Sono di questi giorni le notizie degli scontri tra polizia e manifestanti nel piccolo villaggio di Lützerath in Germania, che hanno coinvolto anche Greta Thunberg. Oggetto del contendere: la decisione del governo di evacuare e demolire il villaggio, per permettere l’estensione della locale miniera di carbone (in questo caso lignite). Alla Germania serve infatti più carbone, visti i costi crescenti dell’energia, e la dipendenza dal gas russo instaurata nel corso di decenni di politiche poco lungimiranti.
Questa è la stessa Germania che, dopo aver chiuso tre centrali nucleari funzionanti alla fine del 2021, si accinge ora a fermarne altre tre, le ultime del paese, a conclusione di una politica di uscita dal nucleare inaugurata da Angela Merkel nel 2011. Tutto questo nel bel mezzo dell’allarme degli scienziati, e ormai anche dei governi e del pubblico, per la crisi climatica che incombe, causata dal consumo dei combustibili fossili, il peggiore dei quali è proprio la lignite.
C’è da chiedersi quali dati stia utilizzando il governo tedesco, e quali esperti stia consultando, nel prendere queste decisioni.
Secondo le stime dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, l’inquinamento dovuto all’utilizzo dei combustibili fossili come fonti energetiche causa ogni anno circa sette milioni di morti premature a livello globale. Per mantenere il senso delle proporzioni, si tratta di ventimila morti al giorno. In Italia, gli studi indicano più di settantamila vittime all’anno, che significa duecento al giorno. Sono vittime di problemi respiratori e cardiaci, patologie croniche, tumori legati all’inquinamento, e va sottolineato che questi dati prescindono completamente dall’impatto presente e futuro del riscaldamento globale, che è figlio del carbone, del petrolio e del gas.
A fronte di questi dati sul pericolo delle fonti fossili, il numero totale di morti premature che possono essere attribuite all’utilizzo dell’energia nucleare per scopi pacifici viene stimato in alcune migliaia, nel corso di tutti i settant’anni di storia delle centrali nucleari. Essenzialmente tutte queste morti sono conseguenza di un unico incidente, quello di Chernobyl del 1986: un incidente irripetibile oggi, semplicemente perché la centrale di Chernobyl, già del tutto obsoleta allora, fu costruita nel più totale disprezzo dei criteri di sicurezza, nel pieno della guerra fredda, e in condizioni di segretezza oggi inimmaginabili. Due altri incidenti in centrali nucleari hanno catturato l’attenzione dei media e l’immaginazione collettiva: quello di Three Mile Island, negli Stati Uniti nel 1979, e quello di Fukushima nel 2011. Nel primo caso, le vittime furono pari a zero. Nel secondo caso, anche estrapolando le previsioni ai decenni futuri, il numero totale di decessi prematuri attribuibili alle radiazioni di Fukushima non eccede le decine.
Si dirà (e si dice) che l’uso dell’energia nucleare da fissione ci lascia in eredità il problema "insolubile" delle scorie radioattive, che restano pericolose, e devono essere custodite, per tempi geologici. In realtà, soluzioni sicure e ragionevoli per questo problema sono note da molto tempo, purché si adotti una definizione ragionevole di pericolo. La radioattività, infatti, è caratterizzata dal fatto che le sostanze più pericolose rimangono attive solo per tempi brevi, mentre le sostanze che sopravvivono più a lungo hanno una attività ridotta. I depositi geologici costruiti per la custodia a lungo termine delle scorie radioattive (come quello da poco completato in Finlandia a Onkalo) sono progettati per rimanere intatti per millenni, ma già dopo qualche secolo il livello di pericolo è fortemente ridotto. Per fare un esempio, se un deposito permanente di scorie, dopo tre secoli, disperdesse l’un per cento del suo contenuto nell’ambiente, non farebbe che restituire una quantità di radioattività pari a quella dell’uranio originariamente estratto dalle miniere per usarlo come combustibile.
A fronte di questi rischi del nucleare, governabili e limitati, proviamo a fare i conti in tasca non tanto al governo quanto alla popolazione della Germania e dei paesi vicini. I dati ci dicono che ogni terawattora (TWh) di energia ricavata dalla lignite causa in media circa trenta vittime. Chiudere tre centrali nucleari funzionanti e sostituirle con centrali a lignite significa produrre, ogni anno, circa 50 TWh in più bruciando lignite, il che statisticamente causerà 1500 morti negli anni a venire, per ogni anno di utilizzo della lignite. Questo numero, per capirci, è dello stesso ordine di grandezza del numero totale di vittime causate dal nucleare su tutto il pianeta nel corso di settant’anni.
Di nuovo, questi numeri prescindono completamente dalle conseguenze gravi e crescenti riscaldamento globale. Proviamo allora a guardare le cose da questo punto di vista. Ogni GigaWatt (GW) di potenza installata da fonti non fossili ci salva dall’emissione di circa sei milioni di tonnellate di anidride carbonica (CO2) nell’atmosfera, all'anno. Tre centrali nucleari funzionanti generano circa 5 GW. Sostituendole con la lignite, andremo a produrre trenta milioni di tonnellate di CO2 in eccesso, ogni anno. Questo è circa l’uno per mille delle emissioni globali di CO2 da tutte le fonti, e viene aggiunto al totale solo per effetto di una `piccola’ decisione locale.
Si potrebbe obiettare che il governo tedesco non vuole sostituire il nucleare con la lignite, ma con le fonti rinnovabili come l’eolico e il solare. Per intanto, si autorizza lo sviluppo di miniere di lignite (tra l’altro a cielo aperto, con buona pace dell’inquinamento), e si riaccendono vecchie centrali a carbone. Poi, non si può prescindere da altri dati di fatto. Innanzi tutto, i dati mostrano che se il governo tedesco avesse anche solo mantenuto, senza incrementarla, la produzione di energia nucleare di venticinque anni fa, già oggi il carbone avrebbe potuto essere quasi completamente abbandonato, mentre ancora fornisce un quarto della potenza elettrica disponibile, causando danni climatici irreversibili.
Inoltre, è ben chiaro a tutti che le fonti rinnovabili non saranno in grado di sostituire completamente i combustibili fossili fino a quando non avremo sviluppato una migliore tecnologia di immagazzinamento dell’energia, che a tutt’oggi non esiste. Quando il vento non soffia, e il sole non brilla, abbiamo bisogno di baseline energy, una riserva energetica che può essere fornita solo da centrali che utilizzino combustibili che possiamo controllare, siano essi nucleari o fossili. Infine, ricordiamo che la svolta in corso verso l’autotrasporto elettrico - che è un passo necessario per la de-carbonizzazione - andrà verosimilmente a raddoppiare la richiesta di energia elettrica nei paesi sviluppati nel corso dei prossimi decenni. La faticosa rincorsa delle fonti rinnovabili nel rimpiazzare quelle fossili sarà quindi resa ancora più difficile, senza il supporto del nucleare.
Si può certamente discutere sull’opportunità di (re)introdurre il nucleare in paesi che ne sono al momento sprovvisti come l’Italia, visti i tempi lunghi e i costi elevati. Tutti infatti guardiamo a un futuro energetico interamente basato su fonti rinnovabili, e il dibattito riguarda solo il modo migliore di raggiungerlo, nei decenni che saranno necessari per disintossicarci dalle fonti fossili.
Tuttavia, chiudere impianti nucleari già attivi e sicuri, per aprirne altri a carbone, sul crinale di una crisi climatica irreversibile, è sicuramente un gesto irresponsabile. Un po’ come bruciare la propria casa per paura dei fantasmi in soffitta.
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