Che forme assume il welfare aziendale nel nostro Paese? E come si stanno muovendo le piccole e medie imprese, che sono da sempre la base della nostra economia?
Cos’è il welfare aziendale?
Il welfare aziendale è oggi un tema di grande interesse nel dibattito pubblico. Di cosa si tratta?
Con questo termine si intende descrivere quell’insieme di benefit e servizi forniti da un’azienda – tramite una propria iniziativa (unilateralmente) o tramite accordo con i sindacati (contrattualmente) – ai propri dipendenti (e spesso anche ai loro familiari), come forma integrativa della normale retribuzione monetaria.
Lo scopo di queste prestazioni è quello di migliorare la vita lavorativa, familiare e privata dei lavoratori andando ad incidere in maniera significativa sul benessere dell’individuo.
Tale fenomeno sta conoscendo oggi una grande diffusione nel nostro Paese. In buona parte, è merito delle novità introdotte dalle Leggi di Stabilità del 2016 e del 2017, le quali hanno rinnovato la normativa che regolamenta il welfare aziendale in modo tale da ampliare i benefici fiscali per le imprese.
Secondo gli addetti ai lavori, il favor fiscale sancito dalle nuove norme sta producendo un forte boost del mercato del welfare aziendale. Ma, ad oggi, che forme assume questo fenomeno nel nostro Paese? Come si stanno muovendo le imprese italiane? E, soprattutto, cosa fanno le piccole e medie imprese, che sono da sempre la base della nostra economia?
Per rispondere a queste domande, analizziamo i principali risultati emersi dall’indagine Welfare Index PMI. In particolare, riportando i dati raccolti nel rapporto, cercheremo di proporre una sintesi delle principali caratteristiche che il welfare aziendale assume nelle PMI italiane.
Il welfare aziendale nelle PMI
Come accennato, quindi, Welfare Index PMI è un’iniziativa – promossa da Generali Assicurazioni, con la partecipazione di Confindustria, Confagricoltura, Confartigianato e Confprofessioni – che si pone l’obiettivo di stimare la qualità e la diffusione del welfare aziendale all’interno delle piccole e medie imprese. Una delle sue particolarità risiede nel fatto che l’indagine non prevede nessun tipo di campionamento: sono le stesse aziende che scelgono di partecipare volontariamente al progetto, iscrivendosi e compilando un questionario online.
Quest’anno, le imprese che hanno partecipato alla seconda edizione del progetto sono state 3.422 (il 60% in più rispetto al 2016). Tali realtà fanno parte di settori produttivi diversi e contano tutte meno di 250 dipendenti. Per la precisione il campione è composto da: 670 imprese con un numero di dipendenti compreso fra 101 e 250; 905 che hanno da 51 a 100 addetti; 865 che impiegano da 10 a 50 lavoratori; 573 che contano dai 6 ai 9 addetti; 239 con meno di 6
Entrando nel merito, per quanto riguarda la diffusione delle prestazioni (Figura 1), al primo posto – con una frequenza del 46,3% – si trovano le polizze assicurative per il personale, diverse dalle assicurazioni previdenziali e sanitarie; tuttavia, se si escludono le polizze infortuni che in molti casi sono obbligatorie, il tasso di iniziativa nelle assicurazioni scende al 17,1%.
Ci sono poi cinque aree in cui l’iniziativa delle imprese è molto elevata, pari o superiore al 33%. Questi ambiti sono: il sostegno economico ai lavoratori (con il 35,1%); la sanità integrativa (34,8%); la sicurezza e la prevenzione degli incidenti, attraverso iniziative aziendali aggiuntive a quelle obbligatorie (33,9%); la formazione del personale, anche in questo caso come integrazione alle attività previste dalla normativa vigente (33,7%); la conciliazione vita-lavoro, in cui sono incluse anche misure a favore della flessibilità degli orari (32,8%). Rimane per poco al di fuori da questa “fascia” la previdenza integrativa, che tocca comunque il 23,4% del campione.
Seguono poi aree con tassi meno elevati: il welfare allargato al territorio, come scuole, asili nido, eventi culturali e ricreativi, case e alloggi (17,3%); il sostegno ai soggetti deboli e all’integrazione sociale (7,7%); i servizi di assistenza per i lavoratori e le loro famiglie (6,7%); le iniziative per la cultura, la ricreazione e il tempo libero (5,8%); il sostegno all’istruzione dei familiari (2,7%).
Gli aspetti che più incidono nella diffusione del welfare aziendale sembrano essere il settore produttivo di appartenenza e le dimensioni dell’impresa.
Per quanto riguarda il settore (Figura 2), dal rapporto emerge che le aziende dell’industria sono le più attive nella realizzazione di interventi per i dipendenti. Le imprese del commercio e dei servizi, invece, sono particolarmente attive in aree come la sanità integrativa, le polizze assicurative e il sostegno economico ai lavoratori. Gli studi professionali e il settore dei servizi investono in aree di welfare specifiche per la propria attività e per le proprie caratteristiche organizzative, come la formazione dei dipendenti, la sicurezza e prevenzione degli incidenti, la conciliazione vita-lavoro.
Nell’artigianato la dimensione media molto piccola delle imprese non favorisce la diffusione delle iniziative: ciò vale per tutte le aree del welfare aziendale considerate nel rapporto e descritte in precedenza. L’agricoltura raggiunge tassi di iniziativa elevati particolarmente nel sostegno economico, nella formazione e nella sicurezza e prevenzione; ma, come per l’artigianato, le dimensioni ridotte delle realtà produttive di questo settore sembrano incidere negativamente sulla diffusione del welfare aziendale. Infine, le imprese del terzo settore raggiungono livelli di iniziativa molto elevati nelle aree della conciliazione vita-lavoro, del welfare allargato al territorio e alla comunità, della formazione, della sanità integrativa, sicurezza e prevenzione degli incidenti, della cultura, ricreazione e tempo libero.
Maggiormente vincolanti sembrano essere invece le dimensioni dell’impresa (Figura 3). Questo fattore inciderebbe profondamente sulla possibilità di strutturare un piano di welfare complesso: in particolare vi sarebbe una profonda correlazione tra il numero di dipendenti e la possibilità di realizzare dei piani di welfare che assicurino prestazioni variegate. Le realtà che possono vantare il numero maggiore di iniziative, ad esempio, sono il 6,8% nelle imprese con meno di 10 addetti, il 16,2% in quelle tra 10 e 50, il 24,6% nelle imprese tra 51 e 100, il 44,7% nelle aziende tra 101 e 250.
Secondo questi dati, quindi, l’ostacolo maggiore per la diffusione del welfare d’impresa nelle PMI sarebbero proprio le dimensioni ridotte, le quali limitano molto il budget da dedicare ai servizi per i dipendenti, le possibilità organizzative e, inoltre, la possibilità di raccogliere informazioni utili riguardo gli aspetti tecnici.
I principali effetti del welfare aziendale secondo gli imprenditori
Un ultimo aspetto degno di nota riguarda i principali risultati che le imprese hanno dichiarato di aver raggiunto attraverso il welfare aziendale (Figura 4). Per il momento, solo un piccolo gruppo di imprenditori afferma di avere già constatato netti miglioramenti, in particolare in materia di gestione del personale, cioè: nella soddisfazione dei lavoratori e nel clima aziendale (9,5%), nella fidelizzazione dei lavoratori (9,4%) e nella riduzione dell’assenteismo (4,1%). Quote più piccole di imprese segnalano impatti positivi sull’immagine dell’azienda (7,4%) e miglioramenti della produttività (3%).
Molto maggiore, all’incirca tra il 25% e il 30%, è la quota di imprese che, pur affermando di aver colto alcuni segnali incoraggianti, è fiduciosa nel fatto che il welfare aziendale produrrà miglioramenti significativi nel futuro prossimo.
È da notare, però, che se ci si concentra esclusivamente sulle imprese più attive nel campo del welfare (cioè quelle che hanno attuato almeno 6 iniziative – Figura 5), le percentuali salgono molto: riscontri positivi per la soddisfazione del lavoratore e per il clima aziendale sono riportati dal 71% delle organizzazioni, l’engagement invece è rafforzato per il 69%, mentre ne trarrebbe beneficio anche la produttività per il 69% del campione (Figura 6).
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