Negli ultimi tempi il prezzo del petrolio è tornato al livello dei primi mesi del 2015 – circa 60 dollari al barile, ma resta comunque molto distante dal livello degli anni precedenti – circa 120 dollari al barile. Di seguito ci chiediamo come mai il prezzo sia rimbalzato, e se è possibile che salga ancora. La vera notizia non è tanto il prezzo corrente del petrolio e le vicende che lo riguardano in Medio Oriente (il dito), quanto gli Stati Uniti che possono diventare esportatori di petrolio (la luna).
Il grafico mette in relazione (la linea azzurra) il prezzo del petrolio, lo stock di petrolio come ammontare puntuale (linea blu), e la media della consistenza degli stock (retta rossa). Da metà del 2014 alla metà del 2016 la produzione è stata maggiore della domanda. Infatti, gli stock aumentano - la linea blu sale, bel oltre la media delle consistenze degli stock – la retta rossa. Dalla metà del 2016 la produzione è stata ridotta da quasi tutti i produttori di petrolio riuniti in cartello (OPEC) e dalla Russia, che è un produttore di petrolio delle stesse dimensioni dell'Arabia Saudita. Infatti, gli stock non aumentano – la linea blu è piatta. Ossia, la produzione è circa eguale alla domanda. Non si ha pressione al ribasso sul prezzo, anzi la si ha al rialzo – la linea azzurra, infatti, si inerpica, perché la domanda di petrolio sale, seguendo la ripresa dell'economia mondiale. Si noti che le riserve di petrolio estratto (lo stock appunto) non è diminuito, segno che la produzione non è ancora inferiore alla domanda.
La domanda di petrolio dovrebbe crescere con un passo inferiore a quello passato per effetto della diffusione delle auto a trazione elettrica. La domanda di petrolio sarà trainata da quella che trae origine dal settore chimico, del trasporto aereo, di quello marittimo, e dei camion. Fin qui nessuna novità.
Fin qui possiamo affermare che il prezzo si è ripreso seppur restando ben al di sotto dei massimi di qualche anno fa, così come possiamo affermare che la domanda di petrolio continuerà a crescere seppur a un passo ridotto per effetto della diffusione della trazione elettrica. Se le cose vanno così, gli stati sociali dei Paesi petroliferi dovranno contenere le spese dalle quali dipende il consenso politico. Come si vede dalla tabella del FMI, quasi tutti i Paesi petroliferi finanziano a fatica il loro stato sociale (fiscal break even oil price) con i prezzi correnti del petrolio. Quasi tutti riescono a pagare le importazioni (external break even oil price) con i prezzi correnti.
Queste considerazioni possiamo definirle come “il dito”, e dunque dobbiamo passare alla “luna”.
Gli Stati Uniti producono un ammontare di petrolio simile a quello dell'Arabia e della Russia. Consumano più petrolio di quello che producono e dunque debbono importarlo. La sicurezza delle forniture (dunque dell'estrazione e delle rotte) è una delle ragione della proiezione militare globale degli Stati Uniti. Vera la proiezione dell'ultimo grafico, gli Stati Uniti non solo diventeranno autosufficienti, ma addirittura potrebbero diventare un esportatore netto.
Fino alla rivoluzione khomeinista del 1979 l’Iran e l’Arabia Saudita erano nella stessa coalizione schierata con gli Stati Uniti. Poi l’Arabia è rimasta sotto l’ombrello statunitense, mentre l’Iran era andato allo scontro. I due contendenti sono limitrofi, le genti di osservanza sunnita e sciita vivono, infatti, intorno al Golfo Persico, dove si concentra il grosso dell’attività e del commercio petrolifero, nonché il grosso delle riserve mondiali. I sauditi, nel timore che gli Stati Uniti possano un giorno ritirarsi dal Medio-Oriente lasciando mano libera ai persiani, che sono molto più numerosi e che non sono una congerie di tribù, ma uno stato radicato su una civiltà millenaria, hanno cercato di mettere fuori mercato la produzione di petrolio statunitense estratto frantumando le rocce – lo shale oil. L’incentivo a proteggere i sauditi potrebbe, infatti, venir meno, se gli Stati Uniti raggiungessero, come sembra, l’indipendenza energetica grazie allo shale oil, e dunque se perdessero l’interesse ad avere un presenza militare massiccia nel Vicino Oriente, lasciando mano libera alle potenze regionali, ossia all’Iran.
Per approfondire nel lungo termine:
Per approfondire nel breve termine:
https://www.economist.com/blogs/economist-explains/2017/11/economist-explains-19
https://www.ft.com/content/de5c3976-d06f-11e7-b781-794ce08b24dc
https://www.ft.com/content/63bd7bb0-c8b0-11e7-aa33-c63fdc9b8c6c
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