La differenza fra le spese e entrate di uno stato prima del pagamento degli interessi è il saldo primario. Se questo è negativo – ossia in deficit – si emette del debito pubblico per coprire la differenza. Se poi vi è del debito pregresso si debbono pagare gli interessi su quest'ultimo. Quindi in caso di deficit primario si emette del nuovo debito prima di pagare gli interessi sul debito emesso. In caso di surplus avviene il contrario. L'avanzo di bilancio paga una quota degli interessi sul debito emesso.
La prima regola che viene in mente diventa: tanto maggiore è il debito emesso, tanto maggiore deve essere l'avanzo primario. Se ho un debito con la banca, allora spendo meno di quanto guadagno per pagare quanto meno gli interessi. Nel caso del bilancio pubblico in sede di pagamento degli interessi e delle quote di ammortamento del capitale le cose sono diverse, perché lo stato, a differenza di un privato, può alzare - con gesto sovrano - le imposte subito e quindi il suo reddito, oppure emettere delle obbligazioni che sono delle imposte differite.
Abbiamo così il bilancio pubblico “statico”: 1) le entrate e le uscite che danno luogo al saldo primario, 2) l'onere del debito, ossia quanto lo stato paga di interessi sul debito emesso, 3) il debito che va in scadenza ogni anno, 4) lo “spazio fiscale”, ossia se uno stato ricava “troppe” imposte, oppure no. Se ne ricava “poche”, allora può facilmente alzarle in caso di bisogno.
Il bilancio italiano 1) ha un surplus primario elevato, 2) un onere del debito decrescente, nonostante un maggior volume del debito, perché la politica della banca centrale europea ha schiacciato la curva dei rendimenti, 3) ha un debito che va in scadenza per un quinto ogni anno, 4) ha uno spazio fiscale limitato. Gli altri paesi dell'euro-zona hanno 1) un surplus primario minore, se non negativo, 2) un onere del debito decrescente, che è inferiore a quello italiano perché il debito di partenza è minore, 3) un debito che va in scadenza in tempi più lunghi di quelli italiani, 4) un spazio fiscale simile.
L'Italia è meglio messa nel punto 1), è peggio messa nei punti 2), 3), è messa allo stesso modo nel punto 4). Se assumiamo che si possa fare poco – in Italia e negli altri paesi dell'euro-zona - nei punti 1), 3), 4), allora è cruciale il punto 2). Se il costo del debito risalisse, perché la politica monetaria diventa restrittiva, ecco che le cose peggiorerebbero velocemente. Si ha questa vulnerabilità, che per ora è remota, ma che pur sempre aleggia.
Se passiamo al bilancio “dinamico”, le cose cambiano. Proiettando la spesa per pensioni e per la sanità ci si accorge dell'effetto demografico – ossia dell'invecchiamento della popolazione. E qui quasi tutti i paesi dell'euro-zona sono messi peggio dell'Italia. Il valore attuale delle loro spese in questi ambiti è, infatti, di molto maggiore, mentre il valore attuale dei loro surplus primario è minore.
Si prende un certo arco temporale e si misura la spesa pensionistica e sanitaria. La si attualizza con un rendimento normale. Si ottiene un certo valore del debito pubblico futuro – che è il debito pubblico “implicito”, che differisce da quello “esplicito”, che è lo stock in essere. Insomma, si sommano i due debiti – l'implicito e l'esplicito – e si arriva al debito su PIL “completo”. E qui quasi tutti i paesi sono messi molto peggio dell'Italia. La prima tabella mostra questi conti. Come controprova dei calcoli del primo grafico, si hanno i numeri della Banca dei Regolamenti Internazionali, che porta a risultati simili. La seconda tabella mostra il punto.
Sono ragionamenti veri ma molto distanti dall'azione concreta, e quindi i mercati finanziari preferiscono concentrarsi sul debito pubblico che abbiamo definito esplicito. Alcuni economisti, invece, sommano i debiti espliciti ed impliciti, e si chiedono come si possa evitare una crisi che si potrebbe avere se non si fa nulla. I politici dei paesi che debbono fare le riforme più incisive nel campo delle pensioni e della sanità preferiscono non partire dai conti critici futuri, e mostrare la bontà di quelli correnti.
Ognuno dei tre attori ha dalla sua delle buone ragioni. I mercati: il ragionamento appena esposto portato alle sue estreme conseguenze non ammetterebbe uno spread italiano maggiore di quello di molti paesi, anzi; ciò che andrebbe contro il “senso comune”. Gli economisti: questi ragionamenti sono spostati in avanti nel tempo e assumono che non si faccia nulla (sono proiezioni a legislazione vigente), e quindi possono passare per noiose “cassandre”. I politici: le riforme si fanno quando si ha il consenso, ed il consenso lo si ottiene non in astratto, ma di fronte ad una crisi concreta.
Da un punto di vista mediatico e non solo scientifico, sarebbe però un bene sapere queste cose. Questi studi sui debiti espliciti ed impliciti sono stati condotti, infatti, dal Stiftung Marktwirtschaft, un think tank tedesco di ispirazione “liberista”, che è la fonte della prima tabella. Il loro scopo non è quello di mostrare che l'Italia è una “formica”, mentre la Germania è una “cicala”, ma quello di spingere alle riforme in Germania prima che sia troppo tardi (1). E non solo i soli, anche la Banca dei Regolamenti Internazionali va in questa direzione (2). La seconda tabella è, infatti, tratta da una loro pubblicazione.
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http://www.dinobertocco.it/debito-la-pagella-tedesca-che-promuove-litalia/; http://www.eunews.it/2016/06/10/il-debito-pubblico-italiano-fardello-insostenibile-o-esempio-di-virtu/61068
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