16 marzo di un anno fa: a tre settimane dall’inizio dell’offensiva militare russa in Ucraina, il presidente Putin riconosce nel «programma biologico militare» del Paese una «minaccia alla sicurezza della Russia». Lo fa in un messaggio formalmente diretto a funzionari del governo e plenipotenziari presidenziali dei distretti federali, ma in effetti volto a raggiungere un pubblico ben più ampio.

Nel mirino, decine di strutture finanziate anche dal Pentagono, nelle quali si lavorerebbe su ceppi di coronavirus, antrace, colera e febbre suina africana per produrre armi biologiche.

Forte e risoluta la voce degli esperti internazionali (e russi) indipendenti che si sono espressi in senso contrario, smantellando con puntualità e precisione ognuna delle accuse di Mosca sulla natura della collaborazione tra Stati Uniti e Ucraina in campo biologico.

Politologi, biologi e ricercatori hanno infatti descritto la propaganda russa come il più recente capitolo del lungo catalogo di diffamazioni e false accuse prodotte da Mosca sul tema della ricerca militare americana in campo biologico dalla Guerra in Corea, negli anni ’50, fino al Covid-19.

Una campagna di disinformazione che, negli ultimi mesi avrebbe tuttavia acquisito connotati inediti. Promossa e direttamente sostenuta dai vertici al governo (inclusi il Presidente e i suoi ministri), la campagna russa avrebbe fatto ricorso a metodi più strutturati rispetto al passato e trasferito il dibattito in piattaforme formali e multilaterali dove le conseguenze delle sue accuse avranno (e già hanno avuto) conseguenze più gravi e persistenti sia sulla percezione della minaccia biologica che, e soprattutto, sul delicato e complesso regime di non proliferazione delle armi biologiche.

Al centro del regime risiede naturalmente la Convenzione sulle tossine e sulle armi biologiche (Btwc). Il trattato, che oggi conta 184 stati parte, è ancora lontano dal raggiungere l’universalità alla quale aspira per vocazione. Una Convenzione considerata “debole”, quando non inefficace, proprio perché dotata di limitate capacità di monitoraggio, senza alcun potere sanzionatorio, e sprovvista di un’organizzazione che ne implementi il contenuto (a differenza, per esempio, della Convezione sulle armi chimiche (Cwc), associata all’omonima Organizzazione (Opcw)

Firmata nel 1972, la Btwc è il primo strumento multilaterale a prescrivere il completo disarmo per un’intera categoria di armamenti e sostanzialmente vieta il possesso e lo sviluppo di armi biologiche, imponendo lo smantellamento degli arsenali esistenti, a perfezionamento del già affermato divieto di utilizzo di tali armi, codificato nel protocollo di Ginevra del 1925. Al contempo, l’articolo X della Convenzione invita gli stati parte a favorire il massimo scambio possibile in termini di equipaggiamento, materiali e informazioni tecnico-scientifiche in rapporto all’impiego pacifico della ricerca biologica e biotecnologica. Un appello intorno al quale hanno orbitato molte collaborazioni internazionali sul tema.

Proprio sulle molteplici sinergie tra il Ministero della Difesa americano e i paesi dell’Ex Unione Sovietica, dal 2005 inquadrate anche nell’ambito del Biological Threat Reduction Program (Btrp),  si è concentrata la crescente insofferenza del Cremlino.  A nulla sono servite le rassicurazioni offerte dai Paesi coinvolti, il contenuto dei rapporti prodotti dalle ispezioni internazionali condotte nei laboratori epicentro delle polemiche (come nel caso del Lugar Center in Georgia) e le analisi dalle Organizzazioni Internazionali attive sul territorio (tra cui anche l’Organizzazione mondiale della Sanità).

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Nel 2021 infatti, una nuova ondata di accuse si scatena contro i laboratori ucraini di Kiev, Odessa e Simferopol. Falliti i tentativi di perorare la propria causa in seno all’Assemblea generale delle Nazioni Uniti e al Consiglio di Sicurezza (tra febbraio e maggio dello scorso anno), a giugno, la Federazione Russa ha fatto ricorso all’articolo V della Btwc per avviare una riunione consultiva degli stati parte che approfondisse la natura delle presunte attività illecite americane in Ucraina, incontro che non ha tuttavia prodotto alcun esito di sostanza.

La Federazione Russa non solo non ha ritirato le proprie accuse, ma in un vero e proprio valzer diplomatico le ha mantenute al centro dell’attenzione mediatica riproponendole al Primo Comitato dell’Assemblea Generale e, di nuovo, al Consiglio di Sicurezza, quando, il 24 ottobre scorso, la delegazione Russa ha presentato una denuncia formale ai sensi dell’articolo VI della Btwc contro Stati Uniti e Ucraina. È la prima volta in assoluto che un paese attiva tale procedura. Se da un lato si sono riproposti decisi i “no” di Stati Uniti, Regno Unito e Francia, a sostegno della Russia si è mossa la Cina che ha riconosciuto non solo la legittimità della richiesta di Mosca, ma ha anche reiterato la necessità di un’indagine equa e trasparente per affrontare i problemi di compliance relativi alla Convenzione sulle armi biologiche.

La logica di tale posizione, e di altre analoghe, tradiscono considerazioni di natura politica più che una reale cognizione del tema in oggetto; tuttavia, gli effetti della disinformazione sovietica sono tutt’altro che trascurabili. In primis perché, se non chiaramente e definitivamente confutate, le accuse russe potrebbero fornire a Putin una giustificazione o almeno un pretesto per autorizzare al momento più opportuno, l’impiego di queste (e altre) armi non convenzionali nella sua crociata contro Kiev, indebolendo il prezioso taboo che più di tutto ha impedito il loro impiego. In secondo luogo, perché monopolizzando l’attenzione diplomatica sul caso di specie, Mosca ha già di fatto ostacolato il quanto mai necessario aggiornamento della Btwc.

Ciò è apparso evidente durante la Nona Conferenza di revisione della Convenzione che si è tenuta il mese scorso a Ginevra. Un esito preoccupante,  considerando che, negli ultimi, il progresso in campo biotecnologico e l’ampiezza della ricerca duale hanno intensificato, e non ridotto, la preoccupazione nei confronti di una possibile diversione dei programmi di ricerca civile e quindi accresciuto l’urgenza di dotarsi di un’adeguata rete di prevenzione e difesa.

Infine, e non meno importante, è evidente che, anche quando minuziosamente smontate, le accuse di Mosca alimentano, come se ce ne fosse bisogno, l’inarrestabile crisi di fiducia nei confronti delle possibilità di successo dell’Ordine mondiale per come lo conosciamo e la credibilità dei suoi ideatori in quello che, sempre più evidentemente pare, un - per quanto ambivalente - “ritorno al passato”.