Alla Germania conviene abbandonare l'austerità (intesa come bilanci pubblici in pareggio) e il mercantilismo (inteso come crescita trainata dalle esportazioni) non per “generosità” verso gli altri Paesi, ma per calcolo “egoistico”.

Prologo

La Germania è trainata dalle esportazioni verso il resto del Mondo, mentre i Paesi dell'Est Europa sono trainati dalle esportazioni verso la Germania. Al contrario, i Paesi del Sud sono trainati - o meglio non sono più trainati come in passato - dai consumi interni. L'austerità non crea perciò tensioni nei Paesi esportatori, che crescono, ma li può creare nei Paesi centrati sul consumo interno, come la Francia, l'Italia, e la Spagna, che crescono poco.

Anche se nell'euro zona si generasse una crescita sufficiente per evitare le tensioni maggiori, il Populismo, che rimane vivo e vegeto, potrebbe spingere verso una sorta di referendum sull'euro in stile Brexit. Se le cose andassero così, ossia con un Brexit in salsa gallica, ed italica, l'Europa rimarrebbe con due tipologie di Paesi: quelli dell'Europa settentrionale e orientale, che rimarrebbero nell'euro, e quelli del sud o mediterranei che sarebbero spinti ad adottare un nuova moneta.

Un primo modello per dar conto della crisi

Una siffatta divisione sarebbe dirompente. Non appena gli investitori iniziassero a temere una svalutazione dell'euro del sud, le attività denominate in euro del nord diventerebbero immediatamente più attraenti. I sistemi bancari dei paesi dell'euro del sud imploderebbero per la fuga di capitali. L'inondazione di capitali nell'Europa centrale farebbe aumentare il valore dell'euro del nord, danneggiandone le esportazioni.

Stabilizzatosi l'euro del sud a un tasso di cambio più basso, gli investitori dei Paesi dell'euro del sud vorranno i titoli di stato dell'euro del nord come assicurazione contro un ulteriore deprezzamento della propria moneta. Come copertura contro un'ulteriore svalutazione, gli investitori di euro del sud sarebbero disposti ad accettare dei rendimenti molto bassi sulle loro attività in euro del nord, così come oggigiorno gli investitori europei detengono attività svizzere a basso interesse e i Paesi asiatici detengono buoni del Tesoro statunitensi a basso rendimento.

I Paesi dell'euro del nord potrebbero a loro volta investire i proventi delle vendite delle loro attività “sicure” all'estero andando alla ricerca di rendimenti più elevati, ciò che avverrebbe comprando delle attività estere. Per ottenere questi maggiori rendimenti sugli investimenti esteri, i paesi dell'euro del nord correrebbero il rischio che i loro investimenti esteri possano perdere valore a causa di uno shock valutario o di altre crisi. Perciò i Paesi dell'euro del nord resisterebbero a un simile accumulo di attività esterne, lasciando la loro valuta apprezzarsi, almeno fino a quando ciò non generi un impatto significativo sulle loro esportazioni.

Un secondo modello per dar conto della crisi

La minaccia della Francia e/o dell'Italia di lasciare l'euro potrebbe spingere la Germania e i suoi alleati ad accettare una condivisione dei rischi all'interno per evitare qualsiasi uscita, ciò che avverrebbe con l'emissione di un debito comune, e/o una combinazione di svalutazioni su larga scala del debito, e/o di politiche fiscali espansive.

Ciò richiederebbe uno spostamento politico da parte dei tedeschi, che hanno puntato sull'austerità. Se però il governo tedesco non facesse nulla in questa direzione i referendum sull'euro zona diverrebbero più probabili.

Se siffatti referendum prendessero piede in Francia e/o in Italia, il risultato non avrebbe importanza, poiché il semplice annuncio di tale voto spingerebbe gli investitori a spostare i loro depositi dalle banche del paese referendario - e possibilmente da ogni altro stato periferico dell'UE - nelle banche in Germania e negli altri stati europei centrali per proteggersi dalla svalutazione. E se gli stati tentassero di arginare questo deflusso attraverso l'imposizione di controlli sui capitali, questa stessa imposizione sarebbe gravissima per l'unione monetaria.

Una tale divisione sarebbe particolarmente difficile per la Germania. In primo luogo, i rendimenti sui conti correnti tedeschi si ridurrebbero drasticamente in quanto le sue banche avrebbero abbassato i tassi di interesse al fine di scoraggiare un'ulteriore arrivo di capitali. Intanto che con dei rendimenti dei titoli di stato nulli, si metterebbe in seria difficoltà l'industria finanziaria.

L'egemonismo riluttante

La Germania si troverebbe quindi di fronte a una scelta insidiosa: il cosiddetto dilemma dell'egemonismo riluttante. Potrebbe imparare a far fronte a una valuta sopravvalutata emettendo in gran quantità del nuovo debito sovrano (via deficit di bilancio) per assorbire la domanda estera delle sue attività. Attualmente vi è una carenza di debito sovrano tedesco, sia perché il paese ha un bilancio dello stato in leggero surplus sia perché la BCE sta acquistando una buona parte parte del debito pubblico tedesco disponibile nel suo programma di allentamento quantitativo. Infine, a complicare il quadro, se gli investitori iniziassero a fuggire dalle obbligazioni statunitensi, perché il taglio delle imposte voluto da Trump accresce il debito pubblico, le pressioni sulla Germania diventerebbero globali.

Per impedire che la sua valuta salga a livelli pericolosi, la Germania dovrebbe consentire al suo bilancio esterno (le attività che acquista all'estero con i proventi derivanti dalla vendita all'estero delle sue nuove obbligazioni) di esplodere. La Germania sperimenterebbe una combinazione di un apprezzamento valutario considerevole e un aumento della sua esposizione al rischio esterno. Come paese con già un grande surplus di attività esterne rispetto alle passività, la Germania ha già un'esposizione significativa al rischio estero, che non farebbe che aumentare in questo scenario.

Conclusioni

Insomma, alla Germania conviene abbandonare l'austerità (intesa come bilanci pubblici sempre o quasi in pareggio) e il mercantilismo (inteso come crescita trainata dalle esportazioni) non per “generosità” verso gli altri Paesi, ma come calcolo per non “finire in un angolo”. La Germania per evitare il peggio dovrebbe cercare di avere dei bilanci pubblici in disavanzo volti ad emettere in quantità obbligazioni allo scopo di evitare un eccesso di rendimenti bassi o negativi dovuti all'esplosione della domanda estera di attività sicure a fronte di un'offerta limitata.

Il bivio per la Germania è allora restare come è, ossia diventare una sorta di Svizzera – un Paese esportatore (netto) con una valuta fortissima ma privo di afflato estero - oppure provare a diventare una sorta di Stati Uniti – un paese importatore (netto) dotato di afflato estero.

Approfondimenti e fonti

– Sulla Grosse Koalition che potrebbe cambiare l'approccio della Germania:

Possibilista https://www.ft.com/content/a6e39acc-f796-11e7-88f7-5465a6ce1a00

Scettico https://www.economist.com/blogs/kaffeeklatsch/2018/01/red-and-black

– Sulla crisi che può prodursi in Europa – che è l'oggetto della nota:

https://www.foreignaffairs.com/articles/europe/2018-01-11/how-eurozone-might-split?cid=int-lea&pgtype=hpg

Da notare che Foreign Affairs giunge alla conclusione opposta: la Germania non cambierà politica e questo favorirà gli Stati Uniti, nonostante Trump.