Giorgia on my mind. Eccoci un anno dopo le elezioni del 2022 che hanno portato a Palazzo Chigi il governo più a destra della nostra storia repubblicana. Gli analisti si stanno spendendo in questi giorni e in queste ore. Siamo al dunque, però. Mi verrebbe da chiamare il nostro primo presidente del Consiglio donna Giorgia Melina. Perché finora, sulle questioni che contano, la palla è sempre sta mandata in tribuna, come il Mes. E ciò che abbiamo visto, al di là dei proclami spesso fuori misura, è molta durezza: dal “carico residuale” ai cinquemila euro proposti come cauzioni agli sbarcati che intendono lasciare i centri di raccolta, dal telegramma di ghiaccio per la scomparsa del presidente Napolitano alle norme rigide sui giovani. Solo insipienza, timidezza, oppure un vero volto che ancora non si è svelato? Giorgia Melina o Giorgia Furbina?

Giorgia on my mind. Sempre più facile reprimere che prevenire. Nonostante tutto, questa è un po’ la tendenza della destra. Ora, però, i nodi vengono al pettine. Dicono che quando il gioco si fa più duro i duri iniziano a giocare. Vedremo. In questo caso, però, il gioco è sulle spalle di noi cittadini, come sempre, accidenti. La prova del nove sarà la legge di bilancio e - soprattutto - vedere che cosa ci dirà la presidente (insopportabili i giochetti sui generi…) dal momento che denaro per fare tutto non ci sarà. Quindi, lacrime e sangue, con la famiglia, sempre fanalino di coda, il welfare, la sanità e la scuola che resteranno a bocca asciutta. Insomma, Giorgia Meloni deve decidere se interpretare al meglio il ruolo istituzionale o continuare gli schiamazzi da campagna elettorale.

Giorgia on my mind. Non ci deve spaventare lo spoil system che sta avvenendo nei ministeri. E neppure un certo familismo in Fratelli d’Italia. Accade negli Stati Uniti e la democrazia non è a rischio, anche se dall’assalto di Capitol Hill sono giunti dei segnali preoccupanti. Preoccupa di più l’approccio culturale e istituzionale che abbiamo visto in questi dodici mesi: il negazionismo sul fascismo, l'approccio da campagna elettorale, il presidente del Senato, seconda carica dello Stato, che non molla gli incarichi del partito, l’assalto ringhioso al direttore del Museo Egizio di Torino, creature alla Foa che spacciano ciarpame per pluralismo a Radiorai, il caso Santanché. E non è tutto. Gli italiani prima, i fantasmi della sostituzione etnica, Gentiloni che non facilita l’Italia: sono sintomi di una immaturità istituzionale e fors’anche psicologica: chi è autorevole non ha bisogno di essere autoritario e assecondare la pancia del Paese. E l’autorevolezza significa impostare sulla rotta del bene comune pensioni, Pnrr, riforme, senza pensare al tornaconto elettorale. Salvini & company, in questo senso, non l’aiutano di certo. 

Giorgia on my mind. Sullo sfondo, certo, c’è un’Europa ambigua e malferma, posizionata in un quadro geopolitico dove stanno cambiando, e molto, le carte. Qui non siamo protagonisti (agli appuntamenti dell’Onu la presidente ha preferito la pizzeria Made in Italy), anzi ci mostriamo con i soliti vizi. Bene non essere troppo proni con le banche, ma - santo cielo - studiate un po’ come si muoveva Andreotti nei corridoi e al telefono. In questi mesi le opposizioni vegetano e litigano, si cambiano casacche, ma di sostanza - da parte loro - se ne vede ben poca, sia al centro sia a sinistra.

L’Italia, come sempre, è migliore di quello che appare. Scrivo da Napoli, dove il caos cittadino, le furbizie, il calore e la simpatia, i mille culure di Pino Daniele ti avvolgono senza nascondere i problemi, anzi. In Campania, e al Sud, in tutto lo Stivale, ci sono moltissimi piccoli imprenditori - tanti, giovani - che lavorano seriamente progettando il futuro. Si meriterebbero una classe dirigente politica (di tutte le casacche) ben diversa. Ecco, Giorgia Meloni, dovrebbe far vedere uno scatto in questa direzione guardando l’ultimo anno. Sennò, tra qualche mese, saremo di nuovo a discutere d’instabilità e di ennesima crisi di Governo.