Almeno una cosa le va riconosciuta: non ha avuto la fortuna dalla sua parte. Di fronte a impegni interni e internazionali che non lasciano tregua, il presidente del Consiglio ha dovuto affrontare in poche settimane quelli che potremmo chiamare cigni neri, ostacoli inattesi e complicazioni impreviste.

Giorgia Meloni non poteva certo immaginare che il figlio di Ignazio La Russa, uno dei fondatori del suo partito e ora sulla poltrona di seconda carica dello Stato, si mettese nei guai e trascinasse nella polemica anche il padre che peraltro si è complicato la vita da solo con dichiarazioni perlomeno sconcertanti. Forse era più prevedibile, soprattutto per chi si muove nei palazzi della politica, che una figura particolarmente esuberante e con mille interessi diversi, come quella di Daniela Santanchè, avrebbe potuto creare qualche imbarazzo in un Governo impegnato a dare formalmente correttezza ed efficacia alla propria azione. Del tutto improvviso è invece il caso di Andrea Delmastro, un fratellino d’Italia, che nonostante avesse una solida esperienza di avvocato penalista, non è stato percorso dal sospetto che la rivelazione dei colloqui di un detenuto al 41 bis potesse avere una rilevanza penale.

Tre episodi di difficile gestione

Si tratta solo di tre episodi, di tre situazioni per le quali sarà la magistratura a valutare elementi e circostanze, ma su cui appare inevitabile un giudizio politico. Con un’opposizione che per ora sembra ferma ai riflessi pavloviani per una polemica verso il Governo dettata soprattutto dalla volontà ovviamente inespressa di far dimenticare i propri limiti e le proprie divisioni.

Tre episodi, peraltro, la cui rilevanza non è dettata solo dai fatti o dalle circostanze che li hanno determinati, ma anche, e forse soprattutto, dalle reazioni, dalle parole, dai commenti che questi fatti hanno provocato.

Il tutto in uno scenario in cui la più solida maggioranza di governo degli ultimi decenni si trova a doversi confrontare almeno su quattro fronti: il primo è quello “naturale” dell’opposizione che ovviamente fa il suo dovere contestando puntualmente le decisioni della maggioranza; il secondo è quello della magistratura, o almeno dei settori della magistratura più orientati a sinistra, che viene contestata per la logica “politica” delle sue decisioni e delle sue prese di posizione; il terzo è quello tutto interno alla maggioranza con una Lega che sta cercando spazi di manovra e di visibilità con sparate improvvise, come quella di un nuovo condono fiscale, per non essere soffocata dai successi mediatici di Giorgia Meloni; il quarto fronte aperto è più silenzioso, ma non per questo meno pericoloso perché è costituito dall’incompetenza e dalla superficialità di una parte significativa di una classe dirigente che ha conquistato all’improvviso posizioni di potere.

Tra incompetenza e mancanza di esperienza 

È proprio quest’ultimo punto che può spiegare molti problemi. Il Governo sembra essersi trovato spiazzato di fronte all’improvvisazione e alla mancanza di esperienza in un sistema amministrativo, oltre che politico, particolarmente complesso: con un pronunciato ondeggiamento tra le posizioni ideologiche di partenza e la necessità di fare i conti con la concretezza dei problemi di gestione della cosa pubblica. Con risultati che se non fossero in prospettiva drammatici sarebbero degni di una pièce teatrale di Ionesco.  

Come si può giudicare un Governo che con una mano sollecita, nonostante le molte opere incompiute, i fondi europei del Pnrr, e con l’altra continua a rifiutare, unico tra i paesi dell’euro, la ratifica del Mes, un accordo che, secondo gli stessi tecnici del Ministero dell’Economia, aiuterebbe la gestione già di per sé non facile, del debito pubblico?

Un europeismo “à la carte”.

Ma l’europeismo “à la carte” mal si concilia, tra le tante altre cose, con le giuste richieste all’Europa di considerare l’immigrazione come un problema di tutta l’Unione. E peraltro proprio sull’immigrazione vi è stato un netto cambio di direzione e si è passati dai proclami con le sollecitazioni dei blocchi navali ad una collaborazione con le stesse Ong per i salvataggi in mare e ad un’apertura senza precedenti all’accoglienza: nei prossimi tre anni sono infatti già previsti oltre 400mila ingressi legali che si aggiungono agli 83mila già previsti dal decreto flussi di febbraio.

In vista delle elezioni europee che, ricordiamolo, vedranno i partiti non in coalizione, ma correre ognuno per conto proprio, c’è un altro tema che ogni tanto riemerge con il suo carico di polemiche: il tema dell’autonomia differenziata. Un progetto considerato identitario e quindi irrinunciabile della Lega. Un progetto di cui gli alleati di governo cercano di parlare il meno possibile, ma che è visto da FdI e FI come qualcosa tra il fumo negli occhi e l’olio di fegato di merluzzo che le mamme del dopoguerra facevano ingoiare ai figli debolucci.

Magistrati, difficile equilibrio tra autonomia e responsabilità 

Ma è sul fronte della giustizia che potranno derivare le difficoltà maggiori. È innegabile che alcuni magistrati, negli ultimi quarant’anni, si siano sentiti in dovere di fare i giustizieri politici concentrando indagini e provvedimenti cautelari verso particolari settori unendo la voglia di protagonismo alle ambizioni di potere. Ma é altrettanto innegabile che talvolta la politica ha offerto su di un piatto d’argento i motivi per avviare indagini e avviare processi. E così la stessa politica ha aperto la strada ad accuse che lasciano un’ampia discrezionalità rispetto ai fatti: ne è prova, per esempio, l’ipotesi di reato di “concorso esterno in associazione di tipo mafioso”, un’ipotesi contestata dalla Corte europea di Strasburgo e che ha richiesto continui interventi interpretativi da parte della Cassazione.

In queste condizioni parlare di riforma della giustizia vuole dire entrare in un campo minato. Ed é quanto è avvenuto nelle ultime settimane. Con un problema che ha tanti aspetti, ma che si può ricondurre essenzialmente alla ricerca di un difficile, se non impossibile, equilibrio tra l’autonomia che la magistratura giustamente rivendica e la responsabilità che la politica altrettanto giustamente richiede.

Le battaglie nei partiti sulle leadership

La giustizia sarebbe uno di quegli ambiti dove la prospettiva del bene comune dovrebbe portare ad un dialogo costruttivo all’interno del Parlamento, ma quello che caratterizza questa legislatura sembrano essere le battaglie attorno alle leadership dei singoli partiti, perché tutti, tranne Fratelli d’Italia, hanno leader in balia delle correnti, dei contrasti interni, delle polemiche sulle strategie da adottare.

Non sarà certamente facile il dopo-Berlusconi in Forza Italia, con la “segreteria” altrettanto unanime, quanto provvisoria di Antonio Tajani. Così come si sta rivelando un cammino sui carboni ardenti quello di Elly Schlein che, per ora si é contraddistinta per l’assoluta assenza di proposte originali impegnata com’è a destreggiarsi tra la maggioranza ostile all’interno del partito (che non dimentica di essersi espressa come prima scelta per Bonaccini) e il complesso equilibrio strategico del rapporto di amore/odio con i 5 Stelle. Tanto che potrebbe ripetere quello che scriveva Catullo più di duemila anni fa “Odio e amo. Forse mi chiedi come io faccia. Non so, ma sento che questo accade: è la mia croce.” E tra i 5 Stelle non è certo tranquilla la navigazione di Giuseppe Conte impegnato a far digerire al MoVimento le ultime innegabili sconfitte elettorali.

Siamo in una fase politica molto interessante da raccontare, magari sperando che le cose di cui si parla poco o nulla siano più costruttive di quelle che riempiono i titoli dei giornali.