Prestiti azzerati ad aprile in Italia. Non accadeva dal 2016. E l'Abi, l'associazione delle banche, indica il colpevole: «È l'effetto dei rialzi dei tassi da parte della Bce». Ma le brutte notizie non si esauriscono qui. Ad aprile l'inflazione è tornata a rialzare la testa. Il trend discendente nel primo trimestre dell'anno si è interrotto bruscamente e il tasso di crescita dei prezzi è risalito dello 0,5% passando dal 7,7% di marzo all'8,3% di aprile. Tutta colpa, dicono gli esperti dell'Istat, di un nuovo rincaro dei beni energetici. La spesa del carrello però, almeno quella, ha registrato un segno meno. E ora si aspetta la pagella di Moody's, l'agenzia di rating che venerdì si pronuncerà sul debito italiano. Un report particolarmente atteso e importante dopo che a fine aprile Moody's aveva messo in evidenza gli aspetti di debolezza dell'Italia, unico Paese dell'eurozona con rating BAA3 e outlook negativo. 

Gli impieghi "azzerati"

Dunque si azzera la crescita dei prestiti bancari a famiglie e imprese in Italia per effetto della stretta della Bce. Secondo il rapporto mensile Abi, ad aprile, i prestiti a imprese e famiglie sono rimasti invariati rispetto a un anno prima, mentre a marzo avevano registrato un incremento dello 0,4%, quando i prestiti alle imprese erano diminuiti dell'1% e alle famiglie erano cresciuti dell'1,9%. Era dal gennaio 2016 che non si registrava una variazione negativa dello 0,1%. La prima reazione dal vice direttore generale dell'Abi Gianfranco Torriero: «La domanda di prestiti sta diminuendo in maniera generalizzata, per effetto dei tassi più alti ma anche per l'incertezza che permane, pur in un contesto di Pil in crescita. L'unica domanda positiva che rimane, anche se in diminuzione, è quella per il finanziamento del circolante, quindi a breve termine». D'altronde sul rischio effetto Bce aveva già lanciato l'allarme Antonio Patuelli, numero uno dell'Abi, ribandendo«l'importanza di avere una politica monetaria che combatta l'inflazione ma senza eccedere, onde non creare le condizioni di effetti recessivi»

Gli orientamenti dei risparmiatori

L'inflazione perdura e i risparmiatori si muovono verso prodotti a maggior rendimento offerti dalle banche, abbandonando la liquidità a breve parcheggiata nei depositi. La tendenza emerge scorrendo il rapporto mensile Abi: ad aprile i depositi sono scesi del 3,7% mentre le obbligazioni sono cresciute del 10,1%. Il tasso di interesse medio sul totale della raccolta bancaria da clientela (somma di depositi, obbligazioni e pronti contro termine) è salito allo 0,82%, (0,79% nel mese precedente). Sui soli depositi in conto corrente è pari allo 0,29%. Troppo poco. Soprattutto se raffrontato con la crescita degli interessi praticati per i prestiti. Per questo da Bruxelles il ministro delle Finanza Giancarlo Giorgetti ha fatto pressioni sulle banche perché rivedano al rialzo i tassi sui depositi attivi, parlando apertamente di «mancato adeguamento». Un pensiero che sarebbe condiviso dai colleghi dell'Ecofin.

Quanto morde l'inflazione

I prezzi al consumo mordono leggermente meno del previsto ad aprile,  ma tornano comunque a infiammarsi, trainati da un nuovo rincaro dei beni energetici. Pur limando al ribasso le stime preliminari, l'Istat ha confermato con il dato definitivo i timori di un'inflazione che ad aprile ha arrestato il trend discendente del primo trimestre per tornare nuovamente a salire. E lo ha fatto passando dal 7,7% di marzo all'8,2%, con un aumento dei prezzi mensile pari allo 0,4%. Secondo l'Istat a frenare il rientro del carovita è una nuova accelerazione della dinamica tendenziale dei prezzi dei beni energetici non regolamentati, il cui andamento riflette un aumento su base mensile del 2,3% (che si confronta con un -3,9% di marzo).

Va meglio sul fronte del "carrello della spesa" - ovvero quel raggruppamento di beni che vanno dagli alimentari ai prodotti per la cura della casa e persona - con un nuovo rallentamento dei rialzi, passati dal +12,6% di marzo al +11,6% ad aprile. Ma non basta a rallentare la corsa dell'inflazione che in due anni è cresciuta del 13,9%. Nella sostanza un prodotto che ad aprile di due anni fa costava cento euro, un anno fa si pagava 106 euro e oggi 114. Milano, Bolzano e Siena sono le tre città - secondo l'Unione consumatori - con i maggiori rincari.