«Qualora l’impresa abbia erroneamente usufruito dell’agevolazione, considerando agevolabili investimenti non qualificabili (in base ai requisiti richiesti dal cosiddetto “Manuale di Frascati” dell’Ocse, quindi novità, creatività, trasferibilità, riproducibilità, sistematicità, incertezza tecnico-scientifica e finanziaria) come attività di ricerca e sviluppo, potrà regolarizzare la sua posizione e senza applicazione di sanzioni ed interessi».
Sono migliaia gli imprenditori che stanno leggendo in questi giorni la lettera che l’Agenzia delle Entrate scrive ai contribuenti che hanno beneficiato del credito d’imposta per attività di Ricerca e Sviluppo (R&S), di cui all’articolo 3 del Dl n. 145 del 23 dicembre 2013. Di fatto si tratta di una sorta di avvertimento a riflettere bene sul fatto che solo aderendo alla regolarizzazione si può, probabilmente, evitare attività accertative. «In realtà l’Agenzia delle Entrate ha da tempo avviato accertamenti in materia e – spiega Umberto Bocchino, professore Ordinario di Economia Aziendale e Bilancio delle Assicurazioni all’Università di Torino – quasi sempre contestando la bontà delle spese di ricerca e sviluppo meritevoli di tale considerazione e quindi motivo di generazione del credito di imposta. Una attività accertativa che, ad oggi, risulta effettuata da preparati funzionari in materia fiscale, ma che non posseggono di certo le competenze tecnico-scientifiche che occorrono per valutare la qualificazione di un progetto di R&S: non parliamo ovviamente di chi ha avviato progetti probabilmente non esistenti, nel cui caso non servono le competenze tecniche necessarie. Progetti che sono totalmente diversi da impresa a impresa, con una natura e contestualizzazione che è del tutto lontana dalla tradizionale standardizzazione con cui le norme fiscali sono emanate e scritte, proprio nel tentativo di uniformarne l’applicazione».
La dottrina economico-aziendale italiana fornisce una definizione non ambigua, su cosa si debba considerare Ricerca e Sviluppo: è tale qualsivoglia attività d’impresa rivolta a produrre risultati in termini di nuove conoscenze, ossia generare innovazione, che si può tradurre in innovazione di processo o di prodotto. L’innovazione nei processi può portare ad un salto di tecnologie diverse da quelle dei processi già in funzionamento, oppure a processi produttivi che non comportano un salto tecnologico ma bensì conducono a processi adattati e o migliorati rispetto ai precedenti. Quando l’innovazione concerne il prodotto/servizio può riferirsi a nuovi prodotti o servizi che richiedono conoscenze diverse da quelle dei precedenti, oppure a nuove configurazioni che comportano adattamenti e miglioramenti per consentire un nuovo utilizzo; nascono così i prodotti di prima, seconda, terza generazione e così via.
Che cosa prevede il manuale Frascati
Da parte loro, i requisiti del Manuale di Frascati prevedono che una conoscenza per avere rilevanza ai fini della corretta fruibilità del credito di imposta deve: condurre a nuove scoperte, oppure creare nuovi concetti o idee che migliorino le conoscenze già esistenti, nel contesto di una sostanziale incertezza nell’esito finale (requisito della incertezza) in quanto per sua natura la R&S è incerta nei risultati, ma anche nei costi e nei tempi di concreta realizzazione: questo è uno dei motivi per cui di norma sono solo le grandi imprese che si cimentano con la ricerca e sviluppo, in quanto gli investimenti sostenuti non presentano la certezza di tradursi in un futuro ricavo.
Ed è proprio per tale motivazione che il legislatore ha promosso il credito di imposta per le spese di R&S, cioè per promuove una maggiore diffusione della spinta alla R&S per migliorare il sistema economico del Paese. Inoltre la ricerca deve essere fatta in modo pianificato e preventivo, ossia effettuata con un approccio organizzato, quindi con un piano di sviluppo, col ricorso anche a specialisti esterni all’impresa, coinvolgendo in maniera in qualche modo tracciata i fattori produttivi interni ed esterni all’impresa e la ricerca medesima deve condurre a risultati che possano essere riprodotti e cioè il progetto di R&S deve permettere di trasferire le nuove conoscenze, garantirne l’utilizzo e permettere ad altri ricercatori di riprodurne i risultati.
Come ottenere la certificazione
L’articolo 23, comma 2 del Dl n. 73, precisa che le imprese - per favorire una certezza operativa ai fini della determinazione di quanto indicato nei tre citati commi della legge 160/2019 - possono richiedere a un esperto una certificazione che attesti la qualificazione degli investimenti effettuati o da effettuare, ai fini della loro classificazione nell’ambito della R&S, come innovazione tecnologica e di design e innovazione estetica ammissibili al beneficio del credito di imposta. La certificazione in oggetto può però essere richiesta a condizione che le violazioni relative all’utilizzo del credito di imposta non siano già state constatate e comunque non siano iniziati accessi, ispezioni, verifiche o altre attività amministrative di accertamento delle quali l’autore o i soggetti solidalmente obbligati, abbiano avuto formale conoscenza.
I suggerimenti
«Io consiglio a tutti coloro che vogliono mettersi al riparo in caso di verifica – spiega Giorgio Gavelli, commercialista dello studio Gavelli, Zavatta Sirri – di farsi rilasciare un parere da un consulente di valore. E se la valutazione fosse negativa conviene restituire i fondi, e c’è tempo fino al 31 ottobre 2023, piuttosto che mettersi a combattere a suon di carte legali con il Fisco. Del resto, valutare l’innovatività del progetto di ricerca e sviluppo non è cosa facile e anche i giudici mostrano prudenza sul tema tanto che, come ribadito dalla Commissione tributaria provinciale di La Spezia (decisione 276/01/2022), si fa sempre più largo la tesi che l’Agenzia delle Entrate debba richiedere un parere al ministero dello Sviluppo economico sulla reale innovatività del progetto visto l’elevato tecnicismo della questione».
Sarebbe opportuno che in fase di verifica l’Agenzia delle entrate basasse la sua attività su «requisiti di concretezza, sartorialità e pertinenza alla tipologia di impresa e non prevalgano, invece, profili di astrattezza nel tentativo di legare il giudizio dei verificatori proprio a quei concetti più labili e soggettivi della norma, e comunque che fosse concesso anche alle imprese verso le quali siano state avviate attività da parte della Agenzia delle Entrate di rifarsi al parere dell’esperto, giust’appunto per equità di competenza tecnico-scientifica, rispetto a quella effettiva dei funzionari in materia fiscale e così trattare tutti i contribuenti allo stesso modo», conclude Umberto Bocchino.
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