Pubblichiamo il quadro d'insieme del Rapporto sull'Economia del Piemonte redatto da Banca d'Italia
Nel 2022 l’economia piemontese è ancora cresciuta, ma a tassi più contenuti rispetto all’anno precedente. All’indebolimento hanno contribuito in misura rilevante la crisi energetica e il rialzo dei prezzi che ne è derivato (cfr. il riquadro: L’aumento dei prezzi al consumo). In base all’indicatore trimestrale dell’economia regionale elaborato dalla Banca d’Italia, l’attività economica in Piemonte sarebbe aumentata del 3,7 per cento (in linea con il Pil dell’Italia), un incremento pari a poco più della metà di quello del 2021, ma che ha comunque consentito il pieno recupero dei livelli di prodotto antecedenti la pandemia. L’indicatore Regio-coin della Banca d’Italia, che fornisce una stima dell’andamento delle componenti di fondo dell’economia regionale, è sceso da luglio su valori negativi, riflettendo il progressivo deterioramento del quadro economico; dopo aver toccato il livello più basso a settembre, è successivamente risalito ed è tornato positivo tra la fine del 2022 e l’inizio del 2023.
Il recupero dell’economia del Piemonte nell’ultimo biennio si inserisce in un contesto di sviluppo di lungo periodo non favorevole: tra il 2000 e il 2019 in particolare la regione ha mostrato un differenziale negativo di crescita sia nel confronto con le altre regioni del Nord sia rispetto alla media italiana. Su tale andamento ha influito la deludente performance di Torino, soprattutto rispetto a quella delle altre città metropolitane del settentrione. Nostre analisi indicano che tale divario non sarebbe riconducibile alla composizione settoriale dell’economia torinese, ma alla più bassa produttività totale dei fattori, un indicatore dell’efficienza con cui vengono combinati gli input produttivi e che dipende, tra l’altro, dalla governance delle imprese, dalla capacità innovativa e dalla qualità del capitale umano.
Le imprese
Nella media del 2022 l’attività è stata più intensa nelle costruzioni e nei servizi rispetto all’industria in senso stretto, dove la produzione è solo marginalmente cresciuta e il fatturato delle imprese si è lievemente ridotto in termini reali. L’edilizia è stata sostenuta sia dagli investimenti in opere pubbliche sia soprattutto dagli incentivi fiscali per la riqualificazione energetica. Nel terziario la domanda è ulteriormente aumentata, grazie al consolidamento della ripresa dei consumi e del turismo. Dopo l’estate il peggioramento della congiuntura e del clima di fiducia degli operatori è stato diffuso a tutti i principali settori e a tutte le dimensioni aziendali, ma è risultato più accentuato per le piccole imprese, che avrebbero risentito in misura maggiore delle criticità connesse con i più elevati costi di produzione e con l’aumento degli oneri finanziari. Nell’industria la propensione a investire, pur elevata, si è progressivamente ridotta nel 2022: le grandi imprese, in particolare, hanno rivisto al ribasso i piani di accumulazione formulati a inizio anno. Un impulso alla spesa per l’acquisto di beni capitali è derivato dalla necessità di investire in nuove tecnologie e in impianti a maggiore sostenibilità energetica. L’impatto dei più elevati costi di produzione sulla redditività delle imprese manifatturiere è stato in buona parte contenuto dall’aumento dei prezzi di vendita, seppure in misura eterogenea tra settori; l’incremento del costo del lavoro è stato invece modesto.
Le tensioni sugli approvvigionamenti si sono notevolmente attenuate dall’ultimo trimestre del 2022. Nostre analisi volte a misurare la vulnerabilità dell’economia nel complesso a interruzioni o a ritardi nei tempi di consegna delle forniture dall’estero degli input produttivi non energetici indicano che l’esposizione della regione è inferiore a quella media nazionale. Per la manifattura, tuttavia, l’impatto di una riduzione dell’import di alcuni beni da paesi ad alto rischio geopolitico sarebbe rilevante, in particolare per le imprese del comparto dell’abbigliamento. La liquidità delle aziende, storicamente elevata, ha smesso di crescere; in particolare, i depositi presso le banche si sono ridotti. I prestiti bancari alle società non finanziarie sono diminuiti. Il calo, al netto di operazioni straordinarie, è riconducibile alla minore domanda di finanziamenti, soprattutto per investimenti, e al peggioramento delle condizioni praticate dagli intermediari. L’andamento del credito è stato più favorevole per le imprese meno rischiose, anche se l’aumento dei tassi è stato simile tra prenditori con diverse probabilità di default. Le aziende sono riuscite a preservare la capacità di rimborso dei debiti: solo una quota minoritaria ha avuto difficoltà a onorare gli impegni di pagamento.
Il mercato del lavoro e le famiglie
Le condizioni del mercato del lavoro sono ulteriormente migliorate. L’occupazione è ancora cresciuta: quella dipendente in particolare è stata trainata dall’aumento dei contratti di lavoro a tempo indeterminato, cui hanno contribuito le stabilizzazioni di posizioni a termine. È proseguito il calo del ricorso agli strumenti di integrazione salariale, che è stato comunque più elevato di quello antecedente la pandemia. Il numero di occupati è rimasto inferiore a quello del 2019. Le imprese hanno segnalato un’elevata difficoltà nel reperire forza lavoro, soprattutto nell’industria (comprese le costruzioni) e per le qualifiche medio-alte. Secondo nostre elaborazioni, le retribuzioni nominali annue dei lavoratori dipendenti nel periodo 2017-2021 sono risultate superiori alla media delle altre regioni italiane, ma inferiori a quelle del resto del Nord. Il reddito disponibile delle famiglie è cresciuto nel 2022, ma l’alta inflazione ne ha eroso il valore reale. I consumi sono ancora aumentati, pur rimanendo inferiori a quelli pre-pandemia. L’incremento dei prezzi è stato più intenso per i nuclei famigliari meno abbienti, a causa della maggiore incidenza nel loro paniere di spesa delle componenti che hanno registrato i rialzi più elevati, come quelle per l’abitazione e quelle alimentari. Tale dinamica potrebbe avere accresciuto la quota di famiglie che non sono in grado di sostenere l’acquisto dei beni energetici essenziali, già salita in misura rilevante nel 2021.
I prestiti alle famiglie sono aumentati, ma la crescita si è indebolita nell’ultima parte dell’anno: vi ha influito il calo della domanda di mutui legato anche al rapido incremento dei tassi di interesse. L’espansione del credito al consumo è stata trainata dalla componente non finalizzata, che potrebbe essere legata anche a esigenze di finanziamento della spesa corrente. La prevalenza dei mutui a tasso fisso sullo stock complessivo ha contribuito a mitigare l’esposizione al rischio di tasso. I depositi bancari delle famiglie si sono ridotti, mentre è salito l’ammontare investito in titoli di Stato e, in misura minore, in obbligazioni bancarie, riflettendo la maggiore preferenza a riallocare la liquidità in attività più remunerative
Il mercato del credito
Nel corso del 2022 il credito bancario al settore privato non finanziario è diminuito, per il calo dei prestiti al sistema produttivo. Alla minore domanda da parte dei prenditori si sono associate politiche di offerta più prudenti degli intermediari. La rischiosità dei prestiti, misurata dal tasso di deterioramento, è ulteriormente scesa, su livelli storicamente contenuti. Nei primi mesi del 2023 sono emersi segnali di lieve peggioramento della qualità del credito. È proseguita la riduzione del numero di sportelli, avviatasi all’inizio dello scorso decennio e intensificatasi dal 2015: in base a nostre analisi la quota di popolazione che potrebbe avere difficoltà di accesso ai servizi finanziari rimarrebbe tuttavia contenuta. La finanza pubblica decentrata. – Nel 2022 la spesa degli enti territoriali piemontesi è ancora cresciuta: vi ha contribuito quella connessa con l’approvvigionamento di energia, i cui consumi risultano difficilmente comprimibili in quanto legati per la maggior parte alla fornitura di servizi essenziali. Anche i costi per il personale sono aumentati, come pure i trasferimenti a famiglie e imprese.
La spesa per investimenti si è stabilizzata su livelli elevati. La progettazione di lavori pubblici è invece aumentata in misura significativa, grazie soprattutto al Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) e al Piano nazionale per gli investimenti complementari al Pnrr (Pnc): a maggio 2023 risultavano assegnati a soggetti attuatori pubblici 7,8 miliardi per interventi da realizzare in Piemonte, il 6,9 per cento del totale nazionale. Nell’ultimo biennio le Amministrazioni locali piemontesi hanno avviato gare o stipulato contratti relativi al Pnrr per circa il 30 per cento degli importi che dovranno bandire. In base a nostre stime, nel periodo 2023-26 i Comuni della regione dovrebbero incrementare i loro esborsi annui per investimenti di una percentuale compresa tra il 70 e il 90 per cento e ciò implica la necessità di un miglioramento significativo della loro capacità realizzativa. Gli investimenti collegati al Pnrr contribuirebbero in misura rilevante al valore aggiunto e all’occupazione nelle costruzioni.
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