Abbiamo, dopo i due esploratori di qualche tempo fa, un mandato esplorativo. Potrebbe così formarsi un governo – maggioritario alla Camera, con risicata maggioranza al Senato - frutto dell'accordo fra i due “quasi-vincitori” delle elezioni. Di seguito ridiscutiamo la politica economica proposta.
1 – il deficit come volano della crescita
Abbiamo il nodo della flat tax, o della tassa non più piatta, perché è diventata a due scalini, con quella massima che è la metà di quella massima vigente – un 20% contro oltre il 40%. Stime ne corrono, usiamo però solo quella che ne è il baricentro: sono cinquanta miliardi di minori entrate. La ratio della flat tax è che, crescendo il reddito disponibile, i privati intraprendono un ciclo di spesa che rilancia l'economia. La stessa cosa vale per la flat tax applicata alle imprese. Il rilancio dell'economia legato ai maggiori consumi delle famiglie e ai maggiori investimenti delle imprese genera un gettito fiscale che - pur con aliquote inferiori - è eguale in volume a quello che si aveva prima – quello con una crescita minore e con aliquote maggiori.
Non esistono delle stime convincenti – a dire il vero nemmeno delle vere e proprie stime - che le cose siano messe così, ossia che la flat tax non crei problemi fiscali, anzi. Negli Stati Uniti la stima bipartisan appena pubblicata mostra il bilancio federale che accresce il proprio deficit dopo il taglio delle tasse di Trump. Vi è un aspetto, che richiama il “teorema dell'equivalenza” di Ricardo. Se la flat tax non genera un gran gettito che bilanci i conti pubblici, questi nel futuro dovranno registrare un rialzo delle imposte. Se le cose andassero così, le famiglie e le imprese anticiperebbero le maggiori tasse di domani spendendo meno fin da oggi, vanificando così l'effetto propulsivo della flat tax.
A fronte di queste minori entrate si hanno due capitoli di spesa, Anche qui non esistono delle stime convincenti elaborate dalle forze che li propongono. La riforma della “legge Fornero” che ripristina la possibilità di andare in pensione anche prima dei sessanta sette anni, a condizione che si siano versati contributi per un numero sufficiente di anni. Il suo costo – il nostro baricentro - è di venticinque miliardi. L'altro capitolo è il reddito di cittadinanza, che è cambiato nel corso del tempo. Da reddito universale – assai costoso - a reddito condizionato – molto meno costoso. Ossia, non lo si riceve più “perché italiani”, ma solo sotto delle condizioni definite e a tempo determinato. Il suo costo – il nostro baricentro – è di venticinque miliardi.
Quindi abbiamo – largo circa - cinquanta miliardi di minori entrate e cinquanta miliardi di maggiori uscite. Ossia, cento miliardi di nuovo deficit – circa il 5% del PIL - che si aggiungono al deficit corrente – circa il 2% del PIL.
2 – l'economia trainata dalla spesa
La controriforma delle pensioni e il reddito di cittadinanza possono essere letti come un secondo fattore – il primo è la flat tax - che rilancia la domanda. La domanda che resuscita l'offerta, insomma, mentre l'offerta è ignorata o è criticata (vedi le polemiche sul jobs act) dalle forze del governo in formazione. Questa idea, ossia che la domanda alla fine “possa tutto” non è nuova, si vedano i primi tre link.
La non novità dell'idea che l'economia sia trainata dalla domanda – che possiamo definire, anche forzandone la dottrina, “keynesiana” - spiega il sentimento contrario all'euro di molta parte della coalizione del governo in formazione. Per euro si intende un sistema in cui diversi Paesi hanno la stessa moneta che, inoltre, acconsentono la libera circolazione dei capitali. Una politica di spesa molto elevata in deficit – come sembra in preparazione in Italia - non è compatibile con questo sistema. Il gran deficit ed il conseguente gran debito per essere finanziato richiede dei tassi molto più elevati di quelli che si formano nel resto del sistema. E il maggior costo del debito – se non si vuole tagliare troppo la spesa e alzare le imposte - non può essere finanziato da un rilancio dell'economia trainato dalle esportazioni se la moneta è comune (non svalutabile). Una elaborazione delle modalità dell'uscita dall'euro - come la immaginano i suoi fautori - la si trova qui: https://scenarieconomici.it/il-piano-b-per-litalia-nella-sua-interezza/. Qui trovate la nostra argomentazione a favore della moneta unica, come condizione per avere i tassi e i rendimenti in caduta: http://www.centroeinaudi.it/agenda-liberale/articoli/4611-la-grande-decisione.html
3 – L'avversione all'euro e il caso della Grecia
Quindi avremmo - applicando alla lettera tutto quel che possiamo ad oggi sapere - un elevato maggior deficit, che nasce dall'idea che la domanda possa tutto. Questa combinazione alimenta una naturale avversione all'euro. Abbiamo un precedente, l'arrivo di Syriza al governo in Grecia. Un programma radicale di riforma e di rinegoziazione con l'Unione Europea, che si è risolto in una accettazione dei vituperati vincoli. Si vedano i link sulla Grecia scritti ai tempi della crisi.
Approfondimenti
Il keynesismo riferito alle polemica in Italia:
http://noisefromamerika.org/articolo/euro-domanda-produttivita-viaggio-nel-mito-parte-1
http://noisefromamerika.org/articolo/euro-domanda-produttivita-viaggio-nel-mito-parte-2
L'esperienza della Grecia dal radicalismo alla compatibilità:
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