I mercati dei prodotti e del lavoro liberalizzati alimentano la crescita economica, che, grazie alla maggior produttività, spinge alla crescita dei salari e dell'occupazione. La crisi incentiva le riforme nei mercati dei prodotti e del lavoro e dunque potrebbe essere vista in modo positivo, come un'occasione, soprattutto se è contenuta. Le crisi eccessive sorgono quando si ha una concentrazione degli interessi dei creditori. Un sistema di interessi diffusi renderebbe meno pesanti gli aggiustamenti dei bilanci pubblici. Un sistema di interessi diffusi incentiverebbe lo stesso le riforme, che spingono allo sviluppo, ma con un costo minore.

Fa parte di quello che gli inglesi chiamano “common sense” l'affermare che lo sviluppo economico – o, se si preferisce, la schumpeteriana “distruzione creatrice” - sia tanto maggiore quanto minori sono i vincoli sia nel mercato dei prodotti sia in quello del lavoro. Se non vi sono vincoli, allora le innovazioni si diffondono più facilmente, perché si hanno meno ostacoli nella diffusione dei prodotti, che, a loro volta, possono materializzarsi solo se la forza lavoro si sposta - senza troppe frizioni - dai vecchi ai nuovi settori. (Per una definizione della regolamentazione dei mercati dei prodotti e della tutela dell'occupazione si veda il grafico III.7).

Bene, misuriamo questa affermazione – il primo blocco di grafici è il III.5. Il grafico a sinistra mostra sull'asse orizzontale il grado di regolamentazione dei prodotti – man mano che ci si sposta a destra la regolamentazione diventa più stringente - e su quello verticale la produttività del lavoro dei diversi Paesi. Il grafico al centro - mostra sempre sull'asse orizzontale il grado di regolamentazione dei prodotti e su quello verticale il tasso di occupazione dei diversi Paesi. Ne deriva una retta di regressione che si muove dall'alto a sinistra verso il basso a destra, ossia si evince che tanto più il mercato dei prodotti è regolamentato tanto minore è la produttività e l'occupazione. Il terzo grafico collega la regolamentazione del mercato del lavoro (e non dei prodotti) al tasso di occupazione. Anche qui si evince che il tasso di occupazione è tanto maggiore tanto minore è la regolamentazione del mercato del lavoro.

Abbiano visto che le affermazioni di “common sense” sono molto vicine alla realtà, almeno nel breve termine. Allora perché il “common sense” non è attuato, perché non è reso reale?

Osserviamo il secondo blocco di grafici, il III.8. I Paesi che hanno subito meno la pressione dei mercati finanziari – il grafico a sinistra - sono quelli che hanno reagito meno alle raccomandazioni di riforma (queste ultime sono approssimate dai suggerimenti “Going for Growth” dell'Ocse). L'asse orizzontale misura il rendimento puntuale dei titoli di stato prima e dopo la crisi. Se questo è sceso – e dunque si è a sinistra rispetto all'asse dello zero – allora le raccomandazioni non sono state seguite e viceversa. Il grafico a destra mostra come le raccomandazioni siano seguite quanto maggiore è la recessione. Le riforme si fanno solo se le cose vanno davvero male, il costo del debito pubblico che aumenta e la crisi che morde, altrimenti si preferisce lasciare il mondo tale e quale, sperando che col tempo tutto si aggiusti. Il che ci porta alla domanda: è la Crisi e la Levatrice del Mutamento? Se la risposta è sì, allora il momento migliore per fare le riforme in Italia lo abbiamo avuto alla fine del 2011 inizi del 2012, quando la pressione dei mercati era massima.

E qui arriviamo all'ultimo punto. Che cosa vuol dire “la pressione dei mercati”? Nel caso della Grecia, la scelta iniziale della troika (il Fondo Monetario Internazionale, la Commissione Europea, la Banca Centrale Europea) di rifinanziare il debito greco favorì chi lo deteneva, perché poteva continuare a contabilizzarlo “alla pari”, e mise sotto pressione la Grecia, il cui il saldo primario sul PIL al netto del ciclo è stato corretto del 15%, una correzione enorme, pari a tre volte quella che si è avuta in Italia. Un sistema come il Chapter 11 statunitense - quando un'impresa non riesce a fronte ai propri obblighi può essere riorganizzata dai propri dirigenti che negoziano con i creditori, il Chapter 11, che è diverso dal Chapter 7, che, invece, richiede una vendita forzata dei beni per ripagare i creditori - avrebbe potuto mettere abbastanza sotto pressione la Grecia e dunque spingerla a varare le riforme dovute, senza però spingerla verso un eccessivo aggiustamento del proprio bilancio.

Un sistema diverso da quello vigente, che possiamo definire “mercatista” e non centrato sull'onnipotente Troika, la quale ultima, in sostanza, difende il creditore – o, meglio, alcuni creditori, e impone l'austerità al debitore, potrebbe essere quello giusto, soprattutto dopo il “pentimento” del Fondo Monetario. Il creditore sarebbe più attento a prestare, perché non sarebbe saldato a qualunque costo, con il debitore che non godrebbe di alcuna benevolenza da parte dei creditori, non giusto quando scoppia la crisi, ma prima. La Grecia, infatti, fu finanziata a tassi “tedeschi” fino alla crisi e poi “strizzata” per pagare i debiti. Fosse stata giudicata per quello che era, sarebbe stata, pur restando nell'euro, finanziata a tassi “greci”, e dunque non avrebbe espanso oltre misura la spesa pubblica avendo un disavanzo di bilancia dei pagamenti correnti smisurato.

La Crisi è la Levatrice del Mutamento, ma perché si dovrebbe rinunciare a una Levatrice che rappresenti gli interessi “diffusi” al posto di quelli “concentrati”?