Brics. È una sigla che fa paura. Almeno a noi occidentali. Perché quando Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica si riuniscono, Europa e Stati Uniti temono di avere a che fare con dei concorrenti ben spallati. Se poi di questi Magnifici 5 si guardano le relazioni bilaterali è anche peggio. India e Sudafrica in particolare: due mondi noti soprattutto per i “sentito dire”. Forze emergenti, nuovi mercati, ma anche sacche di arretratezza.

Così, quando si vede il premier Singh a fianco del presidente Zuma, non ci si rende conto che si tratta di un amore consolidato ormai da un secolo e più. Del resto, passano sempre sotto silenzio gli interessi che gli indiani nutrono verso tutta l’Africa. Nel maggio 2011, ad Addis Abeba si è tenuto il secondo India-Africa Forum. Il primo risale al 20081. Da allora è passato un po’ di tempo. I giornali in quei giorni hanno sbrigato l’evento con una breve. Senza però rendersi conto che il dialogo non si è più arrestato.

Nella capitale etiopica, Singh ha messo sul tavolo 5 miliardi di dollari che il suo governo ha offerto a sostegno della crescita economica di tutto il continente. Il regalo è andato a sommarsi agli altri 5,4 miliardi concessi nel 2008, come linea di credito monodirezionale. Nel 2010, l’India ha importato dall’Africa un quantitativo merci del valore di 20,7 miliardi di dollari, con un export pari a 10,3 miliardi. Finora Delhi si è concentrata sullo sviluppo di telecomunicazioni, industria farmaceutica e manufatti. A questi si aggiunge la lavorazione dei diamanti di cui parleremo in un focus a parte.

Ma torniamo al Sudafrica. Sia perché è membro del Brics sia perché è lì che tutto è cominciato. È il 1893, sul treno Pietermaritzburg-Pretoria un giovane e timido avvocato indiano viene preso a pedate perché sta viaggiando in uno scompartimento di prima classe. Ceto e professione farebbero pensare allo sfortunato di averne diritto. Invece no. Per il controllore il giovane è un “negro”. Anche se indiano. Da quel momento cambia la storia. E non solo dell’India e del Sudafrica. L’incidente fa da stura alla lunga lotta anti-apartheid, che circa cinquant’anni dopo avrà come leader Nelson Mandela, il quale nel 1993 vincerà il Premio Nobel per la pace. Esattamente un secolo dopo l’incidente sul Pietermaritzburg-Pretoria. A proposito, l’avvocato della faccenda era Gandhi.

Due eroi globali aprono la lunga lista di elementi condivisi dai due Paesi. Gandhi in Sudafrica ha vissuto per circa vent’anni. Per Mandela il legame con Delhi non si è limitato a essere simbolico. La visione rivoluzionaria del mondo elaborata dai due – personaggi che oggi forse meriterebbero un ridimensionamento in chiave antieroica – nasce dalla storia comune delle loro rispettive nazioni. La colonizzazione britannica ha portato sia in Sudafrica che in India la lingua inglese, fondamentale per l’aggregazione delle società tribali. Idem per quanto riguarda la pubblica amministrazione e il sistema scolastico. Entrambi made in Uk. Nel secondo

dopoguerra, i due Paesi si sono trovati a giocare ruoli ben netti sul medesimo palcoscenico del Terzo mondo. L’India è stata la grande nazione emancipata dalla schiavitù dell’Occidente. Il Sudafrica, con la sua negletta maggioranza di colore, avrebbe voluto seguirla. La storia si sa come sia andata. Correndo, si arriva al 2010, anno in cui si è celebrato il 150esimo anniversario di nascita della prima comunità indiana nel Paese. Oggi la stessa ha raggiunto quota 1,3 milioni di residenti. Questo ha spinto i produttori cinematografici di Bollywood ad aprire alcuni studios a Capetown e Pretoria. Parallelamente sono maturati altri investimenti. E ben più pragmatici. Tata, Reliance, Mahindra & Mahindra sono marchi ben diffusi nel Paese. E da qui sono partiti per esplorare il resto del continente. Lo stesso dicasi per il mondo finanziario. State Bank of India, Icici Bank e Bank of Baroda sono tra gli istituti di credito più affermati.

Il Sudafrica serve a Delhi per soddisfare le sue ambizioni a livello internazionale. Ambizioni non solo economiche. Gli ottimisti sostengono che il Paese sia destinato non solo ad aumentare ulteriormente le proprie capacità demografiche, ma anche il relativo tenore di vita. Almeno così l’ha pensata il governo indiano qualche anno fa. E gli fa comodo conservare questa linea.

Ovvio che noi ci riserviamo il beneficio del dubbio. Nelle prossime puntate spiegheremo perché. In ogni caso l’India ha bisogno di un Lebensraum che significa nuovi mercati, ma anche nuovi spazi, dove eventualmente insediare le comunità lavorative (operai e contadini) e in qualche modo realizzare, mediante emigrazione indotta, un piano di decompressione demografica. Per questo l’America Latina, dove le relazioni con il Brasile stanno anch’esse portando buoni frutti, è un interessante approdo. Ma non basta. Primo perché è lontana. Secondo perché è già sovraffollata di comunità straniere. Il continente africano, invece, appare il contesto più adeguato. Hic sunt leones. Scrivevamo noi in mezzo alle carte dell’Africa secoli addietro. Quando ci siamo accorti che i leoni non erano poi così tanti, abbiamo dato il via alla colonizzazione. L’India lo sta facendo solo con un po’ di ritardo. (continua - 1)