Il Financial Services Authority inglese (FSA, l’organismo che vigila sui servizi finanziari) ha pubblicato un resoconto di 452 pagine (www.fsa.gov.uk/rbs) sulla vicenda della acquisizione della banca olandese ABN Amro da parte di Royal Bank of Scotland (RBS) (avvenuta nell’autunno del 2007 per un importo pari a € 71 mld, la maggiore acquisizione di tutti i tempi) e che è stata tra le concause principali del fallimento avvenuto un anno dopo. Il giudizio è particolarmente pesante verso tutti i partecipanti a quella vicenda, dall’ex cancelliere Gordon Brown ai revisori della Deloitte passando per l’amministratore delegato Goodwin, il consiglio di amministrazione e la stessa FSA.

La vicenda è talmente aggrovigliata da rendere difficile una sua sintesi sufficientemente fluida ma proviamo a fare pochi passaggi prima di arrivare a qualche conclusione. Gli € 71 mld furono divisi così: 23 RBS, 24 Fortis, 15 Santander, 9 Monte dei Paschi di Siena (tramite l’acquisizione di Antonveneta che era controllata da ABN Amro). Il 7 ottobre 2008, un anno dopo l’acquisizione, RBS fallisce e viene salvata dai contribuenti inglesi che diventano i primi azionisti con oltre l’80% del capitale. Se l’importo totale dell’operazione è mastodontico, l’onere effettivo sostenuto da RBS è un terzo, peraltro parzialmente sostenuto da un aumento di capitale di € 15 mld effettuato nel maggio 2008; quindi le cause del fallimento sono da ricercare altrove.

L’arcano è ABN Amro la quale rappresenta la Lehman Brothers europea, fallita nella pancia di RBS anziché nelle tasche dei contribuenti olandesi. Per intendersi, se RBS aveva già di suo € 19 mld di titoli supertossici (ABCP, carta commerciale “garantita” da attivi legati ai mutui americani insolventi (*)), ABN Amro ne portò in dote l’incredibile cifra di € 60 mld! (pag. 339 del rapporto), interamente finanziati da debito bancario a breve termine. Quando, dopo il fallimento di Lehman Brothers avvenuto il 15 settembre 2008, si disse che l’Europa non avesse sperimentato lo stesso fenomeno la cosa apparve poco credibile a chi aveva seguito le vicende di questa storia.

Questo nonostante i parametri fissati dalla Banca dei Regolamenti Internazionale (c.d. Basilea II) per stabilire la liquidità e solvibilità di RBS fossero perfettamente rispettati. Oggi la FSA ci dice che con i nuovi parametri in corso di approvazione (Basilea III) l’operazione non solo non sarebbe stata approvata ma avrebbe comportato l’eliminazione della distribuzione dei dividendi a partire dal 2005, segno della fragilità di partenza di RBS. Partiamo proprio da questa data per vedere se è possibile cogliere a posteriori qualche elemento di criticità attraverso strumenti che provino a colmare i vuoti generati dall’asimmetria informativa.

Il confronto tra RBS e Dexia in termini di c.d. Leva (rapporto tra Totale Attivo Tangibile e Patrimonio Netto Tangibile dove il termine tangibile indica l’eliminazione dei valori immateriali iscritti in bilancio come l’avviamento e i marchi) permette di avere una fotografia della realtà sufficientemente esplicita in termini di fragilità dei soggetti bancari. Possiamo affermare, almeno da un punto di vista storico, che se questo valore è sopra 100 una banca è certamente fallita, come nel caso di RBS e Dexia. Proseguiamo e vediamo i valori di altri due partecipanti all’operazione ABN Amro, Santander e Monte dei Paschi di Siena (Fortis fallì poco prima di RBS e venne nazionalizzata dallo Stato olandese).

Il picco del 2008 è stato assorbito con gli aumenti di capitale, i valori sono bassi e ci dicono che queste due banche hanno una leva equilibrata grazie alla scarsa presenza dei citati titoli supertossici nelle attività acquisite da queste due banche. Aggiungiamo altre due banche, Deutsche Bank e Unicredit che nello stesso periodo hanno effettuato acquisizioni, per vedere come hanno assorbito la crescita per linee esterne. La situazione di illiquidità sull’interbancario dell’area euro associata a valori elevati della leva (nel caso di Deutsche Bank) rappresenta un elemento di criticità che dovrebbe essere affrontato anche alla luce di quanto già sperimentato. Viceversa, Unicredit ha valori di leva assolutamente contenuti.

La valutazione delle agenzie di rating di RBS è illustrata a pagina 208 del rapporto: Moody’s alzò il rating da AA ad AA+ per poi ridurlo nuovamente ad AA così come Standard&Poors mantenne la doppia A riducendola solo in prossimità del 7 ottobre 2008, giorno in cui l’ELA (Emergency Liquidity Assistance, ente inglese che garantisce le banche insolventi) estese la sua garanzia a RBS ratificando il fallimento. Dalla data dell’acquisizione al fallimento RBS poté emettere oltre € 10 mld di obbligazioni a tassi favoriti dall’atteggiamento consenziente delle agenzie poco disposte ad evidenziare la criticità della situazione.

Quello che a noi preme sottolineare è che questa vicenda conferma che l’origine della crisi del debito pubblico che i paesi industrializzati stanno attraversando risiede nel percorso di salvataggio dei sistemi bancari coinvolti nella emissione e sottoscrizione di titoli tossici (dal lato dell’offerta) e spinti dalla richiesta di maggiori rendimenti da parte della clientela istituzionale (dal lato della domanda). Per essere ancora più espliciti, se ABN Amro fosse fallita come entità olandese e non britannica l’impatto sul rapporto debito/PIL dell’Olanda sarebbe misurabile in almeno 5 punti percentuali; quindi, sarebbe al 70% e non al 65%, con evidenti effetti sul costo del debito.

La nazionalizzazione americana ed inglese del sistema finanziario ha avuto l’indubbio vantaggio di spostare il problema dalla intermediazione alla fiscalità, permettendo alla prima di riattivarsi e svolgere, con regole anche diverse, la funzione cruciale di punto di incontro tra risparmio ed investimento, tra famiglie ed imprese. Oggi questa funzione all’interno dell’area euro è completamente inceppata e il maggiore debito pubblico italiano è investito dal fenomeno della crescita degli altri debiti. Ciò ci obbliga, senza alibi e non avendolo fatto prima con livelli di tassi migliori, ad affrontare gli aspetti più deboli nella nostra struttura economica, produttività in testa. Ma diventa difficile per l’intera zona euro affrontare il tema del debito senza avere completamente ripristinato la funzionalità del processo di intermediazione finanziaria.

Ricordiamo che i titoli tossici sono ancora presenti nel sistema delle banche euro per circa € 250 mld. Questi hanno causato il fallimento di RBS e di quasi tutte le altre banche che li detenevano, americane ed europee. Se fiscalizzati avrebbero un impatto sul rapporto debito/PIL dell’area euro pari al 3%. Toglierli dal sistema sembra essere un passaggio indispensabile per stimolare la crescita, elemento determinante per il rientro dei debiti. Senza aspettare i regolatori, sarebbe opportuno che le banche che ancora hanno una leva troppo elevata venissero svuotate delle loro zavorre a vantaggio della funzionalità di tutti i sistemi bancari.

(*) per l’ammontare degli ABCP detenuti dalla banche europee e l’impatto sulla crisi finanziaria: “Global Banking Glut and Loan Risk Premium”, Hyun Song Shin, Princeton University, November 7, 2011, già citato in ”La crisi europea negli Usa”, Lettera Economica, Commenti, 26/11/2011. In particolare, pag. 22 per l’ammontare e la distribuzione degli ABCP e a pag. 21 per l’importo del finanziamento dei fondi monetari americani in dollari delle banche europee. Vedi anche “Il debito in dollari delle banche europee”, Lettera Economica, Ricerche, 2/12/2011.