«Un produttore d'auto cinese in Italia? Sarebbe una grandissima opportunità, per tutto l'automotive. Spero il governo voglia coglierla. Ma bisogna muoversi già adesso. Nei prossimi cinque anni scoppierà una battaglia destinata a rivoluzionare il mercato dell'auto in Europa. Con la Cina protagonista».

Silvio Angori, timoniere della Pininfarina e presidente del gruppo Car&designer dell'Anfia, concorda con Gianmarco Giorda, direttore generale dell'associazione dei costruttori d'auto in Italia, che durante un incontro con Mondo Economico ha detto che all'Italia serve un altro costruttore per sopravvivere e che sarebbe bene puntare i fari sulla Cina. Angori c'è stato due volte negli ultimi mesi, la prima per vedere il Salone dell'auto di Shanghai, l'altra per questioni di relazioni. D'altronde Pininfarina è di casa in Oriente, da trent'anni supporta i costruttori cinesi, dal 2010 con un centro di design a Shanghai, e ha contribuito in modo decisivo a far crescere l'industria automobilistica cinese, sin dai primi passi. A metà degli anni '90 aveva progettato per la Harbin Hafei, specializzata nella produzione di mezzi militari, un piccolo veicolo commerciale che è stato un successo: ne sono stati costruiti più di venti milioni. Ma c'è molto dello stile italiano – Pininfarina ma anche Giugiaro – nei marchi cinesi che si preparano a sbarcare in Europa: da Geely a Chery, da Nio a Changan. Qualcuno ha scelto di avere una sorta di avamposto, aprendo centri di design proprio in Italia: a Torino come a Milano.

Angori, quali impressioni ha tratto dall'ultimo viaggio in Cina?

«Un cambio vertiginoso sui prodotti. Complice il lockdown era dal novembre 2019 che non tornavo nel Paese. Tecnologicamente sono avanti due generazioni di prodotto. Loro montano già sulle loro vetture tecnologie che gruppi come Bmw, Mercedes o Volkswagen hanno sviluppato ma non ancora messo in produzione. Puntano tutto sull'estensione dei sistemi dello smartphone sull'auto. Un'integrazione completa, all'avanguardia. Che sta influendo anche sul modo di pensare l'auto: oggi si dà molta più attenzione agli interni. Contano ormai quanto la linea di una macchina. Oltreché bella da fuori deve essere performante dentro»

Dunque, i cinesi si preparano a conquistare l'Europa?

«Di sicuro hanno capito che il Vecchio Continente può essere un terreno di conquista. Ci sono marchi come Chery che producono 1,3 milioni di auto e ne esportano 450 mila, ma hanno piani pronti a raddoppiare questi numeri nello spazio di due anni. Vengono con vetture di livello, ha ragione Giorda quando dice che dobbiamo scordarci le prime macchine cinesi che non riuscivano a superare i crash test europei. Un'altra epoca. Oggi hanno modelli comparabili a quelli europei se non superiori sotto il profilo della tecnologia, con costi inferiori. Sarà una bella battaglia nei prossimi cinque anni»

Consigliati per te:
I dazi salveranno le aziende europee?

«E' quasi certo che le barriere fiscali convinceranno i cinesi a seguire le orme di Toyota e Hyundai. Cioè aprire stabilimenti in Europa per non dover fare i conti con i dazi. Ma questo rappresenta una grande, vera opportunità, in primis per un Paese come l'Italia».

Perché?

«Perché noi facciamo auto da più di 130 anni. Abbiamo un'esperienza unica, come testimonia la nostra industria di componentistica che resiste alle spalle di quella tedesca nonostante l'Italia sia scivolata all'ottavo posto come produttore. Perché abbiamo aziende come Pininfarina che da quasi un secolo si occupano di design e carrozzeria. Un patrimonio. Che ci aveva permesso negli anni '80 di essere il primo produttore d'auto in Europa, davanti anche alla Germania. Poi le cose sono radicalmente cambiate. Oggi c'è un Paese come la Spagna che pur non avendo un marchio suo è il secondo produttore nel continente. Ecco perché non dobbiamo farci sfuggire l'opportunità Cina, che tutti vorranno cogliere».

Che cosa dovrebbe fare il governo?

«Bisogna lavorare sul marketing, per creare le occasioni giuste. Perché, magari in modo meno appariscente rispetto a Elon Musk che l'altro giorno ha incontrato la premier Meloni, anche i cinesi verranno a bussare alla porta del governo. Forse lo stanno già facendo, di sicuro accadrà nei prossimi due anni. E noi dobbiamo essere pronti a offrire loro tutta una serie di condizioni: dai fondi agevolati ai corsi di formazione, ben sapendo che queste concessioni si trasformeranno in vantaggi anche per noi con la creazione di posti di lavoro e il pagamento delle tasse. Quel che ha fatto il governo Obama con Fca nell'operazione di cessione di Chrysler potrebbe essere un buon esempio»

Un'immagine dall'ultimo salone dell'auto di Shanghai

Lei crede che il governo abbia le carte in regola?

«Non voglio fare valutazioni politiche. Pero sottolineo positivamente l'idea del governo di aver voluto creare il ministero del made in Italy. Un riconoscimento formale che dà un vantaggio competitivo, riconosce un valore che è il nostro miglior atout sui mercati internazionali. D'altronde, il successo di tanti nostri marchi nei settori più disparati è legato a quelle tre parole: made in Italy.  Un unicum da rafforzare. Le faccio un esempio: abbiamo 36 mila società di design. Molte sono ditte individuali, tanti i piccoli studi ma se riusciamo a creare una massa sotto la bandiera del made in Italy ne avremo tutti da guadagnare. E' quello che sto provando a portare avanti nel gruppo car design and engineering dell'Anfia. Qualche anno fa il gruppo si era ridotto a sole otto società, ora siamo in trenta. Ma l'obiettivo è arrivare ad almeno cento marchi. Bisogna lavorare perché le aziende capiscano il valore dell'associarsi ai corpi intermedi e i vantaggi del fare filiera».