La recente strage nello Umpqua Community College riporta l’attenzione sulle cause delle numerose di stragi nei campus americani. Tra le ipotesi indagate, quella che dietro agli eccidi vi sia un effetto contagio facilitato dalla saturazione mediatica.
Gli studiosi di scienze sociali lo vanno ripetendo da anni ma i loro moniti vengono disinvoltamente ignorati: le stragi che si succedono nei campus delle di università americane sono la conseguenza del contagio che si verifica attraverso i media. Un tempo, si parlava di “copy cats”, in pratica attori indotti a “copiare” ossia a duplicare azioni criminali compiute da individui non appartenenti al mondo della malavita. Oggi è accertato che crimini di pesante impatto sociale, come le stragi nelle università, hanno radici nelle descrizioni che la stampa fa di tali crimini anzichè, come si pensava fino a tempi recenti, nelle pellicole o nei videogames sanguinolenti. È una situazione che ricorda il dibattito che ebbe luogo negli anni settanta in Italia quando venne avanzata la proposta di “staccare la spina” ossia di arrestare la pubblicazione di notizie circa le azioni armate degli anni di piombo, con il fondato sospetto che la pubblicità data a tali azioni dai mezzi di comunicazione avesse il risultato di stimolare un maggiore ricorso alla violenza da parte delle Brigate Rosse e di altre organizzazioni criminose.
Il timore dei giorni nostri è che la saturazione che si verifica nei media all’indomani di una strage induca una categoria di individui, dagli adolescenti eccessivamente suggestionabili ai tarati mentali fino ai sociopatici affetti da forti disturbi antisociali, ad agire in preda a raptus servendosi di armi che sono reperibili senza troppa difficoltà nel mercato americano. Ma non è solo la semplice imitazione a scatenare tanti crimini, quanto il fatto segnalato dagli studiosi che ognuno di tale crimini è “una sorta di pubblicità per le stragi”. In pratica, la saturazione nella copertura da parte dei media ha un rapporto diretto con il ripetersi delle stragi in località non protette come università, colleges e scuole medie degli Stati Uniti.
Un altro aspetto che emerge dalla recente carneficina nello Umpqua Community College in Oregon è che l’esecutore probabilmente annunciò le sue delittuose intenzioni in anticipo su un sito di “social media”, il 4chan, che conferisce l’anonimato agli interventi. Gli investigatori ritengono che l’ammonimento “non andate a scuola domani se vivete nel Northwest” sia stato inserito proprio da Chris Harper-Mercer, l’autore della strage. Che questi fosse sospinto dalla ricerca di pubblicità è un elemento testimoniato da un suo post: “questa è l’unica occasione – scriveva Chris Harper-Mercer – in cui farò notizia. Sono così insignificante”.
L’attentatore era solito contribuire a vari website, come Kickass Torrents, con questo blog a lui attribuito in cui accennava ad un precedente crimine commesso a Roanoke, nella Virginia, dove Vester Flanagan aveva ucciso a sangue freddo una cronista televisiva ed il suo cameraman. “Ho notato che tante persone, come lui, sono sole e sconosciute, ma quando versano un poco di sangue tutto il mondo viene a sapere di loro. Un uomo che era sconosciuto a tutti è ora conosciuto da tutti. Il suo viso è spiaccicato in ogni schermo, il suo nome è sulle labbra di ogni persona nel pianeta, tutto ciò nel giro di un solo giorno. Sembra che più gente uccidi, più sei alla ribalta”. Ciò che fa maggiore impressione è che il post si conclude descrivendo Flanagan come “una vittima del nostro ambiente inzuppato dai social media”.
Un’inchiesta svolta dalla rivista Time all’indomani della strage nella Columbine High School del Colorado – dove nell’aprile 1999 due giovani uccisero tredici studenti e ne ferirono altri venti – avanzava l’inquietante ipotesi che l’azione distruttiva fosse collegata all’incentivo di riscuotere pubblicità in una rivista nazionale. Da più parti sono giunte sollecitazioni volte ad instaurare “guidelines” ossia principi guida per i media tali da neutralizzare il contagio che scaturisce da un crimine di massa in una scuola. Tra i suggerimenti avanzati da sociologi come Zeynep Tufekci vi è quello di evitare che gli investigatori diffondano i particolari dei metodi e delle modalità degli eccidi. In parole povere, la copertura dei crimini non dovrebbe riferire il tipo di armi usate dai loro esecutori né tanto meno l’utilizzo di tecnologie e strumenti “robo cop” da parte della polizia. Speciale attenzione dovrebbe essere dedicata, secondo gli esperti, a far sì che non vengano riferite e pubblicate le parole degli attentatori e la ricostruzione delle loro azioni criminose prima e durante le stragi.
Le analisi degli esperti di salute mentale dovrebbero essere prese in seria considerazione non solo dai mezzi di comunicazioni ma dal Congresso. Purtroppo, i legislatori, succubi della potenza intimidatrice della National Rifle Association (NRA), che è di fatto la lobby dei produttori di armi, non hanno finora permesso che il Center for Disease Control and Prevention (CDC) avviasse una ricerca sistematica sulle cause della violenza con armi da fuoco. Un emendamento in tal senso sottoposto al Comitato per le Appropriazioni della Camera dei Rappresentanti è stato bocciato all’indomani della strage di Charleston nella Carolina del Sud. Il retroscena di questa vergognosa noncuranza del Congresso americano è presto detta: secondo i dati dello FBI, dal 2006 al 2011 negli Stati Uniti si sono verificati 172 casi di “mass killings”, omicidi di massa così definiti quando le vittime sono più di quattro persone, e quasi un terzo delle vittime avevano un’età inferiore ai 18 anni.
La NRA accusa la CDC di usare la scienza nell’intento di promuovere controlli sulle armi da fuoco. Gli americani intanto continuano a morire per effetto dell’abbondanza e dell’uso indiscriminato di armi da fuoco: nel 2013 i morti sono stati 34.000. Constatata l’impossibilità di avviare seri studi scientifici sulle cause della violenza con armi da fuoco, sarebbe auspicabile quanto meno che venisse incoraggiata una conversazione nazionale sull’altro argomento tabu, le responsabilità dei mezzi di comunicazione per il modo in cui contribuiscono al ciclo della violenza di massa. È una responsabilità ingigantita da un semplice dato: nell’anno 2013, gli studenti massacrati sono stati 82, il triplo dei poliziotti uccisi in servizio (27). Non vi è dubbio che una larga intesa su differenti canoni di copertura giornalistica potrebbe ridurre l’incidenza di tale violenza, a cominciare dalle scuole. Ma il quadro generale in America è tutt’altro che incoraggiante.
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