La crisi in corso ha origine nel corona virus. È quindi un evento esterno all’economia. Un evento di grandissimo impatto e quasi impossibile da prevedere. La crisi per essere posta sotto controllo chiede un forte intervento sia fiscale sia monetario. Di seguito affrontiamo prima i numeri della crisi poi l’impatto degli acquisti di titoli da parte della banca centrale. Impatto sui conti pubblici e sui bilanci delle banche centrali stesse. Trovate anche una digressione sull’improbabile ritorno dell’inflazione, almeno nel breve termine. Data la lunghezza della nota sulle obbligazioni, la parte sulle azioni sarà pubblicata in un secondo momento.

1 - Come si articola la crisi 

Si ha more solito uno scenario “di base”, che è quello che si immagina che abbia la probabilità maggiore. Nel caso della stima dell'impatto del corona virus il Fondo Monetario Internazionale (FMI) prevede una contrazione dell'economia mondiale del tre per cento nel 2020, cui segue un'espansione appena inferiore al sei per cento nel 2021. Nelle sole economie avanzate la previsione è meno sei per cento nel 2020, seguita da un più quattro e mezzo per cento nel 2021.

Questa è la previsione riportata dal sistema mediatico. Il quale ultimo quasi mai riporta le altre stime del FMI, stime che si trovano nella stessa pubblicazione. Per lo scenario base le pagine 7,8. Per gli scenari alternativi (quelli di gran lunga peggiori) le pagine 14,15: https://www.imf.org/~/media/Files/Publications/WEO/2020/April/English/Ch1.ashx?la=en;

Si hanno due scenari alternativi a quello “base”: la quarantena dura di più, ossia non si esaurisce entro l'estate, ma si esaurisce a dicembre, è il primo scenario alternativo. Il virus torna a infierire, è il secondo scenario Alternativo. Il terzo scenario alternativo immagina non solo che la quarantena duri di più, ma anche che il virus torni a infierire.

Nel primo scenario alternativo il PIL mondiale scende del tre per cento sotto la stima di “base”, che era del tre per cento, per cui si ha un meno sei per cento. Nel secondo scenario alternativo il PIL scende del cinque per cento, rispetto al tre per cento dello scenario di base, e quindi si ha un meno otto per cento. Nel terzo scende dell'otto per cento, e quindi si ha, rispetto alla stima di base del tre per cento, un meno undici per cento.

Soprattutto con il terzo scenario alternativo si ha una grande crescita del deficit aggregato dei Paesi avanzati – un dieci per cento sopra i deficit correnti - e del debito aggregato dei Paesi in un periodo più lungo – un venti per cento sopra i debiti correnti.

Allo stato delle conoscenze non si può dire quale scenario sia il più probabile, ma solo quale sia il più “desiderabile” – banalmente quello di base. Il quale può però spingere a dei comportamenti “ottimistici” prima del tempo, comportamenti centrati sull’aspettativa di una ripresa che inizia già dall’estate di quest’anno. I numeri della commissione europea non differiscono da quelli del FMI. Li trovate qui per completezza: https://www.ft.com/content/147044ea-a019-49cb-8cb1-d8660a63c7ec

Insomma, e in conclusione, avremo come ovvio delle politiche fiscale e monetarie molto lasche, le più lasche dal Secondo dopoguerra.

 

2 - Il timore dell’inflazione

L’inflazione - in due parole - è il frutto di troppa moneta in confronto alle poche merci e ai pochi servizi in offerta.

Oggi le merci e i servizi disponibili sono - per la chiusura di molte attività - di molto inferiori al loro livello ante crisi. Si ha allo stesso tempo una forte caduta della domanda per consumi, per effetto della disoccupazione che comprime il reddito corrente.

La gigantesca espansione monetaria e fiscale in corso potrebbe genera un enorme potere d'acquisto che altrimenti non ci sarebbe a fronte del quale l'offerta di beni e servizi potrebbe restare limitata. Da qui il timore che sorga l'inflazione.

Per approfondire: https://www.economist.com/finance-and-economics/2020/04/18/covid-19-could-lead-to-the-return-of-inflation-eventually. Un timore che per ora nessuno pensa possa esserci e che non tocca neppure le previsioni che fanno i mercati finanziari. I quali ultimi stimano un’inflazione inferiore all'uno per cento con una probabilità pari all'ottanta per cento. Si veda a pagina 4: https://www.imf.org/~/media/Files/Publications/GFSR/2020/April/English/text.ashx?la=en

Attenzione però. È vero che il ritorno dell’inflazione è improbabile, ma, semmai ci fosse, metterebbe in crisi la politica dei tassi nulli delle banche centrali. Tassi nulli intorno ai quali ruota la tenuta dei mercati finanziari sia di quelli delle obbligazioni dei Tesori, sia quelli delle obbligazioni private di alta e bassa qualità, sia, infine, quelli delle azioni.

 

3 - La politica monetaria europea 

La Corte Costituzionale tedesca (CCT) chiede che il suo governo e il suo parlamento si pronuncino entro tre mesi sull’acquisto di titoli dei Tesori dei Paesi dell’euro da parte della Banca Centrale Europea (BCE). Come giudicare la decisione? https://www.centroeinaudi.it/component/jdownloads/send/2-le-voci-del-centro/2348-egemoni-per-necessità.html

Si hanno due programmi di acquisto, quello precedente, il Quantitative Easing (QE), giunto a fama pop grazie al “whatever it takes” di Mario Draghi, aveva due vincoli. Gli acquisti non potevano andare oltre la quota che ogni Paese ha nel capitale della BCE, e, comunque, non oltre una certa percentuale del debito pubblico di ogni Paese. Nel secondo QE, quello corrente, il PEPP - acronimo di pandemic emergency purchase programme, i vincoli di cui sopra sembrano non esserci. Da qui la richiesta di chiarimenti della CCT.

Si ha in Italia, la solita biforcazione fra scetticismo ed europeismo, fra chi pensa che, in seguito alla vicenda della CCT, “Berlino abbia perso fiducia nell’Europa”, e chi pensa, al contrario, che la sentenza della CCT “non avrà alcuna conseguenza pratica”.

Come che sia, per ora non si sono avuti dei sommovimenti nei titoli di stato. Il rendimento del BTP decennale ha reagito poco alla vicenda, attestandosi intorno al due per cento, che è il doppio di quanto registrasse prima dell’arrivo del virus, ma è la metà di quanto registrava ai tempi del primo governo Conte.

Dietro i prezzi del BTP possiamo leggere questi giudizi. Il virus accresce il debito, mentre l’economia si contrae. Aumenta il rischio, la cui misura è il rapporto Debito/PIL, e quindi è chiesto un rendimento maggiore. Questo rendimento è oggi inferiore a quello che si sarebbe avuto in assenza degli interventi delle banche centrali. Il rendimento è però inferiore anche a quello del primo Conte. Allora s’aggirava il dubbio di una possibile, anche se improbabile, uscita dall’euro, e quindi del ritorno alla lira. Si aveva come conseguenza il premio per il rischio dì “denominazione”, ossia che i BTP in euro potessero essere rimborsati in una moneta più debole.

 

4 - Sul ruolo politico di una finanza indipendente 

È vero che gli interventi in acquisto da parte delle banche centrali dei titoli di stato è un finanziamento della spesa pubblica? https://osservatoriocpi.unicatt.it/cpi-archivio-studi-e-analisi-banca-centrale-c-e-davvero-differenza-tra-acquisti-di-titoli-di-stato.

La banca centrale acquista i titoli del Tesoro direttamente sul mercato primario, partecipando all’asta. L’effetto del suo agire sul tasso di interesse è immediato. La banca centrale aumenta la domanda in sede di asta, provocando quindi un aumento del prezzo dei titoli e quindi una riduzione del loro rendimento. Minori rendimenti significano, come ovvio, minori spese per interessi da parte dello Stato.

Se la banca centrale interviene sul mercato secondario, il prezzo e il rendimento dei titoli messi all’asta sul primario non sono direttamente influenzati dalla banca centrale, poiché all’asta a quel punto partecipano solo i privati. Questi nel decidere quanti titoli domandare e a quale prezzo terranno però conto dell’intervento della banca centrale sul mercato secondario. Ossia, sanno che la domanda di titoli di Stato sul mercato secondario è e sarà elevata e dunque che non sarà difficile rivendere i titoli. Anche in questo caso i costi di finanziamento dello Stato si riducono grazie all’intervento della banca centrale.

In conclusione, non c’è una vera differenza economica tra acquisti della banca centrale effettuati sul mercato primario e gli acquisti fatti sul mercato secondario. Se così, perché si chiede alla banca centrale di comprare solo sul secondario?

Per ribadire - ecco la differenza politica - l’indipendenza della banca centrale dalla politica del Tesoro, e per dare un peso al mercato finanziario nella formazione del prezzo del debito pubblico. Sul punto, relativamente all’Italia, riecco il “divorzio” fra banca centrale e tesoro: https://www.centroeinaudi.it/agenda-liberale/articoli/4611-la-grande-decisione.html.

A proposito del ruolo politico del mercato mercato. Una volta il debito pubblico italiano era detenuto dalle banche italiane. Era facilmente governabile, perché le banche erano in gran parte pubbliche. Poi è passato nelle mani delle famiglie italiane, rimanendo facilmente governabile, perché in cambio di rendimenti molto elevati queste lo sottoscrivevano. Si aveva così un meccanismo di consenso molto semplice. La politica governava il debito prima attraverso le “sue” banche, poi attraverso gli alti rendimenti. In questo modo non si poteva formare un giudizio di merito pubblicamente condiviso sul debito dell’Italia. Nel primo caso gli investitori erano “catturati”, nel secondo “sedotti”. In breve, il Principe non faceva fatica a ricevere il consenso degli elettori-risparmiatori, tanto più che il debito crescente si sarebbe scaricato sui “non nati” che, sulle nuvole e in attesa della cicogna, non votano.

Ma trenta anni fa arriva il momento del mercato, in doppia direzione: gli italiani possono investire all’estero e l’estero può investire in Italia. Si possono così formare giudizi di merito: qual è il premio – il maggior rendimento richiesto – per detenere il debito italiano rispetto a quello tedesco?

Il Principe deve ora convincere che il debito è sotto scrivibile. Cambia la natura del rapporto: il Principe prima non faceva fatica a collocare il debito e non doveva persuadere nessuno sulla sua tenuta; al contrario, adesso s’affanna e deve varare politiche coerenti nel tempo.

 

5 - Come uscire dal grande indebitamento?

Si hanno, come effetto delle maggiori spese e delle minori entrate, dei maggiori deficit che sono molto elevati. I quali ultimi non sono finanziati con l'emissione di moneta, ma con l'emissione di obbligazioni. Cresce così il debito pubblico di tutti i Paesi.

Il passo successivo è il debito che cresce intanto che le economie – come misurate dal PIL, si contraggono. Il rapporto fra il debito (il numeratore) e il PIL (il denominatore) non può che aumentare. La stima in proposito vede avvicinarsi questo rapporto a dei livelli che non si sono mai avuti nei tempi di pace.

Sul come affrontare il nodo dei debiti pubblici che stanno esplodendo si dibatte. In estrema sintesi, la conclusione sul controllo dei maggiori debiti non verte – per la difficoltà politica di attuare queste manovre, sul taglio della spesa e/o sull'aumento delle entrate, ma su altre combinazioni: sulla “repressione finanziaria” concomitante o meno con il ritorno di una gran crescita.

Da notare che dopo la Seconda guerra i grandi debiti pubblici - il frutto della guerra medesima, furono messi sotto controllo dalla combinazione di una gran crescita e della repressione finanziaria. La repressione finanziaria si articolava obbligando le banche a detenere quote di debito pubblico con dei tassi compressi, inferiori al tasso di inflazione, e congelando la mobilità dei capitali, in maniera tale che il risparmio fosse prigioniero con rendimenti reali nulli del Paese d’origine.

La grande crescita dell'economia si aveva grazie all’urbanizzazione, alla grande crescita dell'istruzione di massa, e alla demografia positiva. La repressione finanziaria insieme alla gran crescita non sono quindi degli obiettivi facilmente ottenibili nel mondo d'oggi, perché quelle tre caratteristiche del dopoguerra non ci sono più.

 

6 - La fallacia della composizione

I rendimenti sul debito pubblico dei maggiori Paesi sono oggi quasi nulli o negativi. Eppure bisogna “tifare” perché così vada avanti, altrimenti i debiti pubblici, ormai giganteschi, diventerebbero troppo costosi per i bilanci i degli Stati, che finirebbero, volenti o nolenti, per tagliare delle voci di spesa essenziali come l’istruzione e la sanità.

Detto diversamente, oggigiorno a livello individuale investire in obbligazioni rende nulla, perciò si ha una perdita di opportunità. Se questa perdita di opportunità a livello individuale non ci fosse, ossia se i tassi e i rendimenti tornassero ai livelli storici, per esempio con il BTP che rende almeno il doppio, si avrebbe una crisi maggiore a livello collettivo, perché il debito pubblico finirebbe per costare troppo. Il danno collettivo che si avrebbe diventerebbe anche un danno a livello individuale.

 

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