Il Medio Oriente è una polveriera. Soffrono gli israeliani, per l'orrore subito da Hamas il 7 ottobre, soffrono i palestinesi della Striscia di Gaza. Atti di terrore senza precedenti si stanno compiendo alle porte di casa nostra. È una catastrofe umanitaria: morti, feriti, sfollati. Tentativi di diplomazia che s'infrangono sui muri.
Sono forti le radici ideologiche che gettano le basi di condizionamenti culturali e mentali, leve di consenso nella popolazione ebraica e israeliana per terrorismo e violenza. Si perpetuano forti convinzioni ostili contro l'altro gruppo, bias culturali che si radicalizzano, contribuendo a far nascere stereotipi e immagini distorte del nemico. Proviamo ad analizzare.
- Narrative storiche e identità culturale: L'insegnamento della storia nelle scuole presenta prospettive culturali nazionaliste, creando una visione unilaterale degli eventi storici. Questo contribuisce a percezioni distorte e radicate di ingiustizia nelle popolazioni, sin dall’infanzia..
- Fattori psicologici collettivi di paura e insicurezza Appartenere a una comunità influenza il pensiero collettivo e induce gli aderenti ad adottare o perpetuare determinate convinzioni: Il conflitto come condizione permanente ha radicato paure reciproche e la percezione dell’altro come minaccia per la propria sicurezza. Questa mentalità di "noi contro loro" alimenta la solidarietà interna da un lato, e dell’altro la necessità di sconfiggere il gruppo avversario.
- Deumanizzare il nemico: È la leva più potente per giustificare atti di violenza e oppressione contro i nemici. Rappresentati come "non umani" o "meno umani", diventa più facile giustificare trattamenti ingiusti o crudeli.
Nel corso della storia la propaganda di guerra ha di frequente raffigurato come "mostri" i nemici da battere.
Deumanizzare il nemico ha creato leve di consenso dei peggiori reati contro l’umanità:
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Olocausto: i nazisti deumanizzarono gli ebrei e altri gruppi considerati "indesiderabili" raffigurandoli come "parassiti". Questo ha agito come leva di consenso del massacro e l'oppressione di milioni di persone.
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Schiavitù: Durante l'era della schiavitù negli Stati Uniti, gli schiavi africani venivano spesso raffigurati come "subumani" o "bestie". Questo ha giustificato la pratica disumana della schiavitù e la sua brutalità.
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Genocidio in Ruanda, le persone appartenenti a gruppi etnici considerati nemici sono state deumanizzate attraverso la propaganda e i media, argomentando così l'uccisione di massa.
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Discriminazione razziale: durante l'apartheid in Sudafrica, gli afrikaner hanno basato la loro discriminazione contro la maggioranza nera raffigurandola come "inferiore" e "non adatta alla parità".
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Discriminazione di gruppi religiosi: durante la guerra nei Balcani negli anni '90, si sono verificati massacri tra gruppi religiosi, e la propaganda è stata utilizzata per raffigurare gli avversari come "nemici infedeli".
Anche ora la propaganda di Hamas così giustifica morti e sequestri di civili innocenti del fronte nemico.
La possibile evoluzione?
Secondo l’esperto di geopolitica Dario Fabbri, abbiamo tre possibili scenari alternativi.
- «Il primo: è in corso la risposta militare israeliana, un’operazione di terra dentro la striscia di Gaza per recuperare gli ostaggi, per stanare la dirigenza di Hamas, i tunnel, gli arsenali di munizioni e di razzi. E quindi non ci sarà soltanto un’operazione dal cielo. Israele dovrà però bilanciare la sua reazione, perché se fosse oltremodo spinta renderebbe molto complicato l’accordo con l’Arabia Saudita, che era quasi concluso prima di questo conflitto. Tra l’altro prevenire quell’accordo è una delle ragioni che ha indotto Hamas a lanciarsi nell’attacco. L’organizzazione è infatti molto vicina a posizioni iraniane e non poteva certo benedire questo tipo di accordo. Sostanzialmente, quindi, il primo scenario potrebbe essere una reazione israeliana del tipo descritto, senza coinvolgimenti ulteriori, ma rischiosa qualora fosse ritenuta eccessiva, ad esempio dai sauditi, ma anche da molte altre monarchie del Golfo».
- «Secondo scenario: Hezbollah entra nella guerra. Quindi i miliziani sciiti libanesi attaccano da nord Israele, aprendo così due fronti, oltre a Gaza che è già un fronte evidente. Costringendo l’esercito israeliano a dividersi su due direzioni».
- «Terzo scenario, decisamente più improbabile: un allargamento del conflitto a livello regionale. Già nello scenario precedente lo abbiamo visto estendersi con l’intervento di Hezbollah. Ma in questa ipotesi il conflitto si allargherebbe maggiormente, interessando altri Stati. Su tutti, l’Iran. Resta altamente improbabile che Teheran entri direttamente in questa guerra, sebbene dobbiamo immaginare che abbia benedetto l’attacco di Hamas ai danni di Israele, e che lo abbia conosciuto in netta anteprima. Quindi il terzo scenario, il peggiore in assoluto e anche il meno probabile, vedrebbe un coinvolgimento diretto dell’Iran».
Gli interessi in gioco in quella area del mondo sono molteplici e non riguardano solo il conflitto fra israeliani e palestinesi. Riguardano alleanze politiche che vanno oltre gli odiosi disumani fatti di cronaca e le azioni militari di questi giorni.
I negoziati per la pace sono possibili se partono da un logico presupposto: bisogna volerla.
Tutte le parti in gioco devono realmente volerla, a partire dai loro leader. Bibi Netanyahu ha detto: «Se gli arabi rinunciassero alle armi oggi, non ci sarebbe più violenza. Se gli Ebrei rinunciassero alle armi oggi, non ci sarebbe più Israele».
Parte di un negoziato efficace sarà anche agire sulle leve di consenso delle popolazioni coinvolte: promuovere il dialogo interculturale, intervenire sulle influenze culturali e mentali, sull’educazione delle popolazioni, con una forte determinazione e un impegno a lungo termine, con azioni concrete per cambiare le narrazioni negative e superare le posizioni di odio, radici del conflitto.
È certamente una questione di potere. E di come i leader politici continuano a gestirlo: trattando la morte e la distruzione di altri esseri umani come inevitabili danni collaterali.
La frase su cui riflettere?
«Una pace ingiusta è meglio di una guerra giusta»
Marco Tullio Cicerone, oratore e filosofo romano (106-43 A.C.)
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