Di seguito proponiamo alcuni dei materiali che saranno presentati durante l’incontro di giovedì 10 giugno al Centro Einaudi: «Risanamento, scetticismo, speculazione». 1) L’Europa dell’euro è messa meglio degli altri (sic). 2) Perché allora è stata colpita l’Europa dell’euro? 3) Le scelte possibili: quella giapponese e quella rigorista.



1) L’Europa dell’euro è messa meglio degli altri (sic)

L’andamento dei bilanci pubblici: l’Europa dell’euro è l’area messa meglio. Il saldo primario corretto per il ciclo è leggermente negativo, a differenza di quello statunitense e giapponese. Dunque l’Europa dell’euro, nel suo complesso, non crea, a differenza degli altri, debito prima di pagare gli interessi sul debito emesso.

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L’entità delle manovre di correzione. Gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e il Giappone debbono varare le manovre di correzione di maggiore entità nei prossimi anni.

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I saldi delle partite correnti: l’area dell’euro è messa meglio degli Stati Uniti. Gli Stati Uniti debbono importare capitali, mentre l’Europa dell’euro non ne ha necessità. Ergo, l’euro può continuare ad ambire al ruolo di moneta di riserva insieme al dollaro.

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Nota sulle banche. Il fronte del reddito: il margine d’interesse è rimasto invariato nel 2009 rispetto al 2007, così come i guadagni sui mercati finanziari sono tornati ai livelli precedenti la crisi. Il fronte dei costi: gli accantonamenti e le perdite sono saliti, resta da vedere se adeguatamente, il costo del lavoro è rimasto invariato. Il fronte degli azionisti: i dividendi sono stati ridotti molto, a un terzo circa rispetto ai livelli precedenti la crisi.
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I numeri sono tratti da: http://www.oecd.org/dataoecd/36/57/43117724.pdf

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2) Allora perché è stata colpita l’Europa dell’euro?

Come mai i mercati hanno attaccato la Grecia, visto che anche altri paesi sono, da un punto di vista contabile, messi allo stesso modo? Gli Stati Uniti hanno una banca centrale che può comprare il debito pubblico, che peraltro è comprato anche dagli asiatici e dai paesi petroliferi perché questi sono in avanzo commerciale e hanno il cambio fisso con il dollaro. Anche la Gran Bretagna ha una banca centrale che può comprare il debito pubblico. Il Giappone ha, infine, un debito pubblico in mano alle proprie banche e al sistema postale. Ergo, il debito pubblico libero di fluttuare alla fine è quello europeo.

Gli speculatori guadagnano sia se i prezzi delle obbligazioni salgono, sia se cadono. La premessa è importante, perché nel sistema dei media sembra che gli speculatori guadagnino solo al ribasso. Quanto maggiori sono i rendimenti richiesti per sottoscrivere i debiti pubblici, tanto più difficile è controllare i debiti medesimi. Da un certo punto in poi, con rendimenti per sottoscrivere il debito pubblico «eccessivi», abbiamo la «profezia che si autoavvera». Ossia, i debiti non vanno sotto controllo, anche perché si richiedono rendimenti che non possono portarli sotto controllo. E dunque la profezia che non erano sotto controllo è confermata.

Da qui gli interventi pubblici degli ultimi tempi. Il bivio decisionale per le autorità europee era: 1) lasciar cadere le cose e lasciare il mondo avvitarsi in una spirale deflazionistica; 2) fare di tutto per salvarlo dalla spirale per poi vedere che cosa fare, una volta passata la parte peggiore della crisi. Si noti che negli Stati Uniti e in Gran Bretagna nel 2008 e 2009 fu scelta l’opzione 2.

La scelta europea segue il cosiddetto modello anglosassone: i mercati finanziari sono liberi di muoversi, ma, quando producono prezzi che possono spingere in direzioni pericolose, ecco che le autorità li fermano. Intervengono e impongono prezzi che sono maggiori di quelli che si formerebbero altrimenti (1). Una volta che tutto si stabilizza, le autorità si ritirano, ossia vendono quel che hanno acquistato. Si crea però una situazione di «azzardo morale» per i mercati,  che sono sempre salvati, e per i governi, che possono sempre spendere più del necessario.



3) Le scelte possibili: quella giapponese e quella rigorista

Il Giappone non è entrato in depressione negli anni Novanta, ma ha sperimentato una crescita nulla, forse perché aveva capito il problema. Possiamo chiamarlo lo «sciopero del debitore». In altri termini, nessuno in Giappone voleva del credito, qualunque fosse il tasso d’interesse praticato, perché doveva rendere il troppo debito che aveva cumulato. Nel caso giapponese erano le imprese non finanziarie a non volere il credito, e se nessuno vuole il credito l’economia non funziona. In questo caso, non sono i tassi, per quanto bassi, che possono ravvivare la richiesta di credito. La politica monetaria dunque è spiazzata. Resta la spesa pubblica, per salvare le cose: la s’incrementa fino ad assorbire la riduzione di quella privata. I finanziamenti che andavano al settore privato ora vanno a quello pubblico. Il fabbisogno finanziario dello Stato non spinge al rialzo i rendimenti delle obbligazioni, perché il settore privato non chiede più, fintanto che deve ridurre il proprio debito, capitali al mercato. Se si cerca di controllare prima del tempo il deficit pubblico, contando – o sperando – che al minor credito chiesto dal settore pubblico corrisponda automaticamente un maggior credito chiesto dal settore privato, si rischia di peggiorare le cose – proprio come avvenne in Giappone nel 1997 e nel 2001. L’idea di comprimere i deficit pubblici prima ancora di esser sicuri che la ripresa sia avviata potrebbe quindi essere una mossa nella direzione sbagliata.

La scelta del G20: prima giapponese e poi rigorista. The communiqué of the meeting made it clear that the G20 no longer thought that expansionary fiscal policy was sustainable or effective in fostering an economic recovery because investors were no longer confident about some countries’ public finances. “The recent events highlight the importance of sustainable public finances and the need for our countries to put in place credible, growth-friendly measures, to deliver fiscal sustainability,” the communiqué stated. “Those countries with serious fiscal challenges need to accelerate the pace of consolidation,” it added. “We welcome the recent announcements by some countries to reduce their deficits in 2010 and strengthen their fiscal frameworks and institutions”. These words were in marked contrast to the G20’s previous communiqué from late April, which called for fiscal support to “be maintained until the recovery is firmly driven by the private sector and becomes more entrenched”.

(1) nel caso delle obbligazioni a dei prezzi maggiori (spinti in sù dagli acquisti della banca centrale) corrispondono dei rendimenti minori, perchè la cedola è fissa. La cedola divisa un prezzo maggiore forma, infatti, un rendimento minore. I minori rendimenti sul mercato secondario, se stabili, aiutano a collocare i nuovi titoli di stato in sede d'asta, ossia sul mercato primario, a dei rendimenti minori. I minori rendimenti in sede di emissioni aiutano a comprimere il costo del debito pubblico.