Possiamo – come dicono e non dicono in molti – affermare che è in corso un «complotto» (i.e. un gruppo di istituzioni potenti che agiscono di conserva) della «speculazione» (i.e. coloro che sono interessati a sfruttare cinicamente la volatilità del prezzi) contro l’Europa? Oppure possiamo innocentemente sostenere che la crisi greca è solo il «canarino nella miniera», che annuncia l’arrivo del gas – laddove il gas è l’aggiustamento strutturale dei bilanci pubblici di alcuni dei paesi maggiori, che ridurrà per anni la crescita? La nostra tesi è la seconda.


Per capire la Grecia
ll debito pubblico aumenta se il suo costo è maggiore del tasso di crescita dell’economia. Si abbia, infatti, un debito pari a 100 e un reddito nazionale pari a 100. Se il primo costa il 5% l’anno, al secondo anno diventa pari a 105. Se la seconda cresce del 5%, l’anno dopo diventa pari a 105. E siamo al punto di partenza. Il debito non aumenta in rapporto al reddito.

Nel caso greco, immaginiamo il costo del debito – che chiamiamo «r», una stima forse bassa – pari, per molti anni, al 5%. Una crescita – che chiamiamo «g», piatta per molti anni, ma una stima realistica. Bene, si ha, dopo un anno, 105 di debito contro 100 di reddito e dunque il debito, come percentuale del reddito nazionale, è tosto aumentato. E così via ogni anno. Il debito aumenta in rapporto al reddito. Aumentando continuamente, anche il suo costo aumenta, perché diventa sempre meno probabile che sarà onorato, e dunque si ha il famoso avvitamento del debito.

Come faranno i greci ad avere lo stesso debito in rapporto al reddito nazionale, dato il costo del debito e la crescita attesa? Solo riducendo il debito. Questo lo si ottiene con un bilancio pubblico in attivo prima del pagamento degli interessi. Proprio come una famiglia, che riduce il proprio debito con la banca, comprimendo i consumi, ossia aumentando i risparmi. Insomma il famoso saldo primario – che chiamiamo «s» – deve essere in surplus per stabilizzare il debito.

Ecco la condizione formale per mantenere costante il rapporto fra debito pubblico – che chiamiamo «d» – e reddito nazionale.

s = (( r - g) / (1 + g)) * d


Nel caso greco i numeri verosimili sono: un costo del debito r=5%, un tasso di crescita g=0%, un debito pubblico (arrotondato) di partenza d=100%. Dunque «s», il saldo primario, deve essere pari al 5%. Un numero mostruoso da raggiungere in pochi anni, se si considera che il saldo primario greco oggi è negativo e pari al 5% del reddito nazionale. I greci oggi hanno un bilancio pubblico in disavanzo – ossia debbono emettere debito ancora prima di pagare gli interessi sul debito emesso. La correzione finale nel caso della Grecia è pari – dal deficit al surplus primario – al 10% del loro reddito. Ossia, essi debbono tagliare le spese e alzare le entrate per il 10% del loro reddito. Un numero mostruoso, l’equivalente italiano sarebbe pari a 160 miliardi di euro, oppure 320 mila miliardi di lire. La famosa manovra dell’Amato I del 1992 – la «madre di tutte le manovre» – era di 90 mila miliardi, e consisteva quasi tutta in tagli ai tendenziali di spesa piuttosto che in tagli alle spese effettive.
  


Per capire gli altri paesi
Saltando alcuni passaggi tecnici anche importanti, ma che qui non servono molto per mettere a fuoco il problema, ecco gli aggiustamenti richiesti agli altri paesi. Laddove l’aggiustamento richiesto del saldo primario – da una posizione di partenza in deficit a una di arrivo in surplus – serve a ridurre lentamente il debito, portando il debito pubblico al 60% del reddito entro il 2020.

Nell’ordine del peso degli aggiustamenti richiesto, abbiamo: Giappone, Gran Bretagna, Irlanda, Spagna, Grecia e Stati Uniti (1) che debbono varare manovre di correzione del bilancio pubblico (prima del pagamento degli interessi sul debito emesso) all’incirca pari all’8% del reddito nazionale. L’Italia deve aggiustare il proprio bilancio pubblico del 4%, la Francia del 6% e la Germania del 3%.


Conclusioni
Aggiustamenti di questo tenore frenano la crescita dell’economia per molti anni, mentre alimentano un clima di incertezza. Dunque è razionale che i prezzi delle azioni flettano, anticipando la minor crescita. Poi, certamente, i computer si rompono (2), gli speculatori hanno i denti da pescecane, eccetera, ma tutte queste cose sono degli… epifenomeni. Secondo noi è in corso un aggiustamento strutturale dei prezzi delle azioni e delle obbligazioni – e questo è… il noumeno.


• Lo studio più completo sull’argomento, con bibliografia annessa, è Willem Buiter, Global Economics View – Citi, del 26 aprile 2010.
Su Buiter:
http://www.centroeinaudi.it/commenti/cicero-dixit.html

Nota aggiunta l’11 maggio. Anche lo studio di George Magnus è di alto livello e alla fine sostiene le stesse tesi. Sovereign Debt: A structural crisis – UBS, dell’11 maggio 2010.

• Il punto di vista di chi non crede che la «speculazione» sia la causa delle cose, ma solo l’effetto, è ben espresso qui:

http://www.zerohedge.com/article/sarkozy-will-get-%E2%80%9Cstuffed%E2%80%9D

http://ftalphaville.ft.com/blog/2010/05/08/224356/guest-post-el-erian-on-a-critical-weekend-for-europe-and-the-economy/

http://baselinescenario.com/2010/05/07/the-agenda-for-emergency-economic-strategy-discussions-this-weekend/



(1) Gli Stati Uniti, nonostante i conti pubblici pessimi, non sono colpiti dalle vendite dei loro titoli obbligazionari. Le ragioni possono essere queste:
http://www.voxeu.org/index.php?q=node/2568

(2) Sulla caduta di giovedì della borsa statunitense per un disguido tecnico, il «Financial Times» scrive: "Regardless of whether the precipitous fall was caused by an overweight finger hitting ‘billions’ instead of ‘millions’ or by a series of erroneous ‘sell’ trades, the effects of the original mishap were magnified by the almost instantaneous dissemination of news throughout the world’s trading floors. That info was then processed not by slow-thinking human beings but by super-duper computers that went on to hit the ‘sell’ button without a nanosecond’s pause. As one trader told me: ‘There was nothing for me to do other than to look at my screen turn red.’ To recap: the biggest intraday point drop in the Dow’s history was caused by machines responding to a myriad of data points that humans were unable to influence. George Orwell would have been proud."