Complici la stagione invernale, la ripresa dei viaggi internazionali, e naturalmente la sospensione della strategia “Zero-Covid” in Cina, tutt’altro che inattesi sono i nuovi picchi epidemici. Per il Centro cinese per il controllo e la prevenzione delle malattie infettive, l’allentamento delle restrizioni legato al declassamento del Covid-19 a virus di classe “B”, comporterà un progressivo aumento dei contagi almeno fino ai primi di febbraio e la nuova ondata di infezioni già mette a dura prova Pechino.

Se la situazione in Occidente è rimasta sotto controllo c’è, del resto, da chiedersi quanto le misure che, per quanto a rilento e solo parzialmente, hanno contribuito a ridimensionare la presente pandemia, saranno utili a contrastare quelle future. Altre e, al momento, più urgenti minacce sono comparse all’orizzonte: la crisi economica, la rivolta politica, l’emergenza ambientale e, naturalmente, la guerra. Tutte richiedono presenza e intervento. Naturale distogliere l’attenzione dal delicato processo di revisione dell’architettura sanitaria globale che ha luogo proprio in questi mesi, a Ginevra. Tuttavia, è proprio dall’esito di questo processo che dipende la nostra capacità di far fronte alla prossima, inevitabile, emergenza sanitaria. Sul tema si è conclusa ai primi di dicembre a Ginevra, la terza riunione dell’Organo Negoziale Intergovernativo (Inb) incaricato di redigere una bozza del tanto atteso Trattato Pandemico (Conceptual Zero Draft).

Insieme alla revisione dei Regolamenti Sanitari Internazionali del 2005 (quelli nell’ambito dei quali, per intenderci, ha avuto luogo la risposta al Covid-19), il Trattato pandemico rappresenta il secondo pilastro del profondo processo di riorganizzazione del regime internazionale di prevenzione e risposta alle pandemie inaugurato lo scorso anno.

Un iter complesso

Nel dicembre del 2021, infatti, in quella che è stata la seconda sessione speciale mai convocata nella storia dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms),[i] l’Assemblea sanitaria generale (World Health Assembly) si è espressa favorevolmente alla negoziazione, nell’ambito dell’art. 19 della sua Costituzione, o altra disposizione appropriata, di una convenzione, di un accordo o altro strumento internazionale che consenta di rinforzare la prevenzione, la preparazione e la risposta alle pandemie. Ad informare la proposta di un nuovo strumento giuridico, ufficialmente avanzata dai paesi dell’Unione Europea (e dal Cile), sarebbe stata la volontà di associare al know-how tecnico esistente (e già incluso nei Regolamenti) un maggiore impegno politico.[ii]

Non solo, molti altri motivi hanno spinto verso la promozione di un nuovo trattato: il desiderio di approfittare della mobilitazione politica innescata dalla persistente crisi sanitaria legata al Covid-19, la ricerca di una disciplina complessivamente più affine a valori fondamentali, anche se non necessariamente condivisi dai membri dell’Organizzazione, e la volontà di mantenere, seppur per motivi diametralmente opposti, proprio nell’ambito dell’Oms, la governance delle emergenze sanitarie. Non meno evidente, la convinzione che le alternative, sia nella direzione di un consiglio intergovernativo (Global Health Threat Council) che in quella della sola revisione degli strumenti già esistenti, sarebbero state, inappropriate o comunque insufficienti.[iii]

Le caratteristiche del Trattato

Altrettanto diversificato il panorama delle aspettative generate dal e intorno al Trattato. L’Unione Europea, l’Oms e gli esperti dei vari gruppi coinvolti (come l’Indipendent Panel for Pandemic Preparedness and Response, Ipppr, [iv] e il Gruppo di lavoro per rafforzare la preparazione dell’Oms e la risposta alle emergenze sanitarie, Wgpr[v] ) hanno elencato gli irrinunciabili attributi che dovrà avere il trattato: un focus inclusivo dalla resilienza al “recovery”, una nuova policy riguardo all’accesso a farmaci e vaccini, e l’adozione di un approccio integrato alla salute umana, animale e ambientale (One-health approach). Il trattato dovrà altresì garantire il miglioramento della catena di distribuzione e approvvigionamento durante le emergenze, una maggiore trasparenza nella condivisione di dati utili, il rafforzamento dei sistemi sanitari nazionali e quindi prevedere interventi di capacity-building. Dovranno inoltre essere previste nuove linee di finanziamento per la salute pubblica in generale, e per l’Oms in particolare, che dovrà dotarsi di un migliore sistema di rendicontazione e monitoraggio, e ambire ad una più condivisa responsabilità, trasparenza e cooperazione tra i suoi membri.

Un progetto ambizioso, forse troppo. Già un anno fa, David Fidler, voce autorevole del Council of Foreign Relation sosteneva che la lista degli argomenti fosse troppo lunga per un unico documento e la mancanza di un focus preciso avrebbe facilitato il prevalere di interessi politici alle spese di evidenze scientifiche ed epidemiologiche. Interlocutoria anche la posizione di Ilona Kickbush, fondatrice del Global Health Centre al Graduate Institute di Ginevra, secondo la quale proprio “le ragioni della geopolitica” metteranno a rischio il successo dell’iniziativa, non tanto nella sua fase negoziale, ma alla prova di una futura crisi sanitaria.

Nel biennio 2020-22, le risposte dei governi al Covid-19 hanno tradito manipolazioni e violazioni più o meno lampanti al diritto internazionale (dalla Costituzione dell’Oms, ai Regolamenti sanitari, ai trattati sui diritti umani). Non è chiaro quindi perché un nuovo Trattato pandemico dovrebbe ricevere un’accoglienza diversa da quella riservata agli strumenti esistenti. A maggior ragione visto il deteriorato contesto internazionale, nel quale le prospettive di cooperazione e coordinamento globale in tutte la dimensioni della vita internazionale sembrano sempre più remote.

Lo scacchiere internazionale

Appare quindi evidente che la vera sfida per il futuro del trattato si consumi lungo un’asse implicito ma tutt’altro che estraneo alla politica internazionale. Una controversia che nello specifico ha lacerato la governance della salute pubblica, e in particolare la gestione delle malattie infettive su scala globale dall’Ottocento, quando cioè sono stati stilati i primi trattati sanitari poi raccolti, dall’allora neonata Organizzazione Mondiale della Sanità, nei Regolamenti Sanitari del 1951.[vi]

Da un lato gli approcci globalisti, di matrice Kantiana, per i quali la salute è un diritto inalienabile degli individui la cui tutela è responsabilità dell’intera comunità internazionale che complessivamente (stati, organizzazioni internazionali, settore privato, Ong) è chiamata a collaborare sulla base di principi di equità e solidarietà.

Tedros Ghebreyesus, direttore generale World Health Organization

Dall’altro, gli approcci stato-centrici per i quali prevenire epidemie e pandemie è utile e profittevole solo in quanto (e fin quando) consente di proteggere le rispettive popolazioni ed economie e smette di esserlo quando questo e altri obiettivi di breve e medio termine sono raggiunti.[vii]

Tale divisione non rispecchia solo due diverse concettualizzazioni di cosa sia o possa essere la cooperazione internazionale sulla diffusione internazionale delle malattie infettive, ma tradisce le aspettative circa il suo successo, che solo nel primo scenario può materializzarsi in assenza di un solido engagement da parte delle istituzioni che vi partecipano[viii] o di un efficace sistema di controlli e incentivi.

Non sorprende quindi il tenore delle conversazioni avvenute a Ginevra nelle prime due settimane dicembre. La maggior parte dei paesi ha accolto con favore la prima stesura del Trattato e confermato il mandato dell’Inb a produrre, entro febbraio, una nuova e definitiva bozza (Zero draft) che costituirà il punto di partenza delle negoziazioni che cominceranno il 23 del mese. Tuttavia, non sono mancate serie critiche e riserve circa il contenuto di quanto fin ad oggi elaborato. Per alcuni paesi (Stati Uniti, Regno Unito e Ue), il primo draft è troppo generico e sarà necessario dare priorità solo ad alcuni aspetti per ottenere il supporto necessario all’approvazione. Per il Sud del mondo e altri paesi a basso e medio reddito (Sudafrica, Pakistan e India), invece, la bozza deve essere modificata in senso opposto e necessita di molti e profondi cambiamenti per garantire la realizzazione di quei principi di inclusività ed equità che si propone. Per gli esperti (tra cui quelli del Panel for a Global Public Health Convention) il trattato dovrebbe e dovrà fare di più, specialmente in termini di allerta e risposta alle crisi sanitarie e ai futuri eventi pandemici.[ix]

Vero, infatti, che il trattato oltre a garantire più efficienti sinergie con attori e strumenti tradizionali, non potrà prescindere dal coinvolgere molti (e nuovi) stakeholders, sebbene ciò abbia già destato non poche preoccupazioni. Da almeno 20 anni la collaborazione tra Nazioni Unite, fondazioni private e industria ha reso possibile, seppur con ancora irrisolti limiti e contraddizioni,[x] una mobilitazione di fondi senza precedenti per il settore della salute pubblica (Global Funds for Aids, Tubercolosis e Malari; Cepi) alla quale la governance delle pandemie ha già attinto a piene mani (vedi Covid-19 Act e Covax).

Da qui, l’ovvia necessità di fortificare la cooperazione intra e inter-istituzionale tra Organizzazione Mondiale della Sanità, Ihr (2005), Il Pandemic Influenza Framework (Pio), il Global Outbreak Alert Response Network (Goarn), ma anche con gli altri membri del Global Health Cluster, che nel complesso, include un totale di 900 enti attivi nella risposta alle emergenze umanitarie.[xi]

In ultimo, rimane aperto il tema, delicatissimo, della responsabilità. Se, come auspica il suo direttore generale, Tedros Ghebreyesus, l’Organizzazione mondiale della sanità e i suoi organi, saranno presto e, di nuovo, custodi di un trattato internazionale in grado di cambiare le regole della cooperazione e competizione sulla sicurezza sanitaria,[xii] non possiamo che augurarci che questa volta l’Organizzazione sia all’altezza del compito.

Note bibliografiche

[i] World Health Assembly, Special Session 2, Ssa2(5) 1 dicembre 2021, “The World Together: Establishment of an intergovernmental negotiating body to strengthen pandemic prevention, preparedness and response”

[ii] Testo completo disponibile alla pagina Joint stateements by heads of states and World Health Organization (WHO), “Covid-19 shows why united action is needed for more robust international health architecture (Geneva:WHO 30,march 2021)”

[iii] Per un’analisi si veda interalia Fidler “The case against a pandemic treaty” disponibile a https://www.thinkglobalhealth.org/article/case-against-pandemic-treaty

[iv] Tutti i documenti prodotti dal gruppo sono pubblicati alla pagina https://theindependentpanel.org

[v] Le minute degli incontri sono disponibili a https://apps.who.int/gb/wgpr/

[vi] Fidler 2005 disponibile a https://academic.oup.com/chinesejil/article/4/2/325/490058

[vii] Per un’analisi si veda Davies 2010, “What contribution can IR make to the evolving global health agenda”.

[viii] Qui si fa riferimento alla letteratura managerialista del/nel diritto internazionale da Henkin (1979 e 1980) ai coniugi Chayes (Chayes e Chayes 1993 e 1995)

[ix] https://www.gphcpanel.org

[x] Interalia Youde 2013

[xi] Burci e Negri 2022 p. 82

[xii] Si veda Washington Post Amid conspiracy and conflict, WHO’s Tedros plans for the next pandemic disponibile a   https://www.washingtonpost.com/world/2022/09/26/who-tedros-covid-19-pandemic/