«Vorrei che la macchina andasse più veloce, ma sono ottimista: l’Italia centrerà l’obiettivo Pnrr. Che è e resta una grande occasione. E’ dall’inizio del millennio che l’Italia non vedeva venti miliardi di investimento in un anno solo». Carlo Altomonte, professore di politica economica europea e direttore del Pnrr lab della Sda Bocconi di Milano, è la voce giusta per fare il punto sul Piano nazionale di ripresa e resilienza a poco più di cento giorni da un’altra scadenza chiave per il cronoprogramma. Il Financial Times ha da poco dedicato al tema un articolo, esprimendo non pochi dubbi sulle capacità dell’Italia di spendere i 200 miliardi messi sul piatto dall’Unione Europea. Per contro Deloitte ha sentito i manager delle imprese italiane e due su tre si sono detti sicuri che l’Italia ce la farà.
Professore anche lei si iscrive al partito degli ottimisti. Perché?
«Perché stiamo rispettando le scadenze. Siamo pronti a mettere in piedi le gare per il 90% degli impegni di spesa fin qui assegnati. Soprattutto siamo in linea con i tempi fissati da Bruxelles. Poi certo la macchina potrebbe essere più veloce ma diciamo che sono stati superati due scogli non di poco conto».
Quali?
«Innanzitutto la riorganizzazione della gestione del Pnrr legata al cambio di esecutivo. In base alla nuova governance il controllo è finito alle dirette dipendenze di Palazzo Chigi e questa trasformazione ha avuto quale effetto tre quattro mesi di notevole rallentamento nella macchina. Poi c’è stata la rimodulazione del piano stesso, con la scelta di modificare 144 misure su 349 per permettere al Pnrr di marciare più velocemente e centrare i prossimi target».
Nella sostanza sono stati cancellati progetti per 16 miliardi su 191 totali, con i Comuni fortemente penalizzati. Un sacrificio necessario?
«Sì, perché non si sarebbe mai riusciti a realizzare entro la scadenza del 2026 che impone Bruxelles i tanti progetti immaginati. La polverizzazione delle risorse è uno degli handicap del Piano che andava corretto. Si sono concentrate quelle risorse su altri investimenti più compatti, in capo a grandi aziende pubbliche che garantiranno una direzione più lineare. E, soprattutto, il rispetto dei tempi, pena la restituzione dei fondi».
Però i Comuni hanno contestato con forza la scelta del ministro Fitto. Non hanno ragione?
«I sindaci fanno bene a protestare a patto che non sia un’iniziativa fine a se stessa ma costruttiva. Ci sono altri fondi che possono garantire le risorse per i progetti ipotizzati senza un vincolo temporale ristretto come quello imposto dal Pnrr che difficilmente sarebbe stato rispettato. Ma senza dubbio i Comuni hanno ragione nell’insistere perché il governo sblocchi le linee di finanziamento alternative».
Quanto ha pesato la mancanza di personale adeguato?
«Pensionamenti e anni di austerità hanno lasciato i Comuni a corto di tecnici competenti. In migliaia sono usciti senza essere stati rimpiazzati. E questo pesa. La soluzione? Assumere giovani, ma offrendo anche compensi adeguati».
Resta il fatto che siamo a settembre e la terza rata, attesa ad aprile, non è ancora arrivata. Perché?
«Arriverà entro il mese. Dopo la decisione di spostare sulla quarta rata gli oltre 500 milioni destinati per realizzare nuovi collegi per studenti per risolvere alcune controversie sollevate dai tecnici di Bruxelles, non ci sono altri ostacoli che impediscano il pagamento dei 18 miliardi e mezzo».
C’è davvero da augurarselo visti i problemi di liquidità che si prospettano per le casse dello Stato. Concorda?
«Senza dubbio c’è un problema di tesoreria. Nel momento in cui come Italia siamo in ritardo sul Piano Bruxelles non eroga la tranche di finanziamento, utile a coprire la liquidità di cui il Paese ha bisogno. Senza i soldi della Ue il Mef deve andare a cercare queste risorse sul mercato e diventa una operazione a debito».
Ottimista anche sulla quarta rata? In altre parole l’Italia ce la farà a portare a casa i 16 miliardi promessi da Bruxelles?
«Sì perché l’Unione Europea ha accolto la richiesta del governo di rimodulare una parte dei fondi. E’ stato un passaggio delicato, ma condotto a buon fine. L’Europa chiedeva chiarezza con scelte basate su evidenze oggettive. Ora si tratta di procedere con gli impegni di spesa e la messa a terra dei progetti. Insomma, servono altri sforzi ma siamo sulla strada giusta e i soldi arriveranno. E ricordo che da tanto tempo l’Italia non poteva contare su finanziamenti così importanti come quelli assicurati attraverso lo strumento messo in campo dalla Ue dopo il Covid. E non dimenticherei che il Pnrr vale circa un punto di Pil in più».
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