No e no. Il Partito repubblicano americano ha deciso di fare opposizione nel senso tecnico del termine, e non si lascia più sfuggire occasione per dire no alle proposte dei democratici. In questo modo segna un punto importante: toglie a Obama la possibilità di ergersi a leader bipartisan, come avrebbe voluto, quando ancora era un presidente appena insediato, lasciando piuttosto che se la veda con il suo agguerritissimo Partito democratico.


Sotto questo punto di vista, la strategia repubblicana non fa una piega. Poi però ci sono le questioni concrete, come la riforma della finanza e il pacchetto di legge sponsorizzato dal senatore democratico Chris Dodd: la cosiddetta riforma di Wall Street che i repubblicani vogliono combattere (1). Per farla passare, i democratici hanno bisogno di un unico voto favorevole dei conservatori, e così questi ultimi stanno facendo di tutto per vincolare i senatori all’ortodossia di partito (2). La riforma di Wall Street (3) voluta da Dodd prevede che la Federal Reserve resti il principale supervisore della finanza, con nuovi poteri sulle banche con attività patrimoniali superiori ai 50 miliardi di dollari; prevede la creazione di un nuovo consiglio di nove persone, il Financial Stability Oversight Council, presieduto dal segretario al Tesoro, che dovrà individuare  gli eventuali rischi sistemici, offrendo raccomandazioni alla Fed. Fra le altre misure si impone che il capo della Fed di New York sia nominato dalla Casa Bianca e non dalle banche di Wall Street, «socie» della Fed di New York.

L’obiettivo è minimizzare la possibilità che le banche diventino too big to fail, ma l’opposizione dice che in realtà la riforma favorisce proprio i comportamenti irresponsabili, quel moral hazard che ha già fatto – e fa, basta guardare la Grecia – danni catastrofici. L’editorialista Michael Barone (4) ricorda che «i conservatori non hanno alcun debito con le banche», perché Wall Street ha finanziato soprattutto Obama alle presidenziali del 2008. Ma non è tanto l’opportuità politica che conta, quanto piuttosto la possibilità di fare davvero una riforma, per evitare un collasso successivo (come avvenne con il secondo choc bancario negli anni Trenta), o il business as usual, che ha già mostrato il suo volto pericoloso. Forse lavorare sui derivati, come hanno suggerito Oliver Hart e Luigi Zingales (5), non sarebbe poi così sbagliato.


(1) http://www.nytimes.com/2010/04/14/business/14regulate.html?src=me&ref=business

(2) http://online.wsj.com/article/SB10001424052702304159304575184321221108584.html?mod=WSJ_hpp_MIDDLENexttoWhatsNewsSecond

(3) http://topics.nytimes.com/topics/reference/timestopics/subjects/c/credit_crisis/financial_regulatory_reform/index.html

(4) http://www.rasmussenreports.com/public_content/political_commentary/commentary_by_michael_barone/gop_should_push_tough_regulation_of_wall_street

(5) http://www.nationalaffairs.com/publications/detail/curbing-risk-on-wall-street