All’Italia dei Comuni si richiamava la prima Lega. Quella di Bobo Maroni. Non sono affine a quel movimento, non fosse altro per ragioni di cognome anagrafico. Ma è indubbio che alle origini esso avesse preso spunto dall’Italia dei Comuni. Certo, si riferiva in modo piuttosto rozzo a radici che forse neppure ben conosceva. Per dirne una, Alberto da Giussano non è un personaggio storico e probabilmente è mai esistito. La lega dei comuni contro il Barbarossa sì. Ma non è questo il punto. L’Italia dei Comuni segnò di certo un periodo di fioritura economica. Se ancora oggi facciamo visitare al mondo i nostri Borghi storici, ricchi di cultura e di monumenti, un po’ lo dobbiamo agli investimenti di quel periodo. Spesso pensiamo che l’eredità di quel periodo sia l’Italia dei campanili, dei tanti interessi contrapposti che diventano una giungla che impedisce di decidere qualsiasi cosa. E c’è del vero. Però l’Italia dei Comuni ebbe una fioritura economica reale.
Tre spinte per l'economia dell'epoca
Molto sintetizzando fu la conseguenza di tre cause. La prima fu che la pressione fiscale era molto bassa, perché non si pagavano tasse all’imperatore. La produttività della spesa pubblica imperiale era zero o negativa, perché i soldi sarebbero finiti in guerre o soldati. Invece, trattenere più denaro sul territorio voleva dire più investimenti e anche controllo locale sulla spesa pubblica. Secondo: nacquero le scuole comunali. Non insegnavano certo il latino che si imparava nelle scuole dei conventi, ma le scuole comunali erano aperte alle classi sociali che non vi avevano mai acceduto. Vi si imparava a leggere e scrivere, nonché a far di conto, il che apriva la possibilità per chi non aveva bottega di aprirne una, e per chi non discendeva da mercanti di diventare mercante. La platea di chi poteva intraprendere venne così improvvisamente moltiplicata, e fu una fortuna. Terzo: la fortuna non ci sarebbe stata se non ci fosse stato un meccanismo finanziario per mettere nelle mani di chi voleva rischiare del denaro, appunto, il denaro che non aveva. E fu in quell’Italia che nacquero e si diffusero i banchieri, mercanti che sul banco offrivano non merce bensì prestiti. Erano spesso prestiti usurari, diremmo adesso. Ma tenuto conto che l’interesse rifletteva la scarsità del denaro e il rischio che faceva correre a chi lo prestava, allora tutto sommato poteva funzionare.
All'origine dei banchieri
Fu così che quell’Italia che pagava poche tasse, nessuna all’imperatore, qualcuna al Comune e al vescovo locale, controllando direttamente come venivano spesi i soldi. Quell’Italia che imparò a leggere e scrivere e nella quale il denaro iniziò a circolare ed essere prestato, fiorì. Alcune di quelle idee hanno decisamente abbandonato l’Italia di oggi. La pressione fiscale è alta e quella locale bassa o nulla. Solo una ventina di anni fa c’erano l’Ici e l’Iciap. L’Ici era un’imposta immobiliare che incassavano tutti i Comuni, senza privilegiare quelli turistici come l’Imu, mentre l’Iciap era versata dalle attività produttive. Il che significava che i Comuni erano più indipendenti finanziariamente e avevano un interesse a far fiorire l’edilizia e le attività economiche, che fornivano la base imponibile, invece di ostacolarle. Il controllo locale diretto sulla spesa pubblica non c’è più, e le cronache purtroppo ce lo confermano quotidianamente, e questo dovrebbe far pensare a che cosa abbia prodotto l’aumento delle formalità anticorruzione e i controlli ex post. Ben poco.
Quanto alla scuola, le indagini Pisa evidenziano che in Italia si hanno risultati inferiori alla media dei Paesi con cui ci confrontiamo e questi dati si acuiscono quando si tratta dell’istruzione tecnica e professionale, che è stata largamente trascurata. Infine il denaro. Di liquidità ce n’è in abbondanza, ma i prestiti sono quasi esclusivamente erogati a chi può offrire garanzie, proprie o statali. Questo si vede dai bilanci delle banche, che espongono un costo del credito così basso che è credibile solo se, appunto, i prestiti sono stati garantiti. Se però la scuola non fa abbastanza e il credito non redistribuisce opportunità, le porte girevoli della società aperta si bloccano. Nell’Italia dei Comuni giravano più che nell’Italia contemporanea. E questo è un tema che non dovrebbe interessare solo un partito, che peraltro ha dimenticato da dove è partito, è un tema che riguarda tutti e dovrebbe interessare l’intero Parlamento.
© Riproduzione riservata