Sono passati settant’anni da quando in Italia è nata l’Uncem, l’unione dei comuni montani e venti da quando l'Onu ha scelto l'11 dicembre come giornata mondiale della montagna. Oggi come ieri almeno qui la priorità resta la lotta allo spopolamento delle terre alte. Che continua, ma con altri numeri rispetto al dopoguerra. E soprattutto con qualche storia di rinascita: gente che torna alla montagna, all’idea di una vita diversa.
Ma la battaglia non è vinta e Marco Bussone, classe 1985, torinese, presidente dell’Unione dal 2018, prende a prestito una frase di Carlo Petrini, fondatore di Slow Food per indicare la strada da seguire:«Si parla sempre più di sostenibilità nel turismo, ma la prima lezione da ricordare – a partire dalle istituzioni – è che non si può pensare solo ai turisti: in primis, bisogna fare attenzione agli abitanti di un territorio. Se non vivono bene perché non ci sono più le botteghe, perché gli anziani non hanno le osterie in cui ritrovarsi, perché sono spariti i luoghi di aggregazione, l’attrattività turistica non può funzionare a lungo».
L'aut aut di Carlo Petrini
Dunque bisogna investire sulla felicità di chi vive in montagna. Sempre, non solo nel weekend. E la parola chiave è servizi. Cioè: scuole, trasporti, sanità. Cose scontate per chi vive in città, spesso un miraggio per chi vive tra le Alpi e gli Appennini. Fatta eccezione forse per il Trentino Alto Adige, l’area che più si avvicina ai modelli alpini di Austria e Svizzera. «Non c’è differenza tra le valli del Cuneese e le Madonie o l’alta Irpinia – spiega Bussone -. Bisogna guardare a chi vive nel territorio ogni giorno dell’anno e chiedersi di che cosa ha bisogno. Ecco perché dico che prima del turismo, risorsa fondamentale per la montagna, dobbiamo partire dai servizi. Se ci sono asili, scuole, trasporti allora sarà più facile che la gente resti o torni come è accaduto negli ultimi anni soprattutto durante il lockdown. Ma evitiamo che le storie di giovani famiglie che hanno scelto di tornare in montagna durino una stagione».
Un’economia quella alpina che vale il 16,3 per cento del Pil nazionale. Ogni anno gli oltre 2400 comuni montani generano 250 miliardi di euro. Il valore aggiunto pro capite è di 21600 euro (sia pure con differenze sensibili tra le diverse aree) rispetto 23800 euro della media nazionale. Un’economia che ha bisogno di attenzione e cure per rilanciarsi. Bussone confida sui sindaci. Sono loro che possono fare la differenza. Andando oltre le battaglie di campanile d’antan. Alleandosi, dando vita a sistemi di valle, si può garantire tutti i servizi primari – dall’asilo all’ambulatorio, dalla banca alla farmacia – in un quarto d’ora d’auto. «Abbiamo paesi che distano 90 chilometri dal primo ospedale. In Piemonte come nella Sila. In questi casi bisogna garantire un infrastruttura come l’eliporto che assicuri il soccorso anche di notte. Solo così la montagna può tornare attraente non soltanto per il riposo del guerriero nei fine settimana». E tra i servizi il presidente dell’Uncem mette anche la banda ultralarga. Anche in montagna si deve poter usare Internet, rispondere allo smartphone, vedere una partita di calcio. «E invece non accade ancora. Non dappertutto – spiega Bussone -. Certo poi ci sono eccezioni: in alcune valli lombarde la situazione è decisamente migliore. Ma resto molto da fare e il rischio che alla fine le famiglie, soprattutto quelle più giovani, scelgano di trasferirsi nel fondovalle esiste sempre. Eppure oggi la tecnologia offre tante opportunità. Penso anche ai trasporti. Spesso vediamo ancora girare per le valli pullman spesso vuoti quando invece basterebbe organizzare un sistema di trasporti a chiamata, favorire il car poling. Insomma una sorta di Uber della montagna».
Gli occhi dei fondi green internazionali
E poi c’è la partita delle risorse che la montagna ha e non sfrutta al meglio. A cominciare dai boschi. Spesso abbandonati. Tanto che ora ci hanno messo sopra gli occhi i grandi fondi di investimento green internazionali pronti a usare meglio quel che l’Italia lascia andare in malora. Basti pensare a quel che è accaduto in Cadore con la tempesta Vaia che ha abbattuto centinaia di migliaia di alberi. Alla fine quegli alberi se li sono comprati società straniere – cinesi in testa – che poi li hanno trasformati in materiale di produzione rientrato di nuovo in Italia. A costo triplicato. D’altronde, altro prezzo pagato allo spopolamento, in molte valli non ci sono più le segherie.
Dagli alberi all’acqua. L’altra risorsa delle montagne che garantisce con gli impianti idroelettrici una buona fetta dell’energia elettrica prodotta dall’Italia. Quasi il 40 per cento. Peraltro pulita. «Ora che un buon numero di concessioni vanno a scadenza sarebbe l’occasione giusta per ridiscutere le compensazioni per la montagna – dice Bussone -. Magari offrendo una prelazione a chi le gestisce già come ha fatto la Francia ma in cambio di qualcosa di concreto per il territorio. Per esempio garantire la decarbonizzazione di un’intera valle. Come? La società in cambio della concessione assicura una sorta di superbonus per tutti gli edifici pubblici e no della valle dove cattura l’acqua».
A14, un esempio da replicare
Qualcosa di simile d’altronde c’è già stato nelle Marche. La società concessionaria dell’A14 in cambio del via libera alla terza corsia tra Ancona e Pesaro ha accettato di garantire la manutenzione delle foreste della zona, contribuendo così a ridurre l’impatto della Co2 che genera il traffico. «Un accordo che si potrebbe replicare in altri parti d’Italia – aggiunge Bessone -. Penso alla Valsusa dove si è manifestato molto contro il supertreno ma l’autostrada da anni la attraversa fino al valico del Frejus senza che la concessionaria versi un cent per l’inquinamento ambientale».
All’Uncem poi chiedono più attenzione da parte dell’Europa. Da Bruxelles si fa ancora troppo poco per la montagna soprattutto se paragonato con quanto ogni anno la Ue destina all’agricoltura con i Pac, piani che assorbono il 39 per cento del bilancio comunitario. Ma Bussone chiede di più anche ai sindaci delle grandi città, a cominciare da Stefano Lorusso, sindaco di Torino e numero dell’area metropolitana che comprende una grande fetta di montagna e Giuseppe Sala, primo cittadino di Milano. «Dico loro che non possono dimenticarsi di quanto hanno attorno. Basta guardare alla montagna come una riserva indiana».
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