Avevamo sostenuto (1) che in Cina i numeri sulla crescita economica non sono coerenti. La crescita cinese ci sembra anche figlia della propaganda. Esageriamo? Se l’economia cinese crescesse così tanto, il problema sarebbe di «raffreddarla» per evitare l’accumularsi di tensioni inflazionistiche. Invece, il governo cinese sembra voler continuare con le politiche economiche ultra espansive: insomma, non crede fino in fondo nei numeri che sono diffusi. Eravamo stati criticati da un lettore, che sosteneva che l’incongruenza delle statistiche è un fatto normale nei paesi a partito unico. Non abbiamo problemi nel condividere la critica. Il nostro obiettivo ultimo è però quello di capire se la Cina cresce per davvero. Se crescesse per davvero, allora la domanda di materie avrebbe un’origine industriale. Se, invece, non crescesse così tanto, allora la domanda di materie prime si spiegherebbe soprattutto con il desiderio di accumulare un bene che mantiene il proprio valore, anche se il dollaro si deprezza.


Fino alla metà del decennio in corso i prezzi delle materie prime non erano correlati: se, per esempio, il petrolio saliva, il rame non saliva con la stessa forza, e via dicendo. Da un certo punto in poi, è aumentata la correlazione, ed i prezzi delle materie prime sono saliti di conserva, ed, in particolare, sono saliti di conserva i prezzi delle materie prime che fanno parte degli indici scambiati in ambito finanziario (2).
 
Probabilmente le materie prime sono diventate uno strumento di diversificazione degli investimenti finanziari. L’idea era quindi che le materie prime fossero un modo nuovo per proteggersi dall’eventuale debolezza del dollaro e dall’eventuale flessione delle borse. Con l’ascesa dei prezzi delle materie prime, dovremmo però registrare - nell’economia “reale” - una riduzione della domanda ed un incremento dell’offerta e dunque una caduta dei prezzi. I prezzi delle materie prime non possono quindi salire per delle ragioni finanziarie, e la “speculazione” non può avere ruolo, a meno che le materie prime non siano stipate nei magazzini a terra, oppure, nel caso del petrolio, anche nelle navi, oppure ancora, lasciato nei pozzi, in modo da togliere l’eccesso di materie prime dal mercato.
 
I prezzi delle materie prime sono saliti molto più di quanto il dollaro si sia svalutato, e dunque non possiamo affermare che abbiamo avuto un’ascesa dei prezzi trainata dal timore della debolezza effettivamente osservata del dollaro. Abbiamo qualcosa di più? Forse abbiamo un’anticipazione di una crisi del dollaro. C’è chi teme che il dollaro possa andare ancora peggio di quanto non sia andato, e dunque compra le materie prime a prezzi crescenti e le stipa nei magazzini, oppure, nel caso dei paesi produttori, le lascia “sotto terra”. Questo avviene anche perché costa poco comprare e stipare le materie prime a credito – insomma, abbiamo a che fare con un altro degli effetti dei tassi d’interesse bassi.
 
Uno potrebbe essere tentato dal seguire l’onda ed investire in materie prime, ma se il dollaro non cade ancora, le materie prime possono velocemente tornare sul mercato, facendone cadere – e fragorosamente - il prezzo. Come che sia, si ha chi incomincia a ragionare su degli scenari (estremi) del tutto diversi da quelli condivisi (3). Su questi argomenti torneremo.


(1) http://www.centroeinaudi.it/notizie/avviso-ai-naviganti-/-xi.-contabilita-da-politburo.html

(2) http://www.econbrowser.com/archives/2009/11/commodity_infla.html

(3) http://www.zerohedge.com/article/albert-edwards-calls-next-black-swan-expect-yuan-devaluation-following-deep-2010-downturn