Torino sbaraglia la concorrenza e nel 2024 sarà la Capitale italiana della Cultura d’Impresa. Una designazione che arriva direttamente da Confidustria che dal 2019 è promotrice di questa iniziativa. È una notizia importante, di quelle alle quali riservare attenzione, soprattutto perchè il capoluogo subalpino è ancora alla ricerca di una nuova identità. La ex “one company town” dell’automobile italiana fatica a riallacciare con Stellantis un rapporto di prospettiva. L’hub dell’economia circolare nato a Mirafiori ha fatto sollevare il sopracciglio a molti e la decisione di produrre in Serbia la nuova Panda full electric ha stupito, ma non troppo. Lo stesso arcivescovo di Torino, Roberto Repole, ha lanciato al Gruppo automobilistico un appello alla chiarezza per Torino.
Eppure, in questi stessi giorni proprio a Torino veniva posata la prima pietra per la nascita della Città dell’Aerospazio, aprendo così il territorio a una vocazione che già esisteva, ma che ora potrebbe dare alla prima Capitale d’Italia un volto nuovo anche a livello internazionale. Ecco perchè la decisione di Confindustria di affidare a Torino il ruolo di Capitale italiana della Cultura d’Impresa ha un peso notevole.
Visto che toccherà quindi agli industriali torinesi, nei prossimi dodici mesi, indicare la rotta sulla quale dirigere la nave della seconda più grande manifattura europea, abbiamo parlato con Giorgio Marsiaj, Presidente dell’Unione Industriali torinese, nonché fondatore e amministratore delegato della Sabelt, azienda leader nella produzione di sedili per auto sportive, dalla Formula 1 ai più importanti modelli d’alta gamma.
Presidente, che cosa intende per cultura d’impresa?
«Credo sia definibile così: saper fare qualcosa e farla bene, nel miglior modo possibile. Solo così ciò che si sta costruendo avrà un futuro. Tenga presente che per noi torinesi la cultura d’impresa è parte del nostro DNA, ci appartiene».
Com’è nata questa candidatura?
Credo fosse un’evoluzione naturale che Torino si candidasse a diventare Capitale della Cultura d’Impresa del Paese. Questo territorio in cento quarant’ anni ha visto una profonda evoluzione della sua manifattura, ha superato enormi difficoltà ed ora deve guardare a un futuro ancora tutto da scoprire e che interesserà i prossimi decenni.
La candidatura si è rivelata vincente. Quali sono stati i punti forti del dossier che avete presentato?
«Questo progetto nasce per essere inclusivo, rappresenta tutto il territorio. È un’iniziativa della nostra Unione Industriali, ma che ho condiviso fin dall’inizio con gli altri stake holders cittadini e non solo. Dai rettori delle Università, ai presidenti delle fondazioni bancarie e alla Camera di Commercio, dalla Città di Torino, alla Regione Piemonte. Abbiamo incontrato tutti gli esponenti della varie categorie economiche per costruire un progetto che parte “nostro", ma che solo nostro non è. È l’economia di una città che si racconta: manifattura, certo, ma anche commercio e artigianato».
Riuscirete a coinvolgere, oltre alle imprese, anche i cittadini?
«Sì, è un nostro obiettivo. I torinesi, la storia ce lo insegna, hanno sempre saputo reagire alle difficoltà, fin da quanto la Capitale del Regno d’Italia fu spostata a Firenze. Torino si è subito riconvertita. Con quello “scippo” i torinesi che persero il lavoro furono almeno 35 mila (e Torino contava circa 180 mila abitanti ndr), sembrava la fine. Invece fu una nuova partenza. Noi torinesi abbiamo sempre dimostrato di saper essere comunità e questo riconoscimento per il 2024 non è solo al mondo delle imprese, ma a tutta la cittadinanza. Ci saranno 26 eventi durante l’anno, saranno coinvolgenti e inclusivi, proprio per far percepire ai torinesi che la Capitale della Cultura d’Impresa è davvero anche e soprattutto loro».
Proviamo a guardare il bicchiere mezzo vuoto: il rapporto tra Torino e Stellantis sembra affievolirsi sempre di più nel tempo. Le strategie che furono di Sergio Marchionne per la città, appaiono molto diverse da quelle di Carlos Tavares.
«Su questo progetto abbiamo avuto da parte di Stellantis una grande manifestazione di interesse. Siamo in contatto con il loro team torinese per individuare attività da realizzare insieme e che, di nuovo, abbiamo ricadute chiare sul territorio. Deve essere un’occasione per creare, ricreare, stringere ulteriori legami. Riferendosi al compianto Marchionne e a Tavares, tenga presente che siamo di fronte a due scenari completamente diversi, non solo per Torino, ma per il mondo intero. Con il Covid il mercato dell’automotive è crollato ovunque del 20%. E quando parliamo di crescita del mercato italiano siamo sempre ben al di sotto dei volumi del 2019».
Dobbiamo arrenderci?
«No. Non ci arrendiamo e con il Ministro Urso, ed ovviamente Stellantis, stiamo mettendo a punto un progetto per portare la produzione annuale di veicoli a 1 milione. Ciò che credo sia importante però è che Stellantis, a Torino, continui a investire nella tecnologia e nella progettazione ingegneristica. Sarebbe fondamentale perchè porterebbe i grandi fornitori a rimanere o addirittura a venire qui da noi. Abbiamo alle spalle quasi un secolo e mezzo di storia della mobilità e guardiamo a quelle elettrica, con tutto il suo carico di innovazione che comporta. Su questa base Torino Capitale della Cultura d’Impresa e Stellantis possono trovare un grande terreno di collaborazione».
Che cosa si aspetta che questo anno da Capitale possa lasciare in eredità alla città?
«Mi auguro che riusciremo a rivolgersi prima di tutto ai giovani. Se loro capiscono che è bello fare impresa, che è bella la fabbrica, che è bello lavorare in fabbrica, avremo raggiunto il nostro scopo. C’è una responsabilità grande per noi imprenditori: saper rendere attrattivo il lavoro. Dobbiamo fare in modo che i giovani, dopo avere studiato e magari maturato un’esperienza all’estero, scelgano di rimanere a Torino perchè qui trovano una Cultura d’Impresa che sentono propria».
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