Il senso di Bankitalia per la neve. È racchiuso in un “Occasional paper” scritto da Giorgia Mariani e Diego Scalise. La prima è economista della divisione analisi e ricerca economica territoriale. Il secondo è senior economist e, a giudicare dalla foto che ha scelto per Linkedin, anche un appassionato di montagna. Gli inverni senza neve sulle Alpi aprono a una nuova prospettiva: fare dell’estate la stagione motore dell’economia montana.

«Il turismo estivo nelle Alpi è spesso considerato un potenziale “vincitore” del cambiamento climatico globale poiché il Mediterraneo diventerà troppo caldo e perderà la sua attrattività». E l’ipotesi è interessante anche dal punto di vista economico tanto che i due ricercatori l’hanno già messo in agenda: sarà il tema del prossimo paper. Pur senza nascondersi gli effetti che già ora l’aumento della temperatura stanno avendo nella bella stagione anche sulle Alpi: ritiro dei ghiacciai, scioglimento del permafrost, cambiamenti nell’idrologia, nella flora e nella fauna. E ancora: «L’aumento dei processi geomorfici avranno tutti un impatto sul turismo ai vari livelli e si ritiene che siano ampiamente negativi».

Due miliardi dalle settimane bianche degli stranieri

Sul fronte della montagna senza neve secondo Bankitalia «nei prossimi anni gli impatti del cambiamento climatico su skipass e pernottamenti potrebbero essere significativi, soprattutto alle quote più basse. E la fornitura di neve artificiale ha solo un debole effetto sui flussi turistici invernali». C'è di più:«la regione alpina sarà tre volte più colpita dal riscaldamento globale rispetto alla media dell'emisfero settentrionale». In altre parole: serve «un approccio più completo alle strategie di adattamento» dell’industria del turismo invernale,«uno dei settori economici più sensibili alle condizioni meteorologiche».

Non si tratta di un’impresa da poco considerato che «gli sport invernali sono una delle caratteristiche turistiche più attraenti e dipendono fortemente dall’affidabilità della neve». Eppure sarà importante trovarle considerato che il settore fornisce un contributo significativo all’economia delle aree alpine ed è uno dei pilastri del turismo italiano: il 13 per cento dei pernottamenti annui nel 2019 sono avvenuti in montagna e la spesa dei turisti stranieri per le settimane bianche sempre nel 2019 è stata di quasi due miliardi di euro.

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Mariani e Scalise hanno assemblato un set di dati che mette a confronto le condizioni meteorologiche e i flussi turistici in un campione di località sciistiche italiane negli ultimi 20 anni, dal 2001 al 2019. Concentrandosi su Valle d’Aosta e Trentino Alto Adige che rappresentano oltre i due terzi dei pernottamenti del turismo montano nazionale. Si sono recuperati i dati anche sull’energia spesa per produrre neve, per capire«se l’innevamento artificiale può svolgere un ruolo efficace nel sostituire la neve naturale».

Ed ecco quel che è emerso: «Nel periodo analizzato si è registrato un diffuso aumento della temperatura, che nella maggior parte dei casi è stato accompagnato da una diminuzione dei metri di neve caduta. Le località del Trentino Alto Adige sono state più colpite rispetto a quelle della Valle d’Aosta sia per la minore altitudine, sia perché questa parte delle Alpi ha subito più intensamente gli effetti del cambiamento climatico».

La vendita di skipass potrebbe ridursi del 7%

Meno neve, meno skipass. Dal confronto tra una serie di logaritmi emerge in media che a un metro in meno di neve nella stagione corrisponde  una diminuzione dell’1,3 per cento degli skipass. Ed è un fenomeno destinato ad allargarsi perché i modelli climatici regionali prevedono da qui alla fine del secolo che la diminuzione media delle nevicate tra settembre e maggio andrà dal 30 al 45 per cento, toccando punte oltre l’80 per cento nelle aree a bassa quota delle Prealpi.«Secondo i nostri coefficienti, una diminuzione del 40 per cento delle precipitazioni nevose (la stima centrale proiettata per le Alpi europee) porterebbe, a parità di altri condizioni, a una riduzione di quasi il 7 per cento degli skipass». Con rischio chiusura anche per le stazioni che si trovano sotto una certa quota. D’altronde è assai probabile che «la linea di affidabilità della neve si sposti più alto, rendendo in molti casi il funzionamento degli impianti di risalita impraticabile o non economica».

Non ci salverà l’innevamento artificiale. Un altro calcolo di Mariani e Scalise svela che gli effetti«dell’innevamento programmato sul numero di visitatori sono solo marginali». Per questo, aggiungono i due ricercatori, «appare fondamentale un’attenta analisi costi-benefici sugli investimenti di impianti di innevamento artificiale, anche alla luce dell’aumento dei costi operativi indotto dal rialzo delle temperature e dai prezzi dell’energia». E anche l’Ocse, in passato, ha battuto su questo punto: «Sebbene la neve artificiale possa ridurre le perdite finanziarie dovute a casi occasionali di inverni carenti di neve, non può proteggere dalle tendenze sistemiche a lungo termine, verso inverni più miti».

Diversificare è la parola del futuro

Alternative? Diversificare è la ricetta di Bankitalia.«Considerando le potenzialità di un più ampio ventaglio di servizi per sostenere i flussi turistici, si potrebbe investire per ridurre la dipendenza dell’economia montana dalle condizioni della neve – scrivono i due ricercatori di Banca d’Italia -: ad esempio aumentando l’impegno nel turismo tutto l’anno, stimolando e promuovendo il turismo estivo, ma anche attività e intrattenimenti indipendenti dal clima invernale: come gare di trail running invernali, congressi, eventi educativi e sanitari».

Senza dimenticare la cultura. Musei o altre attrazioni culturali possono essere valide alternative agli sport invernali nel caso di stagioni scarse di neve.