Il mai sopito tormentone del “complotto dei poteri forti” contro Silvio Berlusconi è tornato alla ribalta (1). Riducendo le complesse vicende dell'estate del 2011 allo scontro di pochi personaggi ben caratterizzati - il Professore, Il Cavaliere, Re Giorgio, eccetera - in una specie di “teatrino”, che ricorda l'intervento degli dei nell'Iliade, si spinge con pochi e semplici messaggi verso una sorta di resa dei conti (2).

La vicenda è narrata come se fosse nelle mani di pochi personaggi che tutto possono e tutto fanno. Una ricostruzione fatta in modo diverso - ossia solo con le dinamiche finanziarie e con la teoria dei giochi quindi senza Eroi - può essere utile. La migliore analisi a mio giudizio è quella di Lorenzo Bini Smaghi, all'epoca alla Banca Centrale Europea, ed in seguito uscito per l'arrivo di Mario Draghi a ragione che due italiani nella tolda di comando erano troppi. Ne riproponiamo una sintesi (3).

La famosa lettera della Banca Centrale Europea al Governo italiano del maggio 2011, quella che chiedeva delle riforme per poter procedere nell'acquisto dei nostri titoli del Tesoro, articolava delle richieste. (L'idea retrostante la lettera è che le riforme avrebbero lanciato lo sviluppo che avrebbe ridotto il peso del debito pubblico, rendendolo immediatamente sicuro e quindi acquistabile). Innanzitutto delle riforme strutturali - come le liberalizzazioni, la riforma del mercato del lavoro e della contrattazione sindacale. La manovra sul bilancio pubblico – si noti - arrivava dopo ed includeva il taglio delle spese inefficienti insieme al completamento della riforma delle pensioni. Infine, dopo le riforme strutturali e il taglio delle spese presenti e prospettiche, si richiamava la riforma delle provincie.

Da maggio 2011 fino ai mesi successivi, nulla di quanto richiesto fu fatto, e perciò scattò la pressione dei mercati finanziari. Nel settembre 2011 – quindi prima della grande crisi che portò alla rinuncia di Berlusconi – il Fondo Monetario Internazionale offrì un pacchetto di aiuti finanziari “di tipo precauzionale e a condizionalità morbida” per far fronte all'instabilità dei nostri titoli del Tesoro. Il Governo italiano rifiutò l'aiuto offerto per non sembrare prigioniero dei poteri internazionali a meno di due anni dalle elezioni. A quel punto la crisi si accentuò. Le riforme richieste nel maggio 2011 per continuare con gli aiuti della Banca Centrale, e gli aiuti offerti nel settembre 2011 dal Fondo Monetario non avevano avuto una “sponda” in Italia, e la crisi finanziaria si accentuò. Quelli erano i tempi con lo spread in prima pagina e in prima serata TV. Siamo così giunti alla vexata quaestio dell'intervento dei “poteri forti”, che emerge dopo l'estate del 2011.

Il ragionamento che segue richiede una premessa da “teoria dei giochi”. La minaccia di uscire dall'euro non è una posizione negoziale solida. Infatti, inietta ulteriore sfiducia nei mercati, che devono comprare il debito del “minacciante”, mentre rende sospettosi gli altri paesi che devono concedere gli aiuti, i “minacciati”. Detto in altro modo, aumenta la debolezza di chi minaccia, mentre alimenta la fragilità del sistema. E il sistema cerca, ovviamente, di cautelarsi.

Papandreu diede le dimissioni subito dopo aver annunciato un referendum sull'euro, e Berlusconi fece altrettanto, dopo che ci furono degli incontri riservati con i Capi dei Governi dell'Euro-area in cui fu “ventilata l'ipotesi di un'uscita dall'euro” dell'Italia. Insomma, chi tocca l'euro salta. Ma “perché” salta, e poi “come” salta? Sul “perché” uno salti se tocca l'euro, lo svolgersi delle vicende potrebbe essere stato questo. Non essendo stato Berlusconi in grado né di rilanciare la crescita, né di tagliare la spesa, non gli rimaneva, per evitare la crisi, che il rialzo delle imposte, ma, facendo così, avrebbe smentito la sua “ragion d'essere” (=Meno Stato Più Mercato). Naturalmente non poteva che rifiutare gli aiuti del Fondo Monetario, per non offendere la “dignità nazionale”. Berlusconi rimase perciò fermo, e per tentare di tenere in piedi le cose, tentò la carta del ventilare riservatamente l'ipotesi di un ritorno alla Lira. L'ipotesi seppur solo ventilata, fece scattare l'allarme. Per evitare un'eventuale grande crisi in tutta Europa, Italia inclusa, crisi che si sarebbe avuta con il ritorno alla Lira, ecco che scattarono le “garanzie di sistema”. E siamo al “come”. Sia quelli che in Italia erano atterriti dal ritorno della Lira sia quelli che lo erano negli altri paesi hanno incominciato a lavorare ad una alternativa. Alternativa che, alla fine, poteva andar bene anche a Berlusconi, perché la via che aveva imboccato era senza uscita. E fu così che arrivò Monti.

Berlusconi non fu capace di evitare la crisi nel 2011, mentre Monti, anche con l'appoggio di Berlusconi, ci riuscì. La crisi fu evitata, ma a parti invertite rispetto alla prima richiesta della Banca Centrale Europea: infatti, con Monti, prima ci fu il “Salva Italia” e poi il “Cresci Italia”.

Non essendo la politica, quando è sotto pressione, capace di riordinare le cose nella direzione della crescita, essa finisce per concentrarsi solo sul bilancio pubblico. Più precisamente: poiché il taglio delle spese pubbliche è difficile da attuare - il taglio “selettivo” richiede molto tempo ed è sottoposto a molti freni, si approda inevitabilmente al rialzo delle imposte, perché queste ultime sono pochi capitolati abbastanza facili da mettere in opera. Altrimenti detto, quando si ha una crisi, la raccolta delle imposte ha meno vincoli immediati del taglio delle spese. Il taglio delle spese, a sua volta, condivide il primato di frenare il mutamento con i provvedimenti di liberalizzazione, che si annunciano ma non si attuano”.

(1) http://www.ilgiornale.it/video/interni/ecco-perch-i-poteri-forti-hanno-mollato-napolitano-990948.html

(2) http://www.quirinale.it/elementi/Continua.aspx?tipo=Comunicato&key=16174

(3) http://www.centroeinaudi.it/le-voci-del-centro/finish/2-le-voci-del-centro/454-17-settembre-2013-linkiesta-it.html