Per l’economia e le imprese, il bilancio del primo anno di pandemia (il 2020 è stato quello più intenso e misurato) è un bollettino di guerra: dal primo lockdown alla seconda ondata, dodici mesi di convivenza forzata con il virus sono costati all’Italia una riduzione di 183 miliardi di euro del Pil e di 137 miliardi per i consumi, di cui 36 da addebitare all’assenza di turisti; abbastanza da riportare la spesa tra 2020 e 2021 ai livelli del 1997, un passo indietro di 24 anni, come ha stimato Confesercenti. Considerando solo i servizi di mercato, durante l’anno di pandemia circa 2,6 milioni di imprese sono state sottoposte a limitazioni, per periodi differenti per regioni e comparto di attività: si va da un minimo di 69 giorni di chiusura completa ad un massimo di 154 giorni per i pubblici esercizi nella Provincia autonoma di Bolzano. In media, i bar, ristoranti e altri locali sono rimasti chiusi completamente per 119 giorni.

Quanto è sparito dalle tasche

Di fatto, la pandemia da Covid-19 è costata all’italiano medio 5.420 euro a testa, di cui 2.371 euro di minore Pil pro capite e i restanti 3.049 euro di maggior debito pubblico. Gli italiani con la pandemia ci hanno rimesso 513 euro a testa, i francesi 120 euro mentre i tedeschi ci hanno guadagnato, ovviamente grazie all’intervento pubblico, 1.841 euro sempre a testa.

Il dato (relativo al 2020) emerge dal recente studio “Il debito pubblico italiano e il Covid-19” realizzato dal Consiglio e dalla Fondazione Nazionale dei Commercialisti che ha misurato l’impatto dell’emergenza sull’economia italiana mettendola a confronto con quella dei paesi del G20. Nell’analisi condotta a partire dai più recenti dati del Fondo Monetario Internazionale, emerge come il crollo del Pil reale per l’Italia nel 2020, stimato per l’anno appena concluso al -9,2%, (-8,9% secondo gli ultimi dati Istat) sia il peggiore calo dopo l’Argentina (-10,4%) e il Regno Unito (-10%) mentre, a causa di un rimbalzo troppo corto nel 2021, l’Italia presenterebbe il calo del Pil maggiore nel biennio 2020-2021 (-6,5%).

Nel 2020, la spesa pubblica aggiuntiva e gli sgravi fiscali per far fronte alla pandemia hanno raggiunto il 6,8% del Pil collocando l’Italia al 9° posto nel G20. In media per ogni italiano, il sostegno statale è stato pari a 1.858 euro, molto meno che in Germania (4.414 euro), in Francia (2.677 euro), negli Stati Uniti (9.311 euro) o nel Regno Unito (5.752 euro). Considerando che nel 2020 la perdita media per ogni italiano del Pil è pari a 2.371 euro, il sostegno statale di 1.858 euro non è stato sufficiente a coprirla generando una perdita di 513 euro pro-capite, mentre per la Francia il risultato è stato di -120 euro e per la Germania di +1.841 euro.

Debito, nel G20 dietro Usa e Canada

Per quanto riguarda il debito pubblico, in Italia nel 2020 si è registrato un aumento pro-capite di 3.049 euro seguito nel 2021 da altri 2.372 euro a testa; che significa nel biennio una crescita totale di 5.421 euro. Per effetto della pandemia, il debito pubblico italiano per ogni italiano, in media, è passato dai 39.864 euro del 2019 ai 42.913 euro del 2020. Nel G20 si colloca al terzo posto insieme al Canada e dopo Stati Uniti e Giappone e nel 2021 è arrivato a quota 45.285 euro.

Per Massimo Miani, presidente Consiglio nazionale dei Dottori commercialisti e degli Esperti contabili,  “lo studio evidenzia come il nostro sia uno dei paesi più colpiti a livello mondiale nel Pil e nel rapporto debito/Pil. Allo stesso tempo è uno di quelli che meno ha adoperato la leva finanziaria per resistere alla crisi pandemica, da cui deriva una perdita di Pil nominale pro capite piuttosto rilevante. Secondo Miani “è necessario promuovere politiche fiscali espansive maggiormente coerenti con la situazione di estrema difficoltà delle imprese e delle famiglie italiane. Ma occorre anche ridiscutere, a livello europeo, le regole fiscali che governano la finanza pubblica. È assolutamente imprescindibile riconsiderare la sostenibilità del debito pubblico italiano alla luce delle mutate condizioni economiche post-pandemiche. Solo così si eviteranno shock pericolosi per l’economia del Paese che colpirebbero in modo sensibile la ricchezza degli italiani”.

I settori più colpiti, il catalogo è questo

Tra i settori più colpiti dalla pandemia vi sono stati quelli dei trasporti, delle agenzie di viaggio, dei servizi di ristorazione e delle attività ricreative (tutti tra il 15 e il 20% di ricavi in meno tra 2019 e 2022 secondo una ricerca di Crif). Ma un comparto messo a terra dal Covid-19 che ne ha aggravato una crisi già in atto è quello del lavoro autonomo. Dal febbraio del 2020, mese che precede l’avvento della pandemia, al marzo 2022, ultima rilevazione effettuata dall’Istat, i lavoratori indipendenti – come sottolinea da Cgia di Mestre - sono diminuiti di 215mila unità. Infatti, se a febbraio 2020 erano 5,192 milioni, al termine del primo trimestre del 2022 erano scesi a 4,977 milioni, con una flessione del 4,1 per cento. Un dato ancora più negativo se si riflette sul fatto che, sempre nello stesso intervallo di tempo, i lavoratori dipendenti sono aumentati di 233mila unità, passando da 17,830 milioni a 18,063 milioni (+1,3%), anche se va sottolineato che la quasi totalità dell’incremento è riconducibile a persone che in questo biennio sono state assunte con un contratto a termine.

covidricoveri
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I costi della degenza al tempo del Covid

E poi ci sono i costi sanitari. In due anni di pandemia spesi (solo per la sanità) 19 miliardi di euro tra spese mediche e assistenziali, Dpi, farmaci e vaccini, come ha calcolato Altems, Alta Scuola di Economia e Management dei Sistemi Sanitari della Cattolica di Milano. Contagiato 1 italiano su 5 ma letalità è scesa dal 15% della prima ondata a poco più dell’1%. In valore assoluto - secondo i dati Upb, Ufficio parlamentare di bilancio - lo scostamento complessivo delle aziende ospedaliere è passato da circa 360 milioni nel 2019 a quasi 2,6 miliardi nel 2020 e a più di 3,2 miliardi nel 2021. In prima istanza occorre considerare – dati Healthcare Datascience Lab (Hd-Lab) della Università Carlo Cattaneo – Liuc di Castellanza, in collaborazione con l’Azienda Ospedaliera Nazionale SS. Antonio e Biagio e C. Arrigo di Alessandria e l'Associazione Ingegneri Gestionali in Sanità -  come il costo della singola giornata di degenza da Covid all’interno di un’area a bassa intensità di cura-complessità assistenziale sia pari a 427 euro, salga a oltre 582 euro per media intensità di cura-complessità assistenziale e arrivi a 1.278,50 euro per l’alta intensità di cura-complessità assistenziale.

Soffermandosi sulle degenze medie caratterizzate da trasferimenti interni tra Unità Operative, che hanno determinato il passaggio da area a bassa intensità di cura-complessità assistenziale ad alta intensità di cura-complessità assistenziale, esse hanno presentato un assorbimento medio di risorse economiche pari a 14.873,48 euro (degenza media complessiva di 15,5 giorni). In riferimento invece alla permanenza del paziente all’interno di un reparto a bassa intensità di cura-complessità assistenziale e di un reparto a media intensità di cura-complessità assistenziale (terapia sub-intensiva), si riscontra un assorbimento medio di risorse economiche pari a 9.157 euro (degenza media complessiva di 17,45 giorni). Infine, ingente è il valore economico correlato a una ospedalizzazione spesa tra la terapia sub-intensiva e la terapia intensiva, che risulta essere pari a 22.210,47 euro, con una degenza media complessiva di 23,21 giorni.

La spesa per salvare i non vaccinati

Secondo le rilevazioni effettuate da Altems, ogni ricovero Covid in terapia intensiva costa in media 25 mila euro. Vaccinarsi, quindi,  fa anche bene alle casse della sanità pubblica. Infatti, il costo giornaliero dell’ospedalizzato è stato stimato 709 euro mentre il costo giornaliero dell’ospedalizzato in Terapia intensiva è stato stimato pari a 1.680 euro. Questi due driver di costo sono stati utilizzati per stimare il costo per il Servizio sanitario nazionale dei non vaccinati che arriva, considerando la quota di ammalati non vaccinati, a quasi 64 milioni di euro in un mese, cioè oltre 750 milioni di euro all’anno in prospettiva. Un costo a carico del Servizio sanitario nazionale, e quindi alle Regioni che poi usano le tasse pagate dai contribuenti. Per il calcolo, Altems ha preso in considerazione il mese tra agosto e settembre 2021, periodo in cui 5.798 persone non immunizzate sono finite in area medica e 691 in terapia intensiva, in tutto 6.489. La spesa è stata esattamente di 63.811.181 euro, di cui, 46.501.415 per le ospedalizzazioni in area medica e 17.309.766,11 in intensiva.