La capacità di reazione delle imprese italiane è messa a dura prova da scossoni globali. Da tensioni internazionali - dall’Ucraina alla Cina fino agli interventi protezionistici degli Stati Uniti - emergenza energetica, scarsità di materie prime. Eppure, inflazione a parte, l’Italia cresce. Lo dicono almeno due dati. Il primo interessa il periodo a cavallo tra il 2021 e il 2022: un inaspettato +11% provocato dall’effetto rimbalzo post pandemia ma prodotto anche dalla crescita strutturale. Il secondo dato anticipa l’andamento del 2023: il Fondo Monetario Internazionale ha rialzato le stime sul Pil e ha previsto una crescita dello 0,6%.
Significa allora che le imprese italiane - e il Sistema Paese - hanno i fondamentali giusti per gestire la tempesta? È la domanda alla quale ha dato una risposta Antonio Calabrò, presidente Fondazione Assolombarda e Museimpresa, intervenuto al Panel di Mondo Economico su “Inflazione e Assicurazioni”, organizzato in collaborazione con Assiprovider, al Palazzo delle Stelline di Milano.
Calabrò ha fatto risalire l’attuale capacità reattiva dell’impresa italiana alla crisi dei debiti sovrani e al crollo di Wall Street. «È in quella congiuntura storica che le nostre aziende hanno cominciato a ristrutturarsi, investire, innovare. Abbiamo reagito alla follia finanziaria con l’economia reale, insistendo sulla qualità dello sviluppo e dei rapporti sui mercati internazionali. Un contributo è venuto anche da legislazioni di sostegno fiscale come industria 4.0». «Abbiamo vissuto una convergenza virtuosa che ha favorito la crescita dimensionale delle imprese e la loro capitalizzazione. Per questo oggi crescono e sono consapevoli che la loro forza è legata alla risposta delle nicchie a maggiore valore aggiunto sui mercati globali».
Eppure si potrebbe fare molto meglio. Se i fondamentali delle imprese sono sani, lo è infatti molto meno il Sistema Paese. Calabrò non tace i forti limiti di un sistema che azzoppa il trend di crescita e non permette di competere alla pari. Denuncia pesanti carenze di conoscenza e competenze. Fotografa un mercato del lavoro da ristrutturare profondamente, con una quota ancora alta di disoccupati e un numero elevato di posti di lavoro che le imprese non riescono a coprire. «È un mismatch grave che evidenzia una delle caratteristiche strutturali della debolezza del sistema Italia».
Le fragilità dell'Italia
La debolezza del Sistema Paese è ancora più evidente all’interno della competizione internazionale. Non è sufficiente aver conquistato nicchie di grande valore sui mercati globali. Soprattutto se ci troviamo di fronte a due approcci fortemente protezionistici come quelli di Stati Uniti e Cina. Basta pensare ai 550 miliardi destinati da Biden all’Infrastructure Investment and Jobs Act e ai finanziamenti per produrre microchip e materiali che tengano in piedi l’industria elettronica. «Dentro questa polarizzazione, abbiamo bisogno di più Europa», incalza Antonio Calabrò. «Servono politiche convergenti sulla sicurezza strategica, sulle forniture, sulle politiche industriali europee».
Una partita tuttora in corso, minacciata troppo spesso da fughe in avanti. «È illuminante la recente missione della delegazione franco-tedesca a Washington per discutere della Inflation Reduction Act (IRA). Si sono dichiarati “portavoce” della posizione europea mentre la Commissione della Ue stava già trattando su questo tema. A voler essere morbidi, possiamo limitarci a parlare di un clima di confusione».
Lo scacchiere globale
E se in Europa regna la confusione, forse c’è da fare chiarezza anche sul concetto di mercati globali. Tanta pubblicistica sta infatti archiviando in questi mesi la globalizzazione perché superata dall’attualità internazionale. Antonio Calabrò non è d’accordo: «A essere ripensati devono essere i termini della globalizzazione: le economie erano connesse e restano connesse. A cambiare saranno i criteri e i valori delle connessioni».
Nel frattempo, è importante non stare fermi. Usare la crisi come già stiamo facendo. Fare proprie le lezioni dello shock energetico che ha piegato anche la produttività delle imprese italiane. «Abbiamo imparato a risparmiare dopo essere cresciuti nella convinzione del basso costo del gas. Abbiamo capito che la dipendenza da un solo fornitore è devastante e stiamo lavorando sull’autonomia strategica del continente». «Ora - ha concluso Calabrò - dobbiamo lavorare per un Europa più unita, compatta, capace di mettere in campo forti politiche industriali. A partire dal Fondo europeo per la sicurezza strategica: il fondo di acquisto comune per le materie prime strategiche».
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