A poche settimane dalla conquista dell'Eliseo e forte della maggioranza assoluta guadagnata dal suo partito all'Assemblée Nationale, il 39enne Presidente della Repubblica francese deve affrontare diverse sfide impegnative.

 

Al primo turno Macron prese il venticinque per cento dei voti. Al secondo turno – ossia al ballottaggio fra i primi due candidati del primo turno – prese due terzi dei voti. Dopo le Presidenziali in Francia si celebrano le Legislative, laddove il neo costituito partito di Macron ha preso – a danno dei partiti tradizionali, i Repubblicani ed i Socialisti – il sessanta per cento dei seggi. I tre turni hanno mostrato un tasso di astensione crescente. Dalla prima all'ultima tornata esso è salito fino a poco più della metà degli aventi diritto di voto.

I commenti fino a poco tempo fa sottolineavano la distorsione (1) di questo rapporto, ossia della moltiplicazione dei voti di Macron dal primo turno (25%) fino alle Legislative (60%) con un'astensione finale superiore alla metà (53%). Ultimamente, però, si aggiungono i commenti di quelli che pensano che in Francia sia tornata la fiducia, quest'ultima da intendersi come un miglior umore della cittadinanza. Secondo questa più recente scuola di pensiero la combinazione della maggioranza in Parlamento e il ritorno della fiducia nel Paese sul futuro del medesimo dovrebbero consentire a Macron di materializzare il suo ambizioso programma di: a) liberalizzazione del mercato del lavoro,  b) riforma dello Stato Sociale, c) rilancio del progetto dell'Unione Europea, e d) protezione dei settori europei strategici.

I critici (o gli intimoriti, se sono a favore dei sistemi maggioritari) della (dalla) distorsione però non demordono. Essi ricordano come - in un sistema che sotto-rappresenta la società civile a favore della governabilità - la “piazza” possa sostituire il “parlamento”. La “piazza” va intesa come il luogo dove di materializza la dialettica politica quando questa è parzialmente esclusa dall'agire nelle istituzioni. Sempre i critici (o gli intimoriti, se sono a favore dei sistemi maggioritari) ricordano come voti di Macron vengano soprattutto dai francesi che “stanno meglio”. Insomma, in Francia i sotto rappresentati - quelli che in maggioranza hanno votato per Le Pen e Mélanchon - sono anche quelli “messi peggio”. I numeri a sostegno di questa tesi ed altre argomentazioni nel merito nonché i confronti fra Paesi si trovano qui (2).

Siano così giunti al primo nodo: riuscirà Macron ha portare avanti le riforme interne alla Francia senza che emergano troppe frizioni? Insomma, riuscirà a modernizzarla, come tentò Renzi in Italia?

Abbiamo tre forze in campo. La “destra laica” e la sinistra “alla Tony Blair” sono a favore delle politiche dell'offerta - ossia della riforma “liberalizzante” dei mercati dei prodotti e del lavoro, e della responsabilità individuale. Questa combinazione politica è anche a favore dell'intervento dello Stato, se necessario ed efficiente. Meno tasse, meno spesa, insomma. E qui troviamo il vincitore Macron. Si ha la “destra populista”, che è a favore dell'intervento pubblico in chiave nazionalista. Meno tasse, più spesa, insomma. E qui troviamo la sconfitta Le Pen (con molti voti al primo turno ma alla fine con pochi seggi). Infine, si ha la “sinistra tradizionale”, quella che vuole la difesa del lavoro garantito e l'intervento pubblico. Qui troviamo lo sconfitto Mélanchon (con molti voti al primo turno e alla fine pochi seggi). Vero il ragionamento fatto prima, la seconda e la terza forza in campo possono opporsi nel “sociale”, non potendolo fare in Parlamento.

Passiamo al secondo nodo: riuscirà Macron a portare avanti le riforme esterne alla Francia, in sostanza far cambiare idea ai Tedeschi in merito alle politiche di austerità?

Le differenze fra la Germania e la Francia sono marcate ed hanno a che fare con l'esperienza del “secolo breve”. La sconfitta nella seconda guerra spinge i Francesi nella direzione dell'intervento pubblico, quindi verso il “dirigismo”. Quest'ultimo era visto come il demiurgo di uno stato forte, a sua volta concepito come uno strumento per non perdere più le guerre con la Germania - ben tre in meno di un secolo: 1870, 1914, 1940. Al contrario, la sconfitta totale del Nazismo spinge i Tedeschi verso la delimitazione dell'intervento pubblico. L'esperienza li spinge verso il “mercatismo” (più precisamente verso l'Ordoliberalismus) proprio per impedire che si formi uno stato troppo forte. La conclusione è che non sarà facile far cambiare idea alla Germania per farla diventare “francese”, così come alla Francia per farla diventare “tedesca”. Un esempio fra i molti. Per la Francia le regole sono soggette al processo politico e possono essere rinegoziate. Per la Germania le regole “sono regole”: se si sa che sono negoziabili, allora nessuno le rispetterà fin dall'inizio. Dal punto precedente emerge che per la Francia le crisi vanno gestite con flessibilità. Dal punto precedente emerge che la Germania obietterà che, se si immagina che la flessibilità possa palesarsi, allora le regole non saranno rispettate.

 

Note

(1)  Da intendere come capacità di rappresentare il Paese nel suo complesso

(2) I  numeri al primo turno delle elezioni francesi. Le statistiche sono centrate sulle domande fatte a un campione all'uscita dal seggio (exit pools). Si ricava che: a) i giovani, b) quelli che hanno i redditi più bassi, c) quelli che svolgono lavori manuali, e quelli d) che votano per convenienza tattica e non per convinzione, sono elettori del Front National. Viceversa, se non giovani, non poveri, e non lavoratori manuali, e non-fedeli a un credo politico, sono elettori di On Marche! Questa differenza ricorda il referendum britannico (Brexit), quello turco (riforma costituzionale), nonché l'elezione a presidente di Donald Trump. Stiamo tornando alla dialettica del XVII secolo fra campagna - Country, e corte - Court? Altrimenti detto, i cosmopoliti e i globalisti vincono a Parigi, Istanbul, e New York, mentre perdono da altre parti?  Ecco i numeri finali delle elezioni francesi: http://www.centroeinaudi.it/lettera-economica/articoli-lettera-economica/commenti/4715-le-elezioni-britanniche-flash.html