Ad aprile di quest’anno si parlava dello scontro fra il primo ministro Putin e il presidente Medvedev. Ad avviare le ostilità era la questione dei ministri che ricoprono cariche nei consigli delle grandi società energetiche. Una commistione – secondo Medvedev – non accettabile. Si poteva pensare che il primo ministro e il presidente rappresentassero dei progetti alternativi e non solo due ambizioni?

Un progetto e un potere c’era e c’è – quello di Putin, l’altro era ed è in fieri – quello di Medvedev. Passano pochi mesi e si scopre che Putin si ricandida alla presidenza (le elezioni si terranno l’anno prossimo) e che Medvedev potrebbe essere il suo primo ministro. Lo scontro di potere sembra essersi risolto a favore di Putin.

Il «putinismo» è quel sistema che fonde l’élite che viene dagli apparati di sicurezza – Putin è stato un ufficiale del KGB – con quella delle grandissime imprese dell’energia, le quali, a loro volta, controllano una buona parte del sistema mediatico. Questa fusione è il «potere forte» russo. Il putinismo, per come è strutturato – una «verticale di potere», infastidita dalle molte lungaggini del parlamentarismo, che privilegia la concentrazione delle grandissime imprese sotto l’ombrello statale – non riesce a favorire la crescita di una società civile avanzata, fatta di imprese medie e piccole e di ceti che svolgono molte attività professionali, capace di promuovere uno sviluppo indipendente dall’energia. In breve, con il putinismo si ha una «burocrazia», mentre fa fatica a sorgere una «borghesia».

L’ipotesi era che Medvedev volesse rappresentare proprio la crescita di una società civile avanzata che facesse leva sull’energia per sviluppare un’economia diversificata. Per quale motivo è davvero necessario sviluppare un’economia diversificata? Le esportazioni russe sono pressoché tutte di gas e petrolio, mentre viene importato praticamente tutto, dai cavoli alle automobili. Un sistema che può anche funzionare, se la popolazione è scarsa e i lavori manuali vengono svolti da immigrati senza diritti. Ma la Russia non è un emirato. Non può optare per il modello dell’emirato, né per quello cinese. Nel primo caso la popolazione è troppo numerosa, e, comunque, la grande ambizione lo impedisce. Nel secondo, manca un apparato industriale distribuito in molti settori, e che cresca col contributo degli investimenti esteri.

Insomma, fino a poco tempo fa l’idea era che il sistema politico russo, per guardar lontano, avrebbe dovuto inventarsi un terzo modello, che combinasse la ricchezza energetica con lo sviluppo diffuso.

Sembra che ultimamente le cose abbiano preso un andamento diverso. Putin torna presidente – ricordiamo che la Russia è una repubblica presidenziale – mentre Medvedev fa il primo ministro. Intanto, è stata ritoccata la Costituzione, e la durata in carica del presidente passa da quattro a sei anni. Non si possono esercitare più di due mandati. Sono dodici anni, se Putin vince queste elezioni e le prossime. In passato ha governato per otto anni – due mandati. E sono venti anni: 4+4+6+6. Se a questo aggiungiamo che, con Medvedev presidente, le decisioni finali le prendeva Putin, sono altri quattro anni, e dunque arriviamo a un quarto di secolo.

La verticale di potere di Putin ha governato e potrà governare per molto tempo. Negli anni a venire si avrà il duplice effetto dell’esaurimento delle riserve di materie prime e di una demografia sfavorevole. La Russia produce tanto petrolio, ma non ha grandi riserve – proprio come gli Stati Uniti. In compenso, produce tanto gas, e ne ha grandi riserve.

Il bilancio dello stato dipende dagli introiti energetici in misura significativa. Si ricevono più servizi di quante imposte si paghino, perché la differenza è bilanciata dagli introiti petroliferi. Se il prezzo del petrolio cade, o si riducono i servizi o si alzano le imposte. Ultimamente, con la caduta degli introiti petroliferi, si parla per la prima volta di alzare le imposte dei benestanti. La flat tax del 13% è messa in discussione. È un segnale. Il modello dell’emirato dove «il petrolio paga le tasse» sembra oggi meno solido. E dovrebbe diventare ancor meno solido se nel tempo le riserve energetiche andranno a ridursi.

Venendo con grande probabilità meno il modello dell’emirato, a maggior ragione la Russia dovrebbe desiderare il fiorire della borghesia. Eppure questo sembra accadere con molta fatica. La verticale di potere putiniana può decidere di includere nella compagine di governo i modernizzatori come Medvedev e gli interessi che rappresenta. Una sorta di «opposizione di sua maestà» ruminata nel governo. Alla fine, una sorta di corrente dentro il partito maggiore – Russia Unita.

Con il ritorno del putinismo, che non ha mai mostrato di avere grande considerazione della «certezza del diritto», con ciò inibendo gli investimenti esteri, che si sono visti spesso gli accordi cambiati in corso d’opera, dovremmo avere un clima economico peggiore. La Borsa russa dovrebbe perciò continuare per molti anni ancora a essere trainata, in un clima peggiore, dalle imprese energetiche, con una modesta spinta dei settori che modernizzano il paese.

L’articolo è stato pubblicato anche su Il Foglio del 27 settembre 2011