’ tutti nella platea del dibattito organizzato da Banca d’Italia all’auditorium Vivaldi per presentare il Rapporto sul Piemonte hanno capito che quel che Luca di Montezemolo, uno che in passato è stato anche presidente di Fiat e di Ferrari va dicendo da tempo non è nient’altro che la verità: «Stellantis è un gruppo francese, l’auto italiana non esiste più. A parte la Ferrari» Di colpo, però, è come se si fosse alzato un velo, come se un certo comportamento tipico dell’understatement torinese - tutti sanno ma nessuno dice – fosse stato per una volta violato. La Fiat non c'è più.
Ma, forse, bisogna ripartire da qui, da questa certezza per aprire finalmente le porte a un altro costruttore che sembra l’unica strada per garantire un futuro a quella che per anni è stata la più importante industria manifatturiera d’Italia e che aveva fatto del Piemonte - oggi il Sud del Nord - una delle locomotive del Paese. Che possa essere cinese – come hanno ricordato in due interviste a Mondo Economico Silvio Angori, ad di Pininfarina e Gianmarco Giorda direttore generale dell’Anfia – ci sono pochi dubbi ma a patto di muoversi in fretta.«Il gruppo Byd per esempio sta già trattando per l’apertura di quattro stabilimenti in Europa con Germania, Francia, Spagna e Bulgaria. Con annesse gigafactory. Noi non ci siamo. Cosa fa il nostro governo?» dice Airaudo.
Alla concretezza guarda anche Boglione. Torino - è la sua iniezione di ottimismo - ha ancora tanti atout da spendere, ma bisogna darsi da fare. Mettere da parte gli annunci e lavorare per dare una visione alla città. Ecco quel che l’imprenditore dell’abbigliamento ripete più volte quasi a sottolineare un difetto di cui questi tempi non proprio felici sono figli: la mancanza di una visione, di un’idea per il domani. Ed è pronto a moltiplicare i tavoli pur di raggiungere i buoni risultati ottenuti con Turismo Torino e Film commission. Airaudo sposa questa concretezza come antidoto all’annuncite che sembra aver colpito in primis la politica: tante promesse (leggi gigafactory e Intel) e zero risultati. E con il lavoro precario che avanza, tanto che, di nuovo, in Piemonte le retribuzioni sono più basse del resto del Nord Italia. Ma c’è la convinzione che Torino ce la possa ancora fare. Un’altra volta. La città che inventa e non trattiene può rilanciarsi. E Boglione vede nella Torino-Lione il treno verso il futuro. Anche se arriverà in ritardo rispetto all’orario di marcia annunciato. Come molte altre infrastrutture del Piemonte. Parco della Salute e Asti-Cuneo dicono qualcosa?
© Riproduzione riservata